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Beata Vittoria Diez y Bustos de Molina Vergine e martire

12 agosto

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Siviglia, Spagna, 11 novembre 1903 – Hornachuelos, Spagna, 12 agosto 1936

Victoria Díez y Bustos de Molina nasce a Siviglia, in Spagna, l’11 novembre 1903. Prende il diploma di maestra nel 1923 e, quasi contemporaneamente, conosce l’Istituzione Teresiana, un’associazione di laici impegnati a trasmettere la cultura e la fede, fondata dal sacerdote Pedro Poveda Castroverde. Victoria aderisce con entusiasmo a quest’associazione, mentre ottiene i primi incarichi come maestra: nel 1927 ha la nomina a Cheles, al confine col Portogallo, ma l’anno successivo riesce a ottenere il trasferimento a Hornachuelos, tra Cordova e Siviglia. Nello stesso 1928 si impegna definitivamente nel nucleo dell’Istituzione Teresiana, con totale donazione a Dio, aumentando il proprio apostolato. All’insorgere della persecuzione religiosa sviluppata durante la guerra civile spagnola, Victoria continua a vivere e testimoniare con coraggio la sua fede. L’11 agosto 1936 viene arrestata e il giorno dopo, fucilata nei pressi della miniera del paese. È stata beatificata dal Papa san Giovanni Paolo II il 10 ottobre 1993; nella stessa celebrazione in cui fu beatificato anche don Pedro Poveda, che fu poi canonizzato poi il 4 maggio 2003. Le reliquie di Victoria sono venerate nella cripta dell’oratorio della casa dell’Istituzione Teresiana a Cordova.

Martirologio Romano: Nella cittadina di Hornachuelos vicino a Córdova in Spagna, beata Vittoria Díez y Bustos de Molina, vergine e martire, che, insegnante nell’Istituto Teresiano, allo scoppio delle ostilità contro la Chiesa, confessò la sua fede cristiana e subì il martirio, mentre esortava gli altri a fare altrettanto.


