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Beato Ignazio (Choukrallah) Maloyan Vescovo e martire

11 giugno

Mardine, Turchia, 19 aprile 1869 - Kara-Kenpru, Turchia, 11 giugno 1915

Eroica la testimonianza del vescovo Ignazio Maloyan torturato e ucciso dai turchi all'inizio dell'olocausto armeno. Nato a Mardine, in Turchia, Maloyan, di etnia armena, si recherà in Egitto dove si conquisterà la fama di sacerdote esemplare. Il 22 ottobre del 1911, Maloyan viene eletto arcivescovo proprio della diocesi di Mardine. Quattro anni dopo, il 24 aprile del 1915, ha inizio l'operazione di sterminio contro gli armeni residenti in Turchia. E a giugno alcuni ufficiali turchi trascinano il vescovo davanti al tribunale insieme ad altre 27 persone della comunità. Il capo della polizia, Mamdouh Bey, gli propone una via d'uscita: convertirsi all'Islam. Ma monsignor Ignazio Maloyann rifiuta, procurandosi torture "esemplari".

Martirologio Romano: Nel villaggio di Kara-Kenpru vicino a Diyarbakir in Turchia, beato Ignazio Maloyan, vescovo di Mardin degli Armeni e martire durante il genocidio dei cristiani perpetrato in questa regione dai persecutori della fede; essendosi rifiutato di abbracciare un’altra religione, consacrò in carcere il pane per il ristoro spirituale dei compagni di prigionia; fucilato poi insieme a molti altri cristiani, versando il suo sangue ottenne il premio della pace eterna.


Cent’anni fa la Chiesa Armena in Turchia vive giorni drammatici e gloriosi: l’entrata in guerra della Turchia al fianco della Germania e dell’Austria contro Russia, Francia e Inghilterra, ha determinato l’arruolamento di tutti gli uomini validi. Solo gli Armeni si dimostrano renitenti e si danno alla macchia, e i nazionalisti islamici li accusano di connivenza con la Russia.
Il vescovo Ignazio Maloyan non ama la politica, è contrario ad ogni commistione tra la fede cristiana e la politica degli insurrezionalisti e si è sempre comportato come un suddito fedele dell’Impero Ottomano, tanto che il Sultano gli ha perfino conferito due alte onorificenze. Di fatto, però, il governo è ormai scavalcato ed esautorato dalla polizia locale, capeggiata dagli integralisti islamici chiamati “Giovani Turchi”, che ha già deciso lo sterminio degli Armeni. Il giovane vescovo, lucido, razionale, lungimirante, è il primo ad accorgersi con largo anticipo della situazione che sta precipitando e dei pericoli che incombono sui cristiani. Perde il sonno, ma non lascia trasparire la sua preoccupazione; non vuole allarmare i suoi preti e i suoi cristiani, ma li prepara al peggio raccomandando: "Fortificate la vostra fede fondata sulla Roccia di Pietro".
Il 30 aprile 1915 la polizia fa irruzione in vescovado: rovista, distrugge, sequestra documenti. Contro il vescovo si sta montando l’accusa di ricettazione di armi e si cerca materiale compromettente per poterlo incastrare. Il vescovo Ignazio rompe così gli indugi: indirizza al suo popolo un accorato appello a mantenere salda la fede in mezzo alla persecuzione e diffonde il suo testamento spirituale, che è una professione di fede nella chiesa di Roma e un atto di fedeltà al governo legalmente costituito. Lo arrestano il 3 giugno, festa del Corpus Domini, e in cella con lui finiscono 662 cristiani e una quindicina di preti.. La sua chiesa è sventrata, gli altari distrutti , le tombe dei vescovi aperte, ma non si trova nulla che possa giustificare la condanna a morte già decretata nei confronti del vescovo. Per tre volte a lui ed agli altri viene chiesto di rinnegare la fede e abbracciare l’Islam, con la promessa della libertà immediata, ma la risposta di Ignazio è ferma e coraggiosa: “Non vi resta che farmi a pezzi, ma io non rinnegherò mai la religione”.
Nella notte del 9 giugno avviene in cella il commovente incontro con l’anziana madre, riceve l’assoluzione da un altro prete incarcerato con lui, e due giorni dopo è incolonnato insieme ad altri 1600 cristiani per essere avviato ai lavori forzati. Nessuno arriverà a destinazione, perché a piccoli gruppetti verranno uccisi tutti. Al vescovo Ignazio, dopo l’ennesima offerta di libertà in cambio della conversione all’Islam, sparano un colpo alla nuca, che poi cercheranno di mascherare come “embolia coronarica”: è l’11 giugno, festa del sacro Cuore, e lui ha appena 46 anni Il calvario degli Armeni continua e un mese dopo anche sua mamma e un fratello verranno massacrati per la fede.
Giovannei Paolo II ha riconosciuto come autentico martirio la morte del vescovo Ignazio e lo ha solennemente beatificato il 7 ottobre 2001.

