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Venerabile Matteo Ricci Sacerdote gesuita

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Macerata, 6 ottobre 1552 - Pechino, Cina, 11 maggio 1610

Matteo Ricci nacque a Macerata il 6 ottobre 1552. Compiuti i primi studi nel Collegio dei Gesuiti della città natale, seguendo la chiamata del Signore, all'età di diciotto anni entrò nella Compagnia di Gesù in Roma.
Nel 1577 chiese ed ottenne di partire per le Missioni d'Oriente. Salpato da Lisbona, dopo sei lunghi mesi di navigazione, giunse in India, a Goa, dove fu ordinato sacerdote. Ricevette poi nel 1582 l'ordine di proseguire per Macao, allo scopo di prepararsi con lo studio e la preghiera ad entrare in Cina, allora impenetrabile agli stranieri. Dopo vari tentativi, il Ricci poté mettere piede sul continente cinese il 10 settembre 1583, fondando la prima residenza di Schiaochin, cui seguirono, a brevi intervalli, quelle di Sciaoceo, di Nanciam, di Nanchino e, finalmente, di Pechino, dove giunse il 24 gennaio 1601, accolto con grandi onori dai dotti, dai mandarini e dallo stesso imperatore. Più che con la parola, il ricci cercò dapprima di diffondere la Fede con la santità della vita, con la cortesia squisita, con la carica verso tutti. Egli elaborò e mise in opera un nuovo metodo di apostolato che consiste nell'adattamento agli usi e costumi indigeni, nel dirigere prevalentemente gli sforzi per convertire i dotti e le classi dirigenti e nel curare la formazione del clero indigeno. Conoscendo poi la stima che i Cinesi, avevano per la cultura, ne approfittò per presentare la Fede attraverso la scienza, insegnando per il primo in Cina la fisica, l'astronomia, la geografia, la matematica, la musica e pubblicando anche numerosi libri religiosi e scientifici, avidamente letti da tutto l'impero e classificati anche oggi fra i migliori modelli della letteratura cinese. Dopo 28 anni di fecondo apostolato, il Ricci morì santamente a Pechino l'11 maggio 1610, all'età di 57 anni, fra il compianto generale. Il Vescovo di Macerata ha introdotto la causa di beatificazione di P. Matteo Ricci il 19 aprile 1984 e ha chiuso la fase diocesana il 13 aprile 1985; gli atti poi sono stati trasmessi alla Congregazione delle Cause dei Santi. Papa Francesco l'ha dichiarato Venerabile il 17 dicembre 2022.

