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Venerabile Pietro Gazzetti Eremita

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Poggio di Moncerrato, 28 gennaio 1617 - 24 ottobre 1671


L’eremita Fra Pietro Gazzetti nacque il 28 gennaio 1617 a Poggio di Moncerrato e fu battezzato il medesimo giorno nella chiesa parrocchiale di san Lorenzo di Prignano, in diocesi di Reggio Emilia ma in territorio modenese. Il padre Santino oltre a lavorare un podere svolgeva anche la professione di sarto; la moglie Oliva Bonetti proveniva da Faeto, che allora faceva parte della parrocchia di Sassomorello, nella diocesi e nel distretto di Modena. La famiglia era allietata dalla presenza di quattro figli maschi, di cui il nostro Pietro era il minore, e di tre figlie, alle quali ben presto, per la generosità del padre, si aggiunse anche una cugina rimasta in giovane età vedova con una figlioletta.
Pietro, fin da piccolo, com’era costume, aiutava il padre sia nei lavori dei campi sia nel mestiere di sarto. Pur nei continui impegni di lavoro, non tralasciò occasione per imparare almeno a leggere e scrivere. In età giovanile primo maestro gli fu, a Prignano, don Antonio Maria Bertacchini, sacerdote “di gravi costumi e buone lettere”. Dopo aver esercitato il mestiere di sarto a Moncerrato si trasferì a Modena, dove fu per qualche tempo garzone di bottega di un certo Baldocchio. Aveva ormai l’età di 25 anni quando il duca di Modena Francesco I d’Este, nella lite che opponeva Odoardo Farnese al Papa Urbano VIII per il possesso di Castro, si schierò con il Farnese contro lo Stato pontificio. Nella guerra che ne seguì tra i soldati del duca si arruolò, nel 1643, anche Pietro Gazzetti, che prestò servizio dapprima a Modena ed in seguito nel presidio del Finale, allora terra di confine, incuneata nello Stato pontificio. Dopo la firma del trattato di pace tra i belligeranti nella primavera del 1644, Pietro Gazzetti, che in guerra aveva fedelmente servito il duca, rientrò al paese natale con la ferma intenzione di dedicarsi alla vita religiosa.
Non più giovanissimo, pur oberato dai disagi della povertà, dal lavoro nei campi e dall’attività di sarto, riprese gli studi sotto la guida di un maestro di scuola, il chierico don Domenico Tonelli di Vetriola, divenuto poi sacerdote nel 1648. Raggiunse così una buona abilità nel leggere, nello scrivere e nel far di conto. Intraprese anche numerosi pellegrinaggi a santuari e a luoghi santi, tra i quali si ricordano la Santa Casa di Loreto e San Francesco d’Assisi, dove ebbe modo di manifestare la sua soda e profonda devozione. Il tempo che non era dedicato ai campi, alla bottega e alla scuola, trascorreva ormai nella lettura dell’ufficio della Vergine, del Leggendario dei santi e d’altri libriccini spirituali, che si raccontava avesse sempre tra mano; era inoltre sempre più parco nel mangiare e nel bere e si diceva che la sua cena consistesse in una fetta di pane in poche noci e in un piccolo bicchiere di vino. La domenica era interamente dedicata alla preghiera, al servizio delle funzioni parrocchiali; inoltre, non appena ne fu all’altezza, si diede con zelo e passione ad insegnare ai fanciulli i principi della dottrina cristiana. Anche nella vita quotidiana non tralasciava mai, all’occorrenza, di intervenire nelle conversazioni per riportare quanto aveva udito nelle prediche o letto nelle vite dei santi ad edificazione dei presenti. La sua vita era tale che i conoscenti e i familiari lo chiamavano, non senza una punta di motteggio, il frate.
In verità all’ordine dei padri Cappuccini aveva sempre guardato con favore fin dalla sua prima fanciullezza, ma non si era mai deciso a raggiungerli, vuoi per l’estrema povertà della famiglia, che non poteva privarsi della sua persona e delle sue braccia, vuoi per una certa irresolutezza dovuta all’umiltà della sua indole. Dopo la scomparsa del padre, nel 1642, il servizio nell’esercito, l’avanzamento negli studi e un periodo di penitenza e digiuni, chiese di essere ammesso a vestire l’abito religioso; nonostante la mediazione del suoi diretti Signori, il marchese Giulio e il conte Giovanni Antonio Montecuccoli, le sue richieste non furono accolte. Le obiezioni non nascevano tanto dalla sua comprovata devozione, ma dall’età ormai avanzata, dalla complessione non molto robusta ed anche dall’utile che poteva averne la sua famiglia restando nel secolo. I padri provinciali, coi quali parlò, gli diedero sempre molti e buoni consigli ma deboli e dilazionate speranze per l’ingresso nell’Ordine. Solo quando, nel 1649, uscì il decreto di papa Innocenzo X che imponeva ai Padri Superiori d’Italia di non accettare più novizi, Pietro Gazzetti si rassegnò ed accolse il consiglio del Padre Provinciale di farsi eremita.
