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San Roman Adame Rosales Sacerdote e martire

21 aprile

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Nacque a Teocaltiche, Jalisco (Diocesi di Aguascalientes) il 27 febbraio 1859.Parroco di Nochistlán, Zacatecas., (Arcidiocesi di Guadalajara). Sacerdote profondamente umile. Non si lamentò mai; di fronte al dolore diceva con serenità: "Sia fatta la volontà di Dio". Si occupò di catechesi, missioni popolari, costruzione di cappelle affinchè i fedeli avessero vicino, il Santissimo. Aiutò gli ammalati e cercò di educare i bambini. Queste furono le principali attività del suo ministero parrocchiale. Giunto il monento dell'esecuzione, il giorno 21 aprile del 1927, con un gesto di bontà cercò di salvare il soldato che renitente sarebbe stato anche lui fucilato. Poi deciso e irremovibile ma umilmente, consegnò la sua vita.

Emblema: Palma

Martirologio Romano: In localitŕ Nochistlán nella regione di Guadalajara in Messico, san Romano Adame, sacerdote e martire, che nel corso della persecuzione contro la Chiesa subě il martirio per aver confessato Cristo Re.


La sua, molto probabilmente, non sarebbe che la storia di un povero parroco messicano, che senza il martirio oggi non sarebbe più neanche ricordato. Viene da una famiglia, profondamente cristiana, in cui nasce nel 1859 e che non può permettersi di farlo studiare, per cui lui a 18 anni sa a malapena leggere e scrivere. In compenso, ha le idee molto chiare su cosa fare da grande: entrare in seminario e farsi prete. Malgrado gli manchino le basi culturali e deve ricominciare da zero, avendo già dimenticato il poco che gli han insegnato, prete lo diventa per davvero, il 30 novembre 1890: a 31 anni compiuti, dopo aver faticato sui libri e non aver particolarmente brillato negli studi. Ai superiori, però, non è sfuggito che quel ragazzo prega tanto e bene, tanto da invogliare anche gli altri a pregare. Non si dovranno mai pentire di questa decisione. Dopo i primi anni di tirocinio pastorale, viene nominato parroco: due anni qui, dieci anni là, da una parrocchia all’altra, come tutti i preti che non mettono radici e che sono a servizio della fede altrui, ovunque li si mandi. In tutte i posti dove va, come cardini della sua pastorale, diffonde la devozione mariana e impianta l’adorazione eucaristica, in special modo quella notturna. Soprattutto, in ogni posto, i parrocchiani lo vedono pregare e restano incantati ad ammirarlo quando recita il breviario: in quei momenti davvero parla con Dio, e glielo si legge in faccia. A gennaio 1914 lo mandano a Nochistlan, dove resterà fino alla morte. Qui, però, non riesce ad accontentare tutti: una larga fascia di parrocchiani preferirebbe a lui un altro prete, forse più brillante, certamente più acculturato. Glielo fanno capire anche apertamente, come quella volta che legano alla porta della canonica un asino, già bardato per il viaggio: un messaggio, neanche troppo implicito, per dirgli come essi lo ritengono e che lo invitano, ad andare altrove. Lui continua imperterrito, in obbedienza al vescovo e alla sua coscienza, soffrendo in silenzio, spendendosi senza riserve. Con la persecuzione messicana, quando ha davanti a sè l’alternativa di fuggire oppure di darsi alla clandestinità per continuare a servire di nascosto i parrocchiani, lui sceglie quest’ultima strada, certamente la più rischiosa ed impegnativa. Con la copertura dei parrocchiani generosi, spostandosi da un nascondiglio all’altro, continua a celebrare di nascosto, amministrare i sacramenti, sostenere la fede. “Sarei contento di offrire il mio sangue per la parrocchia”, gli scappa di dire il 18 aprile 1927, mentre sta pranzando in una casa ospitale, ad una dei commensali che si augura che i persecutori non vengano a cercarli proprio lì. Sono parole profetiche: la notte seguente,  su segnalazione di un contadino al quale il parroco non era mai andato a genio, 300 soldati circondano la casa che lo sta ospitando: il parroco è addormentato e lo portano via così, con addosso appena la biancheria intima. Legato come un delinquente, costretto a correre per tenere il passo dei cavalli al galoppo, viene trasferito a Yahualica . Solo uno dei soldati ha compassione di quel prete quasi settantenne e lo fa salire a cavallo, ma si attira la derisione e la rabbia dei commilitoni. Di notte in cella, di giorno legato ad una colonna della piazza, esposto alla berlina dei passanti e costantemente piantonato dai soldati, si moltiplicano gli sforzi per ottenere la sua liberazione: persone influenti arrivano a contrattare il prezzo della liberazione direttamente con il colonnello, ma questi, appena intascato il riscatto, ordina la fucilazione del prete. Lo portano via di notte, il 21 aprile, per evitare una sommossa popolare, ma la gente si raduna ugualmente per accompagnarlo al martirio, chiedendo a gran voce la sua liberazione e i soldati hanno il loro daffare per tenerla a bada. Silenzioso in vita, ancor più in morte, ma il suo è un silenzio troppo eloquente, come quello del Cristo sulla strada del Calvario. Così, quando viene ordinato di far fuoco, insieme a lui devono fucilare anche il soldato Antonio Carrillo Torres, che si è rifiutato di puntare l’arma contro quel prete innocente e inerme: un pentimento forse tardivo, ma sempre in tempo utile per trovare la strada del cielo. Proprio come sulla croce. Beatificato nel 1992, don Román Adame Rosales è stato canonizzato nel 2000 da Giovanni Paolo II.
 


Autore:
Gianpiero Pettiti

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Aggiunto/modificato il 2010-09-10

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