Etimologia: Matteo = uomo di Dio, dall'ebraico


Parlando dell’opera missionaria svolta in oriente dalla Chiesa Cattolica, è obbligatorio parlare di Padre Matteo Ricci, gesuita, nato a Macerata il 1552, ben più conosciuto in Cina, con il nome Li Ma To, che in Italia, tanto che la sua tomba, a Pechino, dopo essere stata distrutta e ricostruita per tre volte è, attualmente, considerata un bene intoccabile d’interesse nazionale.
Padre Matteo Ricci raggiunse la Cina nel 1583 con un altro gesuita, Michele Ruggieri, al seguito dei colonizzatori portoghesi, che dal 1490 avevano concentrato la spinta espansionistica verso il mondo orientale (India, Cina e Giappone). In principio i missionari appartenevano per lo più agli ordini dei Francescani o dei Domenicani, ma in queste lontane terre l’ordine dei Gesuiti, in virtù di una forte formazione teologica, umanistica e scientifica sembrò assolutamente il più adatto per affrontare e risolvere il problema dell’approccio e dell’interazione con popoli così diversi e forti di una immensa tradizione e cultura.  La situazione che il gesuita trovò non era certo facile: la Cina, chiusa a se stessa, aveva da sempre impedito agli occidentali di sbarcare e tantomeno permanere all’interno del territorio cinese ma, Matteo Ricci, grazie ad una sorta di protezione locale guadagnata con la sua particolare capacità e sensibilità, riuscì a stabilirsi prima nell’attuale Zhaoqin nella regione di Canton, poi a Nanchino (1585 – 1601) ed infine a Pechino fino al 1610, anno della morte.
Così racconta il gesuita l’ingresso a Zhaoqin e il ricevimento al palazzo del governatore: “I Padri furono ricevuti con benignità e il governatore chiese loro chi erano, di dove venivano e cosa volessero…risposero che erano religiosi venuti attratti dal buon governo della Cina e desideravano solo un luogo dove potessero fare una casetta e una chiesa servendo fino alla morte al loro Dio”. Egli, cercando fin dall’inizio di “farsi cinese con i cinesi”, si presentò nel pieno rispetto delle tradizioni e della cultura orientale, come un letterato dell’Occidente portatore sia di nuovissime cognizioni in campo matematico, astronomico e geografico, allora sconosciute alla classe letterata cinese, sia di un nuovo messaggio religioso. All’inizio del suo apostolato Matteo Ricci nell’intento di superare l’ostilità con la quale erano visti in Cina gli stranieri decise di indossare l’abito del monaco buddista pensando di dare l’idea comunque di ciò che era e cioè un «uomo di religione»
Ben presto si rese conto che la concezione religiosa di quella gente era assolutamente diversa da quella occidentale e i monaci, vivendo una vita a sé, non godevano di una buona reputazione sia presso il popolo che presso i letterati e i mandarini. La società, infatti, poggiava su elementi di natura confuciana, una dottrina che valorizzava e consolidava la formazione dello stato burocratico centralizzato e formato, e ciò avveniva in piccolo anche all’interno del nucleo familiare, sul principio gerarchico (sovrano e suddito, padre e figlio, fratello maggiore e minore, marito e moglie, anziano e giovane).  L’individuo aveva due doveri da assolvere per partecipare attivamente alla vita sociale e cioè quello di essere un uomo retto e compassionevole.
Il fervente desiderio di evangelizzare proprio dei missionari viene mitigato dalla particolare sensibilità d’animo del gesuita che in poco tempo comprende come sia articolata e complessa la realtà nella quale si ritrova e formula una sorta di strategia: per primo l’attento studio della lingua cinese, “come a cosa che dipende in molta parte la conversione della Cina, perché chi non l’usa è considerato come barbaro e non può dar frutto”. Poi andò decisamente contro l’idea di evangelizzazione intesa semplicemente come il raggiungimento del più alto numero di convertiti, ma si preoccupò, e lo fece per tutta la sua vita, di capire ed entrare fin nel profondo nella cultura cinese cercando tutti gli aspetti positivi attraverso i quali avrebbe potuto portare il messaggio cristiano: “ non bisogna tenere conto del frutto che si fa solo dal numero dei cristiani, ma considerare le fondamenta che si va facendo per una cosa molto grande”.
Matteo Ricci nutriva un profondo rispetto dei valori spirituali e intellettuali dei cinesi, amò e imparò la loro storia, la loro arte millenaria e con attenzione e ammirazione studiò i testi classici antichi e arrivò all’originale intuizione che la religione cristiana, nei suoi valori non si discostava da questi, anzi era un “perfezionamento dell’antica sapienza cinese”, ai suoi occhi il confucianesimo appariva una scuola di virtù e morale laica che si ben poteva adattare al cristianesimo.
Il terzo aspetto era legato alla convinzione che per poter diffondere il cristianesimo in Cina bisognava ottenere una sorta di approvazione ufficiale per i predicatori e la libertà per i cinesi di poter professare la loro fede. Pertanto era fondamentale arrivare direttamente nel cuore della Cina, ovvero alla corte dell’Imperatore a Pechino. Per questo smise l’abito del monaco buddista e si presentò così non più come uomo di religione ma come “teologo, predicatore e letterato occidentale” modellando tutta la sua vita e il suo aspetto esteriore su quella dei dotti cinesi. Adottò così l’abito dei letterati, si lasciò crescere la barba e i capelli e negli spostamenti utilizzava rigorosamente la portantina. In questo modo ed in virtù delle sue conoscenze riuscì finalmente ad entrare nelle cerchia dei letterati cioè nel grado più elevato della scala gerarchica. Questo potrebbe sembrare strano o forse frutto di una mente un po’ eccentrica, ma di fatto per i missionari era davvero difficile portare la parola di Dio in un paese dove l’imperatore era considerato il «Figlio del Cielo» e dove tutto ciò che era straniero era visto con ostilità e dunque bandito.