Autore: Gianpiero Pettiti

 


 

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perchè grande è la vostra ricompensa nei cieli! (Matt. 5, 11-12). Quest'ultima beatitudine, proposta da Nostro Signore con una particolare insistenza, è sempre d'attualità, in ogni epoca della storia. Così Papa san Pio X poteva dire, nel 1911: «La Chiesa è una Chiesa perseguitata. In realtà, se la Chiesa non fosse vittima della persecuzione, cesserebbe d'essere la Chiesa di Gesù Cristo, e perderebbe una prova della sua autenticità». Tali parole rivolte ad un sinodo della Chiesa cattolica armena, tenutosi a Roma, si sono rivelate profetiche: qualche anno più tardi, la Chiesa armena subisce un vero genocidio. Fra le vittime, c'era Monsignor Ignazio Maloyan, presente al sinodo di cui sopra. Quando fu martirizzato, il vescovo dichiarò ai suoi persecutori: «Dio non voglia che io rinneghi Gesù, il mio Salvatore. Versare il mio sangue a favore della mia fede è il più vivo desiderio del mio cuore!»
Shoukr Allah (o Chukrallah) Maloyan è nato, quarto di otto figli, nell'aprile del 1869 a Mardine, in Armenia, provincia del sud-est della Turchia. L'Armenia, evangelizzata dagli apostoli san Giuda e san Bartolomeo, diventò una nazione cristiana nel 305, quando san Gregorio l'Illuminatore, primo patriarca dell'Armenia, battezzò il re Tiridate. A partire dall'XI secolo, il paese cadde in mano ai Turchi; tuttavia, durante i successivi nove secoli il popolo resisté al fine di conservare la propria lingua e la religione cristiana. Gli Armeni sono divisi in due confessioni: «la Chiesa apostolica», che non ha nessun legame con la Santa Sede, e la Chiesa cattolica armena, cui appartiene la famiglia Maloyan. Nel XIX secolo, una rinascita della cultura armena si ispirò alla fede cristiana, e si manifestò in modo particolare nelle famiglie.
Molto presto, il giovane Shoukr Allah presenta i segni di una vocazione religiosa. A quattordici anni, il parroco lo manda in un istituto per la formazione del clero di rito armeno, a Bzommar, nel Libano. Là, per cinque anni, si dedica allo studio delle lingue armena, turca, araba, francese ed italiana. Malgrado delle difficoltà dovute al suo stato di salute, difficoltà che lo obbligano a sospendere gli studi per tre anni, viene ordinato sacerdote il 6 agosto 1896, e sarà chiamato da allora Padre Ignazio.
Inviato, nel 1897, in missione ad Alessandria, poi al Cairo, egli acquisisce la fama di sacerdote esemplare. All'epoca, scrive lui stesso: «Dalla sera alla mattina, visito gli ammalati, i poveri, i bisognosi. La sera, quando vado a letto, sono assolutamente esausto. Non c'è nessuno che si occupi di questi sventurati, visto che tutti seguono i propri interessi ed i propri profitti personali. Quanto a me, sono pieno di gioia, sapendo di compiere la volontà di Dio». La fama di Padre Ignazio quale predicatore di ritiri spirituali e conferenziere, fa sì che gli vengano spesso richieste prediche, tanto in arabo quanto in turco. Pieno di zelo per la causa dell'unità dei Cristiani, allaccia contatti con i Cristiani Copti d'Egitto, Chiesa separata da Roma, e si sforza di rispondere caritatevolmente alle loro domande relative alla Chiesa cattolica. Nei momenti di libertà, si applica allo studio della Sacra Scrittura e delle lingue. Il Patriarca degli Armeni cattolici, che risiede a Costantinopoli (Istanbul), avendo notato le sue qualità eccezionali, lo nomina segretario nel 1904. Tuttavia, motivi di salute lo obbligano, poco tempo dopo, a tornare in Egitto, dove rimarrà fino al 1910.

