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Beata Serafina Sforza (Sveva Feltria) Clarissa

8 settembre

Urbino, 1434 - Pesaro, 8 settembre 1478

Martirologio Romano: A Pesaro, beata Serafina Sforza, che affrontò nella vita coniugale molte avversità e, rimasta vedova, trascorse in grande umiltà i restanti anni della sua vita seguendo la regola di santa Chiara.


Scorrendo le alterne vicende della vita della beata Serafina Sforza, si evidenzia soprattutto un’ampia panoramica partecipativa della nobiltà italiana del Quattrocento, tante sono le Casate e dinastie coinvolte.
Sveva Feltria, appartenne all’illustre famiglia dei conti di Montefeltro, signori di Urbino dal 1234 al 1508 e che proprio negli anni in cui visse Sveva, divenne ducato sotto il fratello Oddantonio (1443). Nacque ad Urbino nella prima metà del 1434, ultima dei figli di Guidantonio e di Caterina Colonna nipote di papa Martino V.
Divenne orfana della madre nel 1438 e del padre nel 1443, essendo una bambina di nove anni, rimase per qualche tempo ad Urbino, prima sotto la tutela del fratello Oddantonio e poi dopo la tragica morte di questi, ucciso nel 1444 in una congiura, del fratello Federico di Montefeltro (1422-1482), celebre condottiero e mecenate dell’arte.
Nel marzo 1446 a 12 anni, lasciò Urbino, andando a vivere per più di un anno a Roma, presso lo zio materno cardinale Prospero Colonna, della celebre famiglia patrizia romana.
Lo zio, secondo gli usi del tempo, trattò il matrimonio della giovanissima nipote, con il quarantenne Alessandro Sforza, signore di Pesaro, che Sveva sposò per procura il 9 gennaio 1448, raggiungendolo solo il 1° settembre successivo.
Ma ben presto Sveva Feltria Sforza rimase sola; per gli impegni militari del marito chiamato nella guerra di Lombardia, a sostenere il fratello Francesco I Sforza (1401-1466) nella conquista del ducato di Milano, possesso poi riconosciutagli con la pace di Lodi del 1454.
Sveva, in sua assenza fu impegnata nei doveri dello Stato a Pesaro, assistita dalla zia Vittoria Colonna, dalla cugina Elisabetta Malatesta dei signori di Rimini, e inoltre nell’educazione dei figliastri Battista e Costanzo Sforza, figli di suo marito e della defunta prima moglie, Costanza Varano dei signori di Camerino.
La lunga lontananza e l’incuria del maturo consorte, impegnato solo nelle guerre e dedito ai facili amori, misero a dura prova i sentimenti e la fedeltà coniugale di Sveva.
Probabilmente cedette alle lusinghe di un cortigiano, per cui fu accusata di adulterio dal marito Alessandro Sforza, nel contempo fu incolpata anche di tentato avvelenamento del marito e di tramare contro di lui con la connivenza della zia Vittoria Colonna, dietro istigazione di Sigismondo Malatesta (1417-1468), al quale si cercava di restituire la signoria di Pesaro.
A parte le accuse formulate ingiustamente contro la moglie, Alessandro sempre più deciso di sbarazzarsene, tentò varie volte di avvelenarla e una notte cercò persino di strangolarla; soliti intrighi e delitti di corte, di cui sono pieni i resoconti storici della vita e delle successioni nelle varie corti europee, specie del Medioevo e secoli successivi.
Nonostante le difese dei parenti, l’infelice Sveva fu costretta dal marito e dal cognato Francesco duca di Milano, ad entrare fra le Clarisse del monastero “Corpus Christi” di Pesaro, dove dopo aver ottenuta la necessaria dispensa da papa Callisto III, fece la sua professione religiosa alla fine di agosto del 1457, prendendo il nome di suor Serafina.
Ritirarsi oppure far ritirare in un convento, era pratica abbastanza usuale fra le nobili, vedove, decadute, perseguitate, ecc., ma questo stato forzato di religiosa, fu per suor Serafina Sforza il trampolino di lancio verso una santità di vita, riscattando l’errore in cui era caduta per la giovanile inesperienza, ma ancor più a causa dell’ambiente corrotto, dove per sua sventura era capitata ancora adolescente.
Visse fra le clarisse di Pesaro 21 anni, nei quali seppe essere di esempio alle consorelle nella pratica delle virtù cristiane, nella carità, nell’umiltà e nell’assistenza agli infermi, tanto che nel 1475 a 41 anni venne eletta badessa.
Ebbe la consolazione di vedere il marito Alessandro, giungere al monastero del “Corpus Christi” per riconciliarsi con lei, riconoscendo i propri torti e tornare in seguito più volte a conversare con lei per la sua redenzione spirituale; Alessandro morì nel 1473.
Cinque anni dopo, l’8 settembre 1478, suor Serafina Sforza morì nel suo monastero di Pesaro a 44 anni, fra il cordoglio generale e pianta profondamente da tutte le clarisse, che ormai da anni la ritenevano una santa e che presero a tributarle quel culto, che poi fu confermato solennemente da papa Benedetto XIV il 17 luglio 1754, con il titolo di beata. La sua festa viene celebrata l’8 settembre.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto/modificato il 2006-02-15

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