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Sant' Eugenio di Cartagine Vescovo

13 luglio

† 501/505

Eugenio, vescovo di Cartagine, lega il suo nome all'isola di Bergeggi e al vicino comune ligure di Noli. Secondo la tradizione, il santo si rifugiò nell'isola, insieme con Vendemiale, per sfuggire alle persecuzioni dei Vandali ariani e qui morì nel 505. Poi l'isola stessa sarebbe arrivata di fronte alla costa ligure «traghettando» su di sé Eugenio e Vendemiale. Le spoglie del santo vennero allora traslate a Noli dove divenne il patrono della città. La tradizione vuole che alcuni anni dopo il corpo del santo sia ritornato da solo sull'isola. Nel 992 Bernardo, vescovo di Savona, fece costruire sull'isola un monastero, i cui resti sono ancora visibili, che fu donato ai monaci benedettini di Lérins perché ne custodissero le spoglie. Sull'isola di Bergeggi il culto di Eugenio sarebbe fiorito fin dal quinto secolo, cioè immediatamente dopo la sua morte, e la chiesa coeva ne sarebbe la testimonianza.

 

Martirologio Romano: Ad Albi in Aquitania, in Francia, transito di sant’Eugenio, vescovo di Cartagine, che, insigne per fede e virtù, fu mandato in esilio durante la persecuzione dei Vandali.


Santi EUGENIO, vescovo di Cartagine, e compagni, martiri

Eugenio è una delle più importanti figure dell’episcopato africano durante l’ultimo periodo della persecuzione vandalica. Fu eletto nel 477, poiché Vittore di Vita racconta che uno dei primi atti del regno di Unnerico (477-84) fu quello di accogliere un’istanza dell’imperatore Zenone affinché si permettesse la elezione del vescovo di Cartagine, dopo ventiquattro anni di vacanza della sede episcopale, in seguito alla morte di Deogratias (453). La personalità di Eugenio si impose immediatamente per santità di vita, per saggezza di governo e per larghezza di elemosine, tanto che egli «venerabilis et reverendus haberi [coepit] etiam ab eis qui foris sunt» (e cioè da pagani, manichei e ariani). Ne nacquero gelosie ed accuse da parte del clero ariano: tra l’altro, si incolpava Eugenio di aver proibito l’ingresso in chiesa a quanti fossero vestiti con abiti barbarici. Il vescovo dimostrò l’assurdità dell’accusa, tuttavia la persecuzione si scatenò violenta e crudele da parte del re vandalo e caddero numerose vittime in tutta l’Africa.