Durante il soggiorno a Zhaoqin, dunque nel primo periodo della sua residenza in Cina, con l’aiuto di un letterato cinese battezzato in quell’anno, stampò un breve catechismo in cinese in una tiratura di 1200 copie e questo libercolo è in assoluto il primo libro scritto da stranieri in lingua cinese.    Nel 1589, dopo mille difficoltà, calunnie e citazioni in tribunale, fu mandato via da Zhaoqin e si rifugiò a Shaozhou dove per sei anni, intrecciando solide amicizie con le menti più aperte dei letterati dell’epoca, si dedicò allo studio della lingua e alla traduzione di molti testi classici cinesi in particolare confuciani, e alla traduzione in lingua cinese di diverse opere scientifiche occidentali che Matteo Ricci aveva portato con se quali ad esempio i primi 6 libri degli «Elementi» di Euclide.
Diverse sono le opere scritte dal Ricci che incontrarono l’ammirazione di un sempre più crescente numero di lettori: “Dieci capitoli di un uomo strano” stampato nel 1607, un libro di morale il cui titolo alludeva ad una celebre frase di Confucio:” L’uomo è strano per gli uomini, ma è simile a Dio”. L’opera dal titolo “Genuina nozione di Dio” dove con argomentazioni filosofiche, partendo proprio dalle fonti dei classici cinesi, Ricci provò l’esistenza di Dio, creatore e governatore di tutti gli esseri viventi. Dimostrò l’immortalità dell’anima umana e confutò il monismo panteistico e la dottrina della metempsicosi.
Il “Trattato sull’amicizia” dove riportò in cinese detti dei filosofi e santi occidentali sull’amicizia e dove egli stesso defìniva l’amico come “la metà di me stesso, anzi un altro io”.   Sicuramente l’opera con la quale ottenne più prestigio e ammirazione e attraverso la quale riuscì finalmente ad entrare nelle grazie dell’Imperatore fu il «Mappamondo» che svelò agli occhi dei cinesi gli esatti contorni della loro terra dandogli una esatta posizione in relazione ai poli e all’equatore, rivelando mondi che conoscevano appena quali l’Europa e terre che non conoscevano affatto quali le Americhe e l’Africa. La «Grande Mappa dei Diecimila Paesi» in proiezione schiacciata a mò di pannelli conobbe cinque successive versioni fino ad essere presentata all’imperatore Wanli (1573-1620) ed essere appesa nel Palazzo Imperiale a Pechino.
Il nome utilizzato da Matteo Ricci per disegnare il mappamondo cioè “mappa dei diecimila paesi”, rende già l’idea della sua straordinaria sensibilità unita ad un profondo rispetto per la tradizione cinese infatti il termine diecimila ha un significato simbolico e tutti i testi classici cinesi sono permeati dalla simbologia dei numeri (per diecimila si intende un numero sconfinato e quando si fa riferimento nei classici al popolo cinese si richiama il termine “diecimila popoli”). Avendo studiato a Roma sotto la guida di Clavio, l’astronomo a cui si deve la riforma del calendario adottata da Gregorio XIII, M. Ricci portò un grande aiuto agli astronomi cinesi nel formulare i calcoli relativi al calendario al fine di far coincidere il calendario stesso con le stagioni. La cosa si rivelò di assoluta importanza per la diffusione del  cristianesimo in Cina, in quanto da allora ai gesuiti fu affidato il compito di formulare ogni anno il nuovo calendario e successivamente in segno di riconoscenza l’imperatore Kangxi concesse loro un editto di tolleranza (1690) e l’autorizzazione ad erigere chiese cristiane in tutta la Cina.
La riforma del calendario che ai nostri occhi non sembra grossa cosa, fu invece sentita molto dai cinesi tanto che fino a cinquant’anni fa, cioè prima della rivoluzione culturale, le corporazioni di orologiai di Shanghai ancora erano solite accendere incenso alla statua del Ricci.
Attraverso la ricca e particolare personalità di Matteo Ricci si avviò un processo di avvicinamento e di conoscenza di due civiltà lontane e per tanti versi antitetiche: da una parte presentò alla classe letterata le grandi acquisizioni del Rinascimento in campo matematico, cartografico e astronomico, dall’altra parte dette a tutta l’Europa, grazie ai suoi scritti quali «Dell’entrata della Compagnia di Gesù e Cristianità della Cina», una conoscenza obiettiva e priva di giudizi del pensiero e della civiltà cinese.
Nell’accostarsi al pensiero di Matteo Ricci non ci si deve far trarre in inganno dalla voluminosa opera di traduzioni e di intermediazione che il missionario svolse nei confronti di due culture diverse, infatti bisogna tenere bene in conto che tutto ciò che lui fece fu fatto in pieno spirito di evangelizzazione, utilizzando il suo sapere e il suo desiderio di conoscenza unicamente come mezzo per farsi accettare quale straniero testimone della parola di Dio.
Mai si pose in atteggiamento di superiorità nei confronti di gente diversa, cosa per altro a quei tempi assolutamente radicata nella cultura occidentale, mai pensò di distruggere le convinzioni dei popoli locali in fatto di spiritualità per poi avere un terreno libero e professare un nuova religione, ma tutt’altro, forte della convinzione che tutti siamo fratelli in Dio, senza particolari problemi riuscì a bene adattarsi e fare propri gli usi e costumi della civiltà cinese cercando in essa tutti i valori positivi attraverso i quali era poi possibile far passare la parola di Dio. In questo l’intuizione del Ricci fu grande tanto da anticipare di secoli ciò che verrà detto dal Concilio Vaticano II « Bisogna conoscere bene le tradizioni nazionali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che in esse si nascondono»
Elaborò la terminologia cinese della teologia e della liturgia cattolica, creando le condizioni per far conoscere Cristo e incarnare il suo messaggio evangelico nel contesto della cultura cinese e, citando Giovani Paolo II si fece talmente “cinese coi cinesi” da divenire un vero sinologo, nel più profondo significato culturale e spirituale del termine, poiché nella sua persona seppe realizzare una straordinaria armonia interiore tra il sacerdote e lo studioso, tra il cattolico e l’orientalista, tra l’italiano e il cinese.


Autore:
Roberto Falaschi


Fonte:
www.chinalink.it

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Aggiunto/modificato il 2022-12-17

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