In preda alle difficoltà

Ma la diocesi di Mardine si trova in una situazione delicata; il vescovo locale, molto anziano, non è più in grado di far fronte ai gravi problemi che si manifestano: mancanza di sacerdoti formati convenientemente, situazione economica difficile. Egli si ritira, spossato, ed il Patriarca affida l'amministrazione della diocesi a Padre Ignazio. Accolto con entusiasmo nella sua città natale, si trova ben presto confrontato alle medesime difficoltà. «Sono sconsolato per questa diocesi, scrive. Vivere qui è una tortura; e tuttavia è proprio per questo che ci siamo fatti sacerdoti». Il 21 ottobre 1911, in occasione del sinodo dei vescovi armeni riuniti a Roma, Padre Ignazio viene eletto e consacrato arcivescovo di Mardine. Fin dal suo ritorno in patria, apre scuole in cui le tradizioni e la letteratura armena assumono il primo posto; egli esamina altresì tutte le difficoltà dei suoi fedeli; in particolare, si sforza di portar sollievo a coloro che sono perseguitati in ragione della loro fede in Cristo. Infatti, a partire dalla fine del XIX secolo, il sultano Abdul-Hamid cerca di soffocare la rinascita di una coscienza nazionale armena, che ritiene costituire una minaccia per l'unità dell'impero ottomano. Nel 1895, centinaia di chiese e conventi cristiani sono stati distrutti, e centinaia di migliaia di fedeli massacrati; altri, non meno numerosi, hanno lasciato la patria. Quando Monsignor Maloyan s'insedia a Mardine, la persecuzione non è ancora totalmente finita.
Malgrado una salute fragile, il vescovo dimostra un grande coraggio. La sua prima preoccupazione è quella di aiutare i sacerdoti e di formare i seminaristi. È questa una preoccupazione che deve essere nel cuore di tutti i fedeli, ciascuno secondo il posto che occupa: «È più che mai urgente, soprattutto oggi, che si diffonda e si radichi la convinzione che sono tutti i membri della Chiesa, senza alcuna esclusione, che detengono la grazia e la responsabilità della preoccupazione delle vocazioni... Una responsabilità affatto speciale è affidata alla famiglia cristiana, che, in virtù del sacramento del matrimonio, partecipa in modo particolare alla missione educatrice della Chiesa maestra e madre» (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Pastores dabo vobis, 25 marzo 1992, n. 41).

«Dio si cura di coloro che soffrono»