Intanto, nel maggio 483, Unnerico emise un’ordinanza a tutti i vescovi omousiani del regno affinché si radunassero a Cartagine nel febbraio successivo per sostenere una discussione teologica con i vescovi ariani. Voleva dimostrare che la sua lotta contro i cattolici era originata da ragioni di ortodossia. Eugenio, a nome di tutti i vescovi africani, accettò la discussione, ma chiese nel contempo al re di estendere l’invito anche ai vescovi transmarini, sia per dimostrargli che l’universalità dell’episcopato era con loro, sia per avere con sé vescovi che non potevano temere le rivalse di Unnerico. Invece, il re vandalo fece in modo di mettere fuori competizione quelli tra i vescovi africani di cui temeva maggiormente la scienza e l’accortezza. Intanto, in Cartagine stessa, durante le funzioni battesimali dell'Epifania, avvenne un grande miracolo: un cieco, certo Felice, riacquistò la vista, mentre Eugenio lo segnava col sigillum crucis. Grande fu la gioia dei cattolici e grande la confusione tra gli ariani che, naturalmente, ricorsero al solito sistema di accusare Eugenio di arti magiche. L’episodio della guarigione del cieco è narrato anche negli Historiarum libri di Gregorio di Tours, sebbene in forma alquanto più romanzesca. Il 1° febbraio 484 ebbe luogo la discussione voluta da Unnerico alla presenza di ben quattrocentosessantasei vescovi: ma, come era prevedibile, essa fu dominata dall’arbitrio più insolente e si risolse in una crudele beffa contro i padri omousiani, che vennero condannati alla fustigazione. Ad essi, non essendo stato concesso il diritto di una libera discussione, non restò che deporre un opuscolo con una dichiarazione di fede cattolica, dichiarazione riportata da Vittore di Vita e redatta, come ci assicura Gennadio di Marsiglia, dallo stesso vescovo di Cartagine, Eugenio.
La persecuzione di Unnerico infierì allora con sempre maggior acredine: tutte le chiese furono chiuse o consegnate al clero ariano, i vescovi furono spogliati di tutto e cacciati dalla città, un editto proibì di far loro elemosine e di offrire ospitalità, molti furono inviati nei campi come coloni, ai lavori forzati e un gran numero di fedeli fu esiliato o martirizzato. Anche Eugenio fu esiliato nel deserto libico, sotto la sorveglianza di un vescovo ariano, Antonio, particolarmente spietato nel tormentarlo. Prima di partire per l’esilio, il vescovo diresse alla sua Chiesa una splendida lettera (conservataci da Gregorio di Tours) che può ritenersi il suo testamento spirituale.
Le crudeltà commesse contro i cattolici furono tante: le donne erano denudate in pubblico e staffilate a sangue, ad altri si trappavano gli occhi, le orecchie, il naso, la lingua, le mani o i piedi, altri erano sospesi in alto da corde e straziati in vari modi. Del clero cartaginese «fere quintetti, et amplius» furono martirizzati: lo storico ricorda l’arcidiacono Salutare, i diaconi Muritta, Bonifacio, Servo, il suddiacono Rustico, l’abate Liberato, i monaci Rogato, Settimo, Massimo, moltissimi giovinetti lettori e dodici fanciulli cantori, vittime tutte più delle atrocità del clero ariano che di ferocia del re vandalo, il quale, tuttavia, non poté godere a lungo del suo trionfo, poiché alla fine dello stesso 484 moriva «putrefactus et ebulliens vermibus».
Fin qui il racconto di Vittore di Vita, che offre le massime garanzie di veridicità, perché testimone egli stesso, come spesso ricorda, di quanto narra. Ma Vittore di Vita scrisse la sua opera nel 488 circa mentre Eugenio di Cartagine morì nel 505: «Theodoro: Eugenius carthaginensis episcopus confessor moritur» così la Chronica di Vittore di Tunnuna. La storia degli ultimi venti anni di vita di Eugenio è molto più incerta, in quanto le fonti che ce ne parlano non sono così bene informate come lo era il Vitense.
Alla fine del 484 ad Unnerico successe il nipote Gontamondo, che si mostrò più clemente dei predecessori: egli infatti «nostros protinus de exilio revocavit»: con più precisione l’appendice alla Cronaca di san Prospero racconta che, dopo aver richiamato Eugenio, nel 488, il re consegnò alla Chiesa di Cartagine il cimitero di san Agileo, poi, dietro istanza dello stesso Eugenio, nel 494 richiamò arche gli altri membri del clero africano tuttora in esilio, e ordinò che si riaprissero le chiese al culto cattolico. Nel 495 il papa Gelasio scrisse ai vescovi della Dardania, additando il «vir magnus et egregius sacerdos Eugenius» e tutto il suo clero come splendido esempio di costanza sotto la persecuzione. Nel 497 Guntamondo morì e col successore Trasamondo (497-523) si riaccese la persecuzione: Vittore Tunnunense racconta che il re fece chiudere di nuovo le chiese e mandò in esilio, in Sardegna, ben centoventi vescovi. Anche Eugenio dovette essere tra i confessori dell’ultima persecuzione vandalica, ma sul suo esilio abbiamo una doppia tradizione. Gregorio di Tours, nella sua più volte citata Historia Francorum, confondendo le persecuzioni del 484 e del 497, racconta che Unnerico stesso ordinò che si fingesse di decapitare Eugenio, ma una volta constatata la sua costanza, lo si esiliasse ad Albi, in Aquitania (che, tra l’altro, neppure apparteneva al regno vandalo). Così Eugenio sarebbe morto (nel 505, precisa il Tunnonense) ad Albi, nelle Gallie: quivi il suo sepolcro sarebbe stato ben presto venerato ed il suo culto confortato da miracoli. Un prodigio è narrato dallo stesso Gregorio in Miraculorum libri Vili. Un’altra tradizione italiana, ma assai più tarda e non scevra di inesattezze, invece, racconta che Eugenio fu esiliato in Corsica, che ivi morì e che un vescovo di Treviso, certo Tiziano, nell’VIII secolo, operò la traslazione del corpo del santo in una chiesa della sua diocesi, per sottrarlo ai Saraceni. I Bollandisti ritennero più verosimile la prima recensione, ma il problema non resta del tutto chiaro.
La celebrazione di una festa di san Eugenio è già ricordata dallo stesso Gregorio di Tours e tutti i martirologi storici la riportano al 13 luglio. L’elogio del Martirologio Romano, che è più o meno identico a quelli di Adone e di Usuardo, è ricavato dai testi di Vittore di Vita, e si riferisce, perciò, solo alle vittime del clero cartaginese della persecuzione di Unnerico, coi nomi, oltre che di Eugenio, dell’arcidiacono Salutare e del diacono Mauritta, e con un accenno ai circa cinquecento martiri del 484. Forse, appunto per questo, tale elogio è preceduto dalla nota topografica in Africa (benché Eugenio sia morto altrove), perché fu in quella provincia che si svolse la persecuzione di Unnerico.
 


Autore:
Giovanni Lucchesi


Fonte:
Bibliotheca Sanctorum

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Aggiunto/modificato il 2018-01-30

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