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Serva di Dio Filomena Giovanna Genovese Terziaria francescana

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Il secolo XIX è stato un periodo di fioritura incredibile di figure sante e ognuna nel proprio campo, religioso, sociale, casalingo, ha manifestato la propria fede, con il sacrificio, il dolore fisico e spirituale, il martirio, l’apostolato, la carità verso il prossimo, l’amore a Dio, la fiducia nella Provvidenza.
Numerosi fondatori e fondatrici di Congregazioni religiose, missionari eroici e martiri, vescovi fecondi di opere apostoliche, dotti ed insigni sacerdoti e religiosi, scienziati, pedagogisti, sanitari, scrittori, mistici.
E in questa moltitudine di santità in buona parte già riconosciuta dalla Chiesa, vi fu in particolare nelle regioni del Regno di Napoli, il fiorire di un tipo di santità, che vide coinvolte figure di donne magnifiche e nel contempo silenziose e nascoste, che avevano consacrata la loro vita a Dio, pur rimanendo a pregare, soffrire ed operare nella loro casa, irradiando nel rione o quartiere, una spiritualità che attirava fedeli in abbondanza.
Il popolo le chiamò: “Monache di casa”, a questa schiera appartennero per citarne alcune: S. Maria Francesca delle Cinque Piaghe, terziaria alcantarina, “la santa dei quartieri spagnoli” a Napoli; la serva di Dio Anastasia Ilario terziaria domenicana, “la santarella di Posillipo”; la serva di Dio Maria di Gesù Landi terziaria francescana, fondatrice del Tempio dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio a Capodimonte, la venerabile Genoveffa De Troia, terziaria francescana che a Foggia trasformò il suo letto di dolore per 50 anni, in un altare sacrificale per il bene degli altri; la serva di Dio Maria Angela Crocifissa (Maria Giuda) del popolare quartiere Mercato a Napoli; Maria Maddalena della Passione, terziaria Serva di Maria di Castellammare di Stabia.
E tante altre che iniziarono la loro consacrazione in casa, per divenire poi fondatrici di Istituti religiosi. Fra questo elenco certamente incompleto deve essere annoverata la serva di Dio Filomena Giovanna Genovese, che alcuni avevano denominata la “santa monaca”; questo delicato e nel contempo vigoroso fiore di santità, era nato nell’antica diocesi di Nocera, il 28 ottobre 1835 da Paolo Genovese e Maria Petrosino, ottava di undici figli, i genitori erano benestanti e molto religiosi.
Filomena crebbe in un alternarsi di fatti prodigiosi che la interessarono, sì da far comprendere anche nella tenera età, una particolare predestinazione per la sua futura vita spirituale. Ad otto mesi, la madre l’affidò a s. Antonio da Padova, durante la processione, la piccola fu avvicinata, come di consuetudine al simulacro e Filomena prontamente allungò le braccine abbracciando il collo del santo.
Avrà sempre per tutta la vita, una intensa devozione al santo dei miracoli; ad un anno pronunciò la sua prima parola, in braccio alla madre che la sollecitava a parlare, lei si rivolse verso un quadro della Madonna e disse distintamente: ‘Ave Maria’! Le bambole tanto care alle bambine piccole, da lei furono sostituite con una statuina di Gesù Bambino, da cui non si distaccava mai offrendola al bacio a tutti i componenti della famiglia. Si salvò dall’epidemia di colera che nel 1837 aveva ancora una volta colpito il Regno di Napoli e che nella sola Nocera uccise 996 persone su circa 16.000 abitanti.
Fatto eccezionale per quei tempi, a sette anni ricevé la Prima Comunione, ed a 14 la Cresima, amministrata nel 1851 dal vescovo di Nocera. Avrebbe voluto consacrarsi a Dio nello stato religioso, ma per varie ragioni ciò non fu possibile, perciò nel giorno di Pentecoste del 1851 nell’Oratorio di S. Lucia, alla presenza del sacerdote Domenico Ramaschiello emise i voti privati di obbedienza, povertà e castità; anticipatrice dei moderni stati secolari di perfezione.
Si iscrisse al Terz’Ordine Francescano il 28 febbraio 1855, frequentando assiduamente la chiesa di S. Maria degli Angeli, officiata dai Frati Minori. Visse una vita modesta, ritiratissima e penitente, vestiva poveramente, in netto contrasto al suo rango, con sottana e giacchettino neri, con sulle spalle una scolla bianca che finiva incrociata sul petto, il capo sempre velato.
Nonostante la presenza di domestiche, voleva fare da sé i lavori di casa anche i più pesanti per aiutarle; si distinse per la devozione alla Passione di Cristo, a Gesù Eucaristia che riceveva ogni giorno, alla Vergine Immacolata e a s. Antonio; aiutava i numerosi poveri ed ammalati che bussavano alla sua porta ed a tutti dava un aiuto per i bisogni o un balsamo da lei stesso preparato, per lenire le sofferenze.
Come tante mistiche e sante penitenti del passato, Filomena chiedeva a Gesù Crocifisso di farle sentire anche una parte delle sofferenze della Croce. Prese a flagellarsi fra la dissuasione dei familiari e del suo direttore spirituale, raggiunse un tale grado di rinnegamento di sé, da scegliere di non lavarsi né pettinarsi, per emulare il più possibile Cristo sofferente sulla salita del Calvario. L’11 maggio 1852, morì nella casa di Nocera dei Genovese, il fratello minore Vincenzino seminarista, colpito da una mortale forma di tifo, che nel giro di circa un mese nonostante le cure di dottori e familiari, lo portò alla tomba.
Filomena che l’aveva amorevolmente assistito, gli fu accanto fino all’ultimo; accompagnata fuori dalla stanza, fu assalita da violente convulsioni, che furono poi diagnosticate come ‘corea’ malattia detta anche ‘ballo di s. Vito’.
Il male si manifestò con movimenti aritmici estesi al torace ed agli arti, tanto che per notti insonni e giorni interi Filomena soffrì dolori terribili, che le bloccavano anche la parola. Mai un lamento uscì dalle sue labbra, anzi sembrava contenta, perché per lei, queste sofferenze gliele mandava Gesù, dopo tante sue richieste; il male ebbe alti e bassi, apparenti remissioni e ricadute come successe nel 1863, dopo la morte dell’amato padre che si era paralizzato e che lei aveva curato con tanto amore.
Questa volta le convulsioni e la ‘corea’ infierirono in pieno, fino al giugno 1864, quando improvvisamente si calmarono e lei riuscì a parlare dicendo di aver visto s. Antonio che aveva ottenuto di farla vivere ancora un po’. A delle amiche, senza farlo sentire alla madre, Filomena confidò che il tempo concessole era di sei mesi e poi avrebbe smesso di soffrire e raggiungere così il suo amato bene Gesù.
Costretta dal male su una sedia, non smise le mortificazioni corporali come quello di condire il poco cibo con delle erbe amare, il ballismo tipico della malattia non le dava tanta tregua e lei diveniva ogni giorno più spossata, finché prevedendo lei stessa il giorno, il Signore la chiamò a sé il 13 dicembre del 1864, durante uno dei suoi ripetuti svenimenti, aveva 29 anni.
Esiste della serva di Dio una vasta bibliografia che oltre la vita, illustra anche i prodigi manifestatasi e le grazie attribuitale, che tanti fedeli e testimoni hanno dichiarato. I processi apostolici sono in corso per la sua beatificazione, a cura di padre Tommaso Losenno vice postulatore - Santuario Francescano di Materdomini di Nocera Superiore (SA).


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto/modificato il 2002-09-14

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