Poco dopo la nomina ad arcivescovo, Monsignor Maloyan scrive, in un rapporto alla Santa Sede: «Il popolo è colpito da disastri: se non si tratta della siccità, si tratta delle cavallette; e l'avarizia del governo senza cuore è sempre presente». Chiede alle autorità civili, ma invano, l'autorizzazione di recarsi in Europa o in America, per ottenere fondi. Di fronte ad una tale situazione, chiede di esser rimosso dalla sua carica. «Ovunque la povertà. Il governo, senza posa, in modo insidioso, ci assilla, me ed il mio popolo. Nessuno ci compiange, nessuno prova a modificare questa situazione disperata. Che posso fare da solo, abbandonato da tutti?» Ma il Patriarca rifiuta le sue dimissioni. Tuttavia, Dio non lo abbandona; gli accorda la grazia di mantenersi fedelmente al suo posto, e gli fa sperimentare la verità delle parole dell'Apostolo san Paolo: Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perchè possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio (2 Cor. 1, 3-4). Monsignor Maloyan scrive al Superiore di Bzommar: «Sia forte, Padre. Sia certo che Dio le darà tutte le grazie di cui ha bisogno. Non abbia paura! Dio si cura di coloro che soffrono; vedrà che il suo paterno conforto sarà rassicurante in tutte le sue lotte. Pertanto, non badi all'ingratitudine e all'egoismo degli altri. Come lei ben sa, ho bevuto in quel calice amaro. Calice amaro che può esser molto dolce, soprattutto se lo mescoliamo con il calice di Cristo stesso».
La sera del 3 agosto 1914, i partecipanti ad un ritiro spirituale sacerdotale nella chiesa dei Cappuccini di Mardine apprendono che la Turchia si è alleata con la Germania e l'Austria contro la Russia, la Francia e l'Inghilterra. Molti ignorano chi sia in guerra contro chi e perchè. In ottobre, il governatore turco dà l'ordine ai capi religiosi armeni di assicurare la preparazione dei pasti dei soldati. Monsignor Maloyan ed un altro vescovo, Monsignor Tappuni, accettano. Con il pretesto di ricercare i Cristiani disertori, la polizia comincia a sorvegliare le chiese, ad introdursi nelle case e nei conventi, maltrattando le donne e confiscando gli oggetti di valore. La persecuzione contro gli Armeni riprende vigore. Per dissimulare le sue vere intenzioni, il governo turco attribuisce l'Ordine Imperiale a Monsignor Maloyan. Ma questi non si illude. Infatti, il governatore di Diarbekir rivela il suo piano a certi militanti musulmani: «È giunta l'ora di liberare la Turchia dei suoi nemici dell'interno, voglio parlare dei Cristiani. Abbiamo la certezza che le nazioni europee non avranno nulla da eccepire e non ci imporranno sanzioni, visto che la Germania è dalla nostra parte; essa ci sosterrà e ci aiuterà». Inviati governativi diffondono la consegna: «Non risparmiate la vita di nessun Cristiano». Dai confratelli vescovi, Monsignor Maloyan apprende altre notizie inquietanti: le case dei Cristiani e le chiese vengono saccheggiate; la menzione «Cristiano» deve apparire sui documenti d'identità dei soldati; i crimini contro i Cristiani non sono puniti, ecc. Nel gennaio del 1915, tutti i poliziotti ed i soldati cristiani vengono disarmati; i Cristiani impiegati statali vengono licenziati; una milizia armata viene creata con il compito di arrestare i Cristiani e di ammazzarli; quanto alle donne, esse saranno vendute come schiave.

«Il mio più ardente desiderio»

Il 24 aprile 1915, il ministro turco degli interni, Talaat Bacha, annuncia l'eliminazione degli Armeni, con il pretesto di tradimento contro la Turchia. Il 30 aprile, soldati turchi accerchiano la chiesa armena e l'arcivescovado di Mardine, accusando la Chiesa di ricettare depositi d'armi. Non trovando nulla, si accaniscono a distruggere archivi e fascicoli. All'inizio di maggio, Monsignor Maloyan riunisce i sacerdoti e li mette al corrente delle minacce fomentate contro gli Armeni: «Vi incoraggio vivamente a fortificarvi nella fede, dice loro. Mettete ogni speranza nella Santa Croce fondata sulla roccia di san Pietro. Nostro Signore Gesù Cristo ha edificato la sua Chiesa su quella pietra e sul sangue dei martiri. Quanto a noi, poveri peccatori, che il nostro proprio sangue sia mescolato a quello dei puri e santi martiri... È nostro desiderio che mettiate la vostra speranza nello Spirito Santo... Sono sempre stato perfettamente fedele al capo della Chiesa di Dio, al santo Pontefice romano. Il mio più ardente desiderio è quello che il mio clero e il mio gregge seguano il mio esempio e rimangano sempre obbedienti alla Santa Sede... Ed ora, figli miei amatissimi, vi affido a Dio. Vi domando di pregare il Signore di darmi la forza e il coraggio di attraversare questo mondo perituro con la sua grazia e nel suo amore, e, se necessario, di versare il mio sangue per Lui». Con queste parole, il prelato manifesta la sua stima per il dono tanto prezioso della fede ed il suo desiderio di testimoniare in favore della stessa, fino in fondo. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci offre a questo proposito un insegnamento molto illuminante: «Credere in Gesù Cristo e in Colui che l'ha mandato per la nostra salvezza è necessario per essere salvati. Poichè senza la fede... è impossibile essere graditi a Dio (Eb. 11, 6) e condividere le condizioni di suoi figli, nessuno può essere mai giustificato senza di essa e nessuno conseguirà la vita eterna, se non persevererà in essa sino alla fine. La fede è un dono che Dio fa all'uomo gratuitamente. Noi possiamo perdere questo dono inestimabile. San Paolo, a questo proposito mette in guardia Timoteo: Combatti la buona battaglia con fede e buona coscienza, poichè alcuni che l'hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede (1 Tim. 1, 18-19). Per vivere, crescere e perseverare nella fede sino alla fine, dobbiamo nutrirla con la Parola di Dio; dobbiamo chiedere al Signore di accrescerla; essa deve operare per mezzo della carità, essere sostenuta dalla speranza ed essere radicata nella fede della Chiesa» (CCC 161-162).
Gli eventi si precipitano: il 15 maggio, parecchi Armeni vengono arrestati e imprigionati; il 26, una famiglia armena di Diarbekir viene massacrata. Quando gli si offre la possibilità di fuggire, Monsignor Maloyan dichiara: «Abbiamo abbracciato la vocazione di pastore del gregge, ovunque esso si trovi. Siamo determinati ad assolvere i nostri doveri verso Nostro Signore e verso il nostro gregge, anche sino alla morte». Il 3 giugno, festa del Corpus Domini, Monsignor Maloyan commenta, nell'omelia, le seguenti parole di Gesù: Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà (Matt. 16, 25). La sera di quello stesso giorno, viene arrestato e condotto in prigione assieme ad una cinquantina di membri della comunità. Nei giorni seguenti, vengono arrestate parecchie centinaia di Cristiani di riti diversi, con una quindicina di sacerdoti.

