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Beato Roberto Watkinson Sacerdote, martire

20 aprile

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Hemingborough, York, 25 dicembre 1579 - Londra, 20 aprile 1602

La storia del cattolicesimo in Inghilterra dal XVI al XVII secolo è un'epopea di sangue e martirio, in cui la fede incrollabile di migliaia di fedeli si scontra con la ferocia persecutoria di monarchi, politici e religiosi. Lo scisma anglicano, innescato da Enrico VIII, inaugura un periodo di terrore per i cattolici, costretti a scegliere tra abiurare la propria fede o affrontare torture efferate e morte atroce. Dall'ascesa al trono di Elisabetta I fino al 1681, il regno inglese si tinge del rosso del sangue dei martiri: sacerdoti, laici, uomini e donne di ogni ceto sociale che, con eroico coraggio, resistono alle lusinghe, alle pressioni e alle brutalità pur di rimanere fedeli al Papa e alla Chiesa di Roma. Roberto Watkinson, nato nel 1579, è uno di questi eroi silenziosi. Giovane sacerdote, animato da profonda fede e zelo apostolico, lascia l'Inghilterra per sfuggire alle persecuzioni e formarsi in esilio. Rientrato clandestinamente in patria per portare conforto e sacramenti ai cattolici oppressi, viene tradito, arrestato e condannato a morte. Il 20 aprile 1602, a soli 22 anni, Watkinson sale sul patibolo di Tyburn a Londra, offrendo la sua giovane vita in testimonianza della sua fede.

Martirologio Romano: A Londra sempre in Inghilterra, beati Francesco Page, della Compagnia di Gesł, e Roberto Watkinson, sacerdoti e martiri, che per il loro sacerdozio, per uno dei quali iniziato da appena un mese, furono costretti, sotto la regina Elisabetta I, a salire insieme sul patibolo di Tyburn.


La storia delle persecuzioni anticattoliche in Inghilterra, Scozia, Galles, parte dal 1535 e arriva al 1681; il primo a scatenarla fu come è noto il re Enrico VIII, che provocò lo scisma d’Inghilterra con il distacco della Chiesa Anglicana da Roma.
Artefici più o meno cruenti furono oltre Enrico VIII, i suoi successori Edoardo VI (1547-1553), la terribile Elisabetta I, la ‘regina vergine’ († 1603), Giacomo I Stuart, Carlo I, Oliviero Cromwell, Carlo II Stuart.
Morirono in 150 anni di persecuzioni, migliaia di cattolici inglesi appartenenti ad ogni ramo sociale, testimoniando il loro attaccamento alla fede cattolica e al papa e rifiutando i giuramenti di fedeltà al re, nuovo capo della religione di Stato.
Primi a morire come gloriosi martiri, il 4 maggio e il 15 giugno 1535, furono 19 monaci Certosini, impiccati nel tristemente famoso Tyburn di Londra, l’ultima vittima fu l’arcivescovo di Armagh e primate d’Irlanda Oliviero Plunkett, giustiziato a Londra l’11 luglio 1681.
L’odio dei vari nemici del cattolicesimo, dai re ai puritani, dagli avventurieri agli spregevoli ecclesiastici eretici e scismatici, ai calvinisti, portò ad inventare efferati sistemi di tortura e sofferenze per i cattolici arrestati.
In particolare per tutti quei sacerdoti e gesuiti, che dalla Francia e da Roma, arrivavano clandestinamente come missionari in Inghilterra per cercare di riconvertire gli scismatici, per lo più essi erano considerati traditori dello Stato, in quanto inglesi rifugiatosi all’estero e preparati in opportuni Seminari per il rientro.
Tranne rarissime eccezioni come i funzionari di alto rango (Tommaso Moro, Giovanni Fisher, Margherita Pole) decapitati o uccisi velocemente, tutti gli altri subirono prima della morte, indicibili sofferenze, con interrogatori estenuanti, carcere duro, torture raffinate come “l’eculeo”, la “figlia della Scavinger”, i “guanti di ferro” e dove alla fine li attendeva una morte orribile; infatti essi venivano tutti impiccati, ma qualche attimo prima del soffocamento venivano liberati dal cappio e ancora semicoscienti venivano sventrati.
Dopo di ciò con una bestialità che superava ogni limite umano, i loro corpi venivano squartati ed i poveri tronconi cosparsi di pece, erano appesi alle porte e nelle zone principali della città.
Solo nel 1850 con la restaurazione della Gerarchia Cattolica in Inghilterra e Galles, si poté affrontare la possibilità di una beatificazione dei martiri, perlomeno di quelli il cui martirio era comprovato, nonostante i due-tre secoli trascorsi.
Nel 1874 l’arcivescovo di Westminster inviò a Roma un elenco di 360 nomi con le prove per ognuno di loro.
A partire dal 1886 i martiri a gruppi più o meno numerosi, furono beatificati dai Sommi Pontefici, una quarantina sono stati anche canonizzati nel 1970.

Roberto Watkinson nacque il 25 dicembre 1579 da genitori cattolici a Hemingborough nella contea di York; studiò a Castleford e poi a Londra e Richmond.
A seguito della persecuzione contro i cattolici, scatenata dalla sanguinaria regina Elisabetta I, lasciò l’Inghilterra nel 1598 e si recò a Douai in Francia, nel Collegio Inglese, dove si preparavano al sacerdozio i futuri sacerdoti inglesi.
Venne ammesso l’11 ottobre 1598 e da lì il 12 settembre 1599 fu inviato al Collegio Inglese di Roma, ma per recuperare il suo cagionevole stato di salute, ritornò a Douai il 15 ottobre 1601.
Venne ordinato sacerdote ad Arras il 25 marzo 1602 e il 3 aprile seguente inviato in Inghilterra come missionario; purtroppo non ebbe la possibilità di esercitare il suo ministero, perché il 15 dello stesso mese di aprile fu arrestato a seguito della vile denunzia di un ex studente di Douai, che aveva conosciuto in Francia.
Quale sacerdote ordinato all’estero e rientrato clandestinamente in Inghilterra, padre Roberto Watkinson fu immediatamente processato e condannato a morte, pena che fu eseguita mediante impiccagione nel famigerato Tyburn di Londra il 20 aprile 1602, insieme al gesuita Francesco Page.
Il ventiduenne sacerdote concluse con il martirio la sua giovane vita, che già da alcuni anni aveva conosciuto le sofferenze delle malattie nel suo corpo; si narra che il giorno precedente il suo arresto, mentre camminava per le strade di Londra con un amico cattolico, gli si avvicinò un vecchio, che dopo averlo salutato nel nome del Signore, gli disse: “Sembrate afflitto da molte infermità, ma fatevi coraggio, perché tra quattro giorni tutto sarà passato”.
Fu beatificato insieme ad altri 106 martiri di quel periodo, il 15 dicembre 1929 da papa Pio XI.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto/modificato il 2004-11-06

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