Gli impedimenti familiari erano caduti dopo la morte della madre, avvenuta il 10 novembre 1648. Pietro Gazzetti dopo aver distribuito ogni suo avere ai familiari e ai poveri, e dopo aver salutato amici e parenti, partì da Poggio di Moncerrato il 16 settembre 1652 alla volta di Bologna per iniziare la vita eremitica. Dopo una breve sosta a Bologna, dove visse d’elemosina, partì in pellegrinaggio alla volta di Roma, per meglio comprendere la volontà del Cielo. Alloggiò nello Spedale di Santa Maria di Costantinopoli, frequentato abitualmente da siciliani: qui incontrò l’eremita fra Diego Cannata, di Taormina, che era venuto a Roma per visitare i luoghi santi. La comune vocazione di totale e incondizionata dedizione al Signore li spinse a considerare la possibilità di una sorta di vita comune pur nella scelta della via eremitica. Fra Pietro Gazzetti, superò ogni dubbio in proposito dopo aver pregato e, rivolto al compagno, gli disse che era volontà di Dio che partissero insieme per la Sicilia, verso cui si incamminarono il 6 febbraio 1653.
I due eremiti prima di andare a vivere nell’antico romitorio di Fra Diego, si recarono in visita a un suo fratello nel convento domenicano di Noto. Qui giunsero il 5 aprile 1653 e furono accolti nel Romitorio di San Corrado, patrono della città, dove con nuova e improvvisa decisione fissarono la loro dimora. Pietro Gazzetti scelse allora come proprio confessore il padre Pietro Piccoli della Compagnia di Gesù e gli affidò la guida della propria anima. Rimasero per quattro anni in quel luogo, poi per evitare gli incomodi dei sempre più numerosi fedeli che si recavano da loro in visita, su indicazione del confessore, trovarono un romitorio più appartato nella Cava Grande. Un anno e mezzo dopo il padre Piccoli fu trasferito a Siracusa quale docente di Teologia morale: per rimanere non troppo lontano dal confessore, che visitava regolarmente ogni sabato, fra Piero si trasferì pure lui a Siracusa nella chiesa della Santa Casa di Loreto. Ma le rimostranze degli abitanti di Noto convinsero padre Piccoli a farlo ritornare nella loro città, non però alla Cava Grande ma nel romitorio di San Giovanni in Lardia, dove rimase fino a quando padre Piccoli si trasferì, questa volta come docente di Teologia mistica, a Messina. Fra Pietro si fermò nella chiesuola di Santa Maria della Visitazione di Messina, su una collinetta nei pressi della città, fino al 1665, quando, rientrato in Noto, ebbe come nuovo confessore il padre Antonio Marescalchi, pure della Compagnia di Gesù.
Infinite sono le testimonianze di mortificazione, di purezza, di povertà, d’obbedienza e di carità dell’eremita Fra Pietro Gazzetti, accompagnate dalle non meno numerose attestazioni dei fedeli che, chiesto a lui, ancora vivente o dopo la sua morte, un rimedio divino alle loro miserie e alle loro disgrazie, hanno ottenuto quanto chiedevano.
Nell’autunno del 1671 fra Pietro Gazzetti si recò a Siracusa per rendere visita al suo primo confessore, il padre Piccoli, che aveva lasciato Messina per Siracusa dove svolgeva le mansioni di Teologo vescovile, chiamatovi da Giovanni Antonio Capobianchi, vescovo della città. Dopo tre giorni di permanenza fra Pietro e il compagno fra Diego fecero ritorno al romitorio di San Giovanni in Lardia. Una pioggia dirotta e un vento freddo e violento fecero ammalare gravemente i due eremiti. Fra Pietro Gazzetti, sopraggiunte febbri altissime, non si rimise più in salute; anzi le sue condizioni divenivano sempre più critiche e fu trasportato a Noto per esservi curato. Ogni intervento fu inutile e, dopo una lenta agonia, ricevuto il Viatico, “con gli occhi in alto, con la mente in Dio, in aria giuliva e ridente senza veruna violenza e moto di volto, poco sopra a tre ore ed un quarto dopo il tramontare del sole, in giorno di Sabato ai 24 d’Ottobre del 1671, rese la sua benedetta anima nelle mani del Creatore, essendo egli allora in età di cinquantacinque anni meno tre mesi”. Così scrisse il gesuita Francesco Maria Quattrofrati nella Vita de Venerabile Servo di Dio Fra Pietro Gazzetti Eremita modenese, stampata a Modena nel 1691 e a Messina nel 1700, basata sulla Vita manoscritta del suo ultimo confessore il padre Antonio Marescalchi e sui racconti di quanti lo avevano conosciuto in vita, ed erano in grado di testimoniare il vero sulla pietà e sulla virtù angelica dell’eremita Fra Pietro Gazzetti.
Fu sepolto davanti all’altare della chiesa del Santissimo Crocifisso di Noto. La devozione dei fedeli verso il Venerabile Servo di Dio fu grandissima, sia nella città di Noto che nella sua terra, che il primo ottobre di quest’anno ha accolto nella chiesa parrocchiale di San Lorenzo di Prignano, in cui era stato battezzato, le sue spoglie mortali, quale segno di una venerazione ancora viva ed operante dopo 350 anni.


Bibliografia

FRANCESCO MARIA QUATTROFRATI, Vita del Venerabile Servo di Dio Fra Pietro Gazzetti Eremita modenese, Modena, Demetrio Degni, 1691

FRANCESCO MARIA QUATTROFRATI, Vita del Venerabile Servo di Dio Fra Pietro Gazzetti Eremita modenese, Modena e Messina, Antonino Maffei, 1700

Fra Pietro Gazzetti Servo di Dio in Sicilia, in “La Libertà”(Giornale della Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla), n. 41, 22 novembre 2003

Fra Pietro Gazzetti, in “Prignano Informa” (Giornale del Comune di Prignano sulla Secchia, Modena), agosto 2004


Autore:
Giorgio Montecchi

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Aggiunto/modificato il 2004-09-14

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