«Non rinnegherò mai la mia fede!»

Costretto a comparire davanti al tribunale, Monsignor Maloyan, in piedi, viene assillato con domande relative alle armi che avrebbe nascosto; risponde che si tratta di un'invenzione pura e semplice. Accusato di cospirare contro il governo, replica: «La vostra accusa è pura invenzione. Non mi sono mai opposto al governo. Al contrario, ho difeso i suoi diritti tanto in privato quanto in pubblico, e faccio del mio meglio per salvaguardare i suoi interessi, perchè sono un suo cittadino ed ho ricevuto un'onorificenza imperiale ed un titolo turco». Allora, il commissario di polizia, rimboccandosi le maniche, colpisce il vescovo con la sua cintura. Alle proteste di quest'ultimo, risponde: «Oggi, la spada sostituisce il governo». Invitato a farsi Musulmano, il vescovo fa una mirabile professione di fede: «Dovrete picchiarmi, lacerarmi con coltelli, con spade, con fucili, tagliarmi a pezzettini, perchè non rinnegherò mai la mia fede. Questa è la mia risposta definitiva». Dopo esser stato picchiato, il confessore della fede sospira: «Il corpo soffre il dolore dei colpi, ma l'anima è piena di gioia». Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci insegna: «Devono tutti essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini, e a seguirlo sulla via della Croce attraverso le persecuzioni che non mancano mai alla Chiesa. Il servizio e la testimonianza della fede sono indispensabili per la Salvezza: Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli (Matt. 10, 32-33)» (CCC 1816).
Sul far della notte, al vescovo vengono legati i piedi ed egli è colpito a bastonate. Esclama: «Che colui che mi sente, mi dia l'ultima assoluzione!» Un sacerdote, anch'egli prigioniero, pronuncia allora le parole del perdono. Poi, vengono strappate al coraggioso vescovo le unghie dei piedi e gli si sputa in faccia. Riportato nella sua cella, passa il tempo a pregare, con le braccia e gli occhi alzati al cielo: «Dio mio, Tu hai permesso tutto ciò. Tutto dipende da Te. Fa' conoscere la Tua potenza, poichè ne abbiamo bisogno. Aiutaci in questi tempi tanto difficili, perchè noi siamo deboli e manchiamo di coraggio. Facci la grazia di continuare ad essere testimoni della nostra religione e di perseverare nella lotta per i suoi diritti».

«Pongo la mia gloria nella Croce»