Victoria Díez y Bustos de Molina nasce a Siviglia, in Spagna, l’11 novembre 1903. È figlia unica e, forse, un po’ soffocata dall’affetto di mamma e papà. Cresce con questi genitori iperprotettivi, preoccupati sempre per la gracilità della sua costituzione, interiormente divisa tra il senso del dovere verso la sua famiglia e un desiderio missionario che di anno in anno si fa più insistente.
A prezzo di non pochi sacrifici i genitori, di condizione piuttosto modesta, riescono a farla studiare e lei si diploma maestra nel 1923. Studia anche disegno nella Scuola delle Belle Arti di Siviglia. Quasi contemporaneamente conosce la spiritualità di santa Teresa d’Àvila e ne resta affascinata.
Viene in contatto con essa tramite l’Istituzione Teresiana: un’associazione di laici, uomini e donne, che secondo le loro specifiche vocazioni, realizzano nei diversi campi educativi, culturali e professionali, la vocazione cristiana di laici nel mondo, secondo lo stile dei primi cristiani. Pedro Poveda Castroverde, un sacerdote infiammato d’amore per le anime, aveva fondato quest’associazione.
Lei, la maestrina che sta cercando una sede e sta facendo concorsi per poter insegnare, sente che l’Istituzione Teresiana può rappresentare la realizzazione della sua vocazione missionaria, perché le permette, pur restando nel mondo, di vivere la sua professione di insegnante, come una missione evangelizzatrice, nella donazione totale a Cristo e al servizio dei fratelli, soprattutto i più bisognosi.
Nel 1927 vince il suo primo concorso di insegnante e ottiene la prima sospirata nomina, ma deve trasferirsi a Cheles, un paesino dell’Estremadura, quasi al confine con il Portogallo, dove resta per un anno scolastico, in compagnia della mamma. L’anno successivo ottiene l’avvicinamento di sede e si trasferisce a Hornachuelos, a metà strada tra Cordova e Siviglia.
Il 1928 è anche l’anno del suo impegno con Dio e con l’Istituzione Teresiana e questo avvenimento sembra mettere le ali al suo apostolato. Perché nel paese in cui ha ottenuto il trasferimento non c’è che da rimboccarsi le maniche e tuffarsi nel lavoro, senza cercare l’impossibile, ma anche senza accontentarsi del poco che già esiste.
Così organizza e dà nuovo impulso all’Azione Cattolica, programma corsi serali per le donne lavoratrici, trova un nuovo locale per la sua scuola, instaura nuovi rapporti con le famiglie delle sue alunne e riesce a mettere in piedi una rete di sostegno e di aiuto concreto per quelle più bisognose, organizza il catechismo per i ragazzi della parrocchia, addirittura diventa presidente del Consiglio Comunale.
A livello personale sostiene il suo apostolato con una robusta vita di fede e con atti di squisita carità verso le alunne più bisognose, per le quali si priva non poche volte del cibo che la mamma le procura.
Così facendo è inevitabile che in paese rivesta un ruolo di primo piano e che, allo scoppio della guerra civile spagnola e della persecuzione religiosa contro la Chiesa Cattolica, finisca subito nell’occhio del ciclone.
La propaganda antireligiosa ingiunge la soppressione dalle aule scolastiche del crocifisso, che lei si porta a casa, e fa distribuire libri e opuscoli contro la fede cristiana che lei meticolosamente distrugge, per evitare che influiscano negativamente sulla formazione morale e religiosa delle sue alunne.
Il 20 luglio 1936 viene assaltata la chiesa parrocchiale e arrestato il parroco; l’11 agosto tocca a lei essere imprigionata, insieme ad altri in una casa adattata a carcere. All’alba del giorno dopo, legati a due a due, sono diciotto i condannati a morte che sfilano per il paese, scortati dai miliziani, in direzione della miniera ed è lei, unica donna del gruppo, a incitare e incoraggiare gli uomini, soprattutto quelli che tremano al pensiero della morte imminente.
Giunti alla miniera, dopo un processo-farsa, ciascun condannato è posizionato accanto alla bocca del pozzo e fucilato, in modo che il corpo cada direttamente dentro. L’ultima ad essere chiamata è lei, alla quale viene promessa l’immediata libertà, se grida «Viva il comunismo».
Basterebbe davvero poco per aver salva la vita, ma sarebbe un rinnegare la sua fede e insieme a questa, rinnegare tutta la sua vita e l’impegno apostolico fino ad allora profuso. Risponde nel solo modo che sa: «Dico quello che penso: Viva Cristo Re e viva la Madre mia».
Le sue parole sono coperte dagli spari che la fanno scomparire insieme agli altri nel pozzo della miniera. Di lì la tireranno fuori a novembre per seppellirla nel cimitero del paese e trent’anni dopo la trasferiscono nella cripta dell’oratorio della Sede dell’Istituzione Teresiana di Cordova.
Il processo informativo diocesano per l’accertamento del martirio in odio alla fede di Victoria si è svolto dal 24 maggio 1962 al maggio 1963 nella diocesi di Cordova. Il decreto di convalida del processo informativo porta la data dell’11 marzo 1988.
La sua “Positio super martyrio”, consegnata nel 1989, è stata esaminata il 16 marzo 1993 dai Consultori Teologi della Congregazione delle Cause dei Santi e, il 1° giugno dello stesso anno, dai cardinali e dai vescovi membri della stessa Congregazione.
Il 6 luglio 1993, il Papa san Giovanni Paolo II ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui Victoria era riconosciuta ufficialmente come martire. Lui stesso l’ha beatificata il 10 ottobre 1993.
Nella stessa cerimonia è stato beatificato anche don Pedro Poveda, che era stato ucciso in odio alla fede il 28 luglio 1936 a Madrid, quindi pochi giorni prima di lei. È stato poi canonizzato il 4 maggio 2003.


Autore:
Gianpiero Pettiti ed Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2019-02-01

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