Nei primi giorni di giugno, circa 1600 Cristiani di Mardine vengono deportati. Costretti a camminare gli uni legati agli altri con delle corde, con le braccia strette da catene, i Cristiani giungono a un villaggio curdo, situato a sei ore di marcia da Mardine. Viene allora letto loro il decreto imperiale che li condanna a morte per tradimento. Tuttavia, quelli che si faranno Musulmani, potranno tornare sani e salvi nel loro paese. A nome di tutti, Monsignor Maloyan risponde: «Siamo nelle vostre mani, ma moriremo per Gesù Cristo», poi incoraggia tutti i Cristiani a confessarsi ai sacerdoti che fanno parte del gruppo e fa distribuire loro la santa Comunione. I testimoni narrano che durante questo lasso di tempo, una nuvola luminosa copriva i prigionieri. Poi, certi vengono condotti in località Grotte di Sheikhan, altri a Kalaa Zarzawan. Essi vengono lì massacrati selvaggiamente, ed i loro corpi vengono gettati nei pozzi. Sappiamo questi fatti grazie alla testimonianza di Musulmani che, nella loro rettitudine, non hanno approvato il massacro. Il giorno seguente, gli altri Cristiani, dopo esser stati spogliati dei vestiti, sono costretti a camminare a digiuno e a piedi nudi sulle pietre delle strade e sulle spine dei campi. L'11 giugno, festa del Sacro Cuore di Gesù, essi vengono uccisi a quattro ore di marcia da Diarbekir. A Monsignor Maloyan viene riservata un'altra sofferenza: dopo aver visto morire le sue pecorelle, morirà solo. Il commissario di polizia gli chiede un'ultima volta dove nasconda le armi e se rifiuti di dichiararsi Musulmano. Il vescovo risponde: «Mi sorprende sentirla ripetere la domanda. Le ho già detto parecchie volte che vivo e muoio per la mia fede, la vera fede, e che pongo la mia gloria soltanto nella Croce del mio dolce Salvatore». Allora il comissario gli spara un colpo al collo. Monsignor Maloyan mormora le seguenti ultime parole: «Dio mio, abbi pietà di me. Nelle tue mani, consegno il mio spirito».

«Cerco Lui!»

«La Chiesa avanza nel suo pellegrinaggio attraverso le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio», scriveva sant'Agostino nella Città di Dio. Se la fede può esser messa alla prova da un mondo che si rivela troppo spesso nemico di Dio, noi abbiamo la consolazione di sapere che camminiamo seguendo il Salvatore: Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo. Poichè invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia (Giov. 15, 18-19). I martiri che hanno imitato Gesù fino alla morte ce lo ricordano. «Nulla mi gioverebbe tutto il mondo e tutti i regni di quaggiù, scriveva sant'Ignazio d'Antiochia. Per me è meglio morire per unirmi a Gesù Cristo, che essere re sino ai confini della terra. Io cerco Colui che morì per noi; io voglio Colui che per noi risuscitò».
La popolazione cristiana dell'Armenia turca è stata in gran parte massacrata nel corso di questa persecuzione del 1915, che ha fatto, secondo gli storici, fra un milione e un milione e mezzo di vittime. Tuttavia, numerosi fedeli della Chiesa cattolica armena vivono oggi nella Repubblica armena e in varie parti del mondo. Nel corso del XX secolo, sono stati eretti vicariati patriarcali per gli Armeni a Gerusalemme, a Damasco e in Grecia, ed anche tre esarcati, nell'America del Nord, nell'America latina e in Francia. Ancora una volta, il sangue dei martiri è diventato seme di Cristiani.
Il 7 ottobre 2001, il santo vescovo è stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II, che così lo elogiava: «Monsignor Ignazio Maloyan, morto martire a 46 anni, ci ricorda la lotta spirituale di ogni Cristiano, la cui fede è esposta agli assalti del male. Egli attingeva all'Eucaristia, un giorno dopo l'altro, la forza necessaria per compiere con generosità e passione il suo ministero di sacerdote». Illuminati dall'esempio del beato, richiamiamo alla memoria le raccomandazioni del Papa all'inizio dell'anno dell'Eucaristia, il 7 ottobre 2004: «Bisogna che la Messa sia situata al centro della vita cristiana... La presenza di Gesù nel tabernacolo deve costituire come un polo di attrazione per un sempre più gran numero di anime piene d'amore per Lui e capaci di rimanere a lungo ad ascoltare la sua voce ed a sentire quasi i battiti del suo cuore, Gustate e vedete quanto è buono il Signore (Sal. 33, 9)... Rimaniamo prosternati a lungo davanti a Gesù presente nell'Eucaristia, riparando così con la fede e l'amore, le negligenze, le dimenticanze e addirittura le offese che il Salvatore deve subire in molte parti del mondo. Che ci sia dato di approfondire nell'adorazione la contemplazione personale e comunitaria» (Mane nobiscum, Domine, 17-18).


Autore:
Dom Antoine Marie osb


Fonte:
Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia - www.clairval.com

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Aggiunto/modificato il 2019-12-03

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