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Beato Rolando Rivi Seminarista, martire

13 aprile

San Valentino, Castellarano, Reggio Emilia, 7 gennaio 1931 – Piane di Monchio, Modena, 13 aprile 1945

Rolando Maria Rivi nacque il 7 gennaio 1931 a San Valentino, borgo rurale del Comune di Castellarano (Reggio Emilia), in una famiglia profondamente cattolica. Brillante e vivace, di lui si diceva: «o diventerà un mascalzone o un santo! Non può percorrere una via di mezzo». Con la prima Comunione e la Cresima divenne maturo e responsabile. Rolando, ogni mattina, si alzava presto per servire la Santa Messa e ricevere la Comunione. All’inizio di ottobre del 1942, terminate le scuole elementari, entrò nel Seminario di Marola (Carpineti, Reggio Emilia). Si distinse subito per la sua profonda fede. Amante della musica, entrò a far parte della corale e suonava l’armonium e l’organo. Quando stava per terminare la seconda media, i tedeschi occuparono il Seminario e i frequentanti furono mandati alle loro dimore. Rolando continuò a sentirsi seminarista: la chiesa e la casa parrocchiale furono i suoi luoghi prediletti. Sue occupazioni quotidiane, oltre allo studio, la Santa Messa, il Tabernacolo, il Santo Rosario. I genitori, spaventati dall’odio partigiano, invitarono il figlio a togliersi la talare; tuttavia egli rispose: “Ma perché? Che male faccio a portarla? Non ho voglia di togliermela. Io studio da prete e la veste è il segno che io sono di Gesù”. Questa pubblica appartenenza a Cristo gli fu fatale. Un giorno, mentre i genitori si recavano a lavorare nei campi, il martire Rolando prese i libri e si allontanò, come al solito, per studiare in un boschetto. Arrivarono i partigiani, lo sequestrarono, gli tolsero la talare e lo torturarono. Rimase tre giorni loro prigioniero, subendo offese e violenze; poi lo condannarono a morte. Lo condussero in un bosco, presso Piane di Monchio (Modena); gli fecero scavare la sua fossa, fu fatto inginocchiare sul bordo e gli spararono due colpi di rivoltella, una al cuore e una alla fronte. Poi, della sua nera e immacolata talare, ne fecero un pallone da prendere a calci. Era venerdì 13 aprile 1945. È stato beatificato il 5 ottobre 2013. La memoria liturgica per le diocesi di Reggio Emilia-Guastalla e di Modena-Nonantola è stata fissata al 29 maggio.



Nella primavera del 1977, preparando l’esame di abilitazione in filosofia, mi imbattei in un libro di Mino Martelli, Una guerra, due resistenze (Ed. Paoline, Alba, 1976), che, tra l’altro, narrava la storia di un seminarista di Reggio Emilia, ucciso dai partigiani comunisti. Immaginai subito che doveva essere un ragazzo esemplare – Rolando Rivi, questo il suo nome – che meritava di conoscere più a fondo, e mi proposi, una volta terminati i miei studi di allora, di occuparmene per saperne di più.

A scuola presi a narrare di Rolando ai miei allievi che ne rimanevano commossi e pensosi. Finalmente nel 1991, cominciai a muovermi e mi trovai presto a contatto di persone che lo avevano conosciuto assai da vicino: alcuni suoi compagni di Seminario, i suoi maestri, alcuni familiari, persino il suo papà. La figura di Rolando apparve ai miei occhi in tutta la sua bellezza e il suo fascino singolare.

Un uomo appassionato
Seppi che il suo papà si chiamava Roberto Rivi ed era nato a S. Valentino di Castellarano (Reggio Emilia), il 30 ottobre 1903, primo di numerosi fratelli. Crebbe, alla scuola di mamma Anna, una donna di fede ardente, a pregare ogni giorno la Madonna con il Rosario e a incontrare tutte le domeniche Gesù nella S. Messa e Comunione. La sua guida era il parroco don Jemmi.
Dopo le elementari, Roberto rimase a casa a lavorare la campagna e a testimoniare la fede cristiana tra la sua gente. A 20 anni, prestò servizio militare, passando anche alcuni mesi a Zara, nell’Istria, assai lontano da casa, vivendo in ambienti difficili, sempre in fedeltà a Gesù, a costo di qualsiasi sacrificio.
A metà degli anni ’20, era rientrato in famiglia a S. Valentino, proprio nel periodo in cui la Chiesa, guidata da Papa Pio XI, organizzava la gioventù nell’Azione Cattolica: anche Roberto fece parte di quei giovani appassionati. Ogni giorno, con la mamma Anna, partecipava alla Messa con la Comunione. Lo farà sino all’ultimo giorno della sua vita, preparandosi alla Comunione quotidiana con la Confessione settimanale e la preghiera personale.
Ventiquattrenne, Roberto aveva incontrato Albertina e la sposò, deciso a farsi una famiglia, che avesse come centro Gesù, Luce, Amore e Guida.
Quindi erano venuti i figli che furono la sua più grande gioia.

Il piccolo chiamato
Il 7 gennaio 1931, gli nacque Rolando che si dimostrò subito un figlio speciale. A 5 anni, il piccolo già serviva la Messa al parroco don Olinto Marzocchini, e si vedeva che gli piaceva proprio stare in chiesa a pregare e a cantare le lodi del Signore.
Nella festa del Corpus Domini, 16 giugno 1938, Rolandino ricevette la I Comunione e fu davvero per lui festa umile e solenne: Gesù diventava il suo intimo Amico. A scuola, guidato dalla maestra Clotilde Selmi, giovane donne dalla Comunione quotidiana, preparata e tutta dedita alla sua missione di educatrice cristiana, seppe dare buoni risultati: sostenuto da una vivace intelligenza, imparava con facilità e aiutava volentieri i compagni.
Era generosissimo con i poveri di passaggio ai quali donava con larghezza, dicendo: “La carità non rende povero nessuno. Ogni povero per me è Gesù”. Il 24 giugno 1940, dal Vescovo diocesano di Reggio Emilia, Mons. Edoardo Brettoni, Rolando ricevette la Cresima. Si sentì ancora più obbligato con il Signore Gesù, “un soldato di Cristo”, come allora si diceva, e prese forti impegni con Lui: la Messa e Comunione quotidiana, la Confessione settimanale, il Rosario alla Madonna ogni giorno, da solo e in famiglia.
I suoi piccoli amici del borgo, Rolando cercava di portarli in chiesa, al catechismo, davanti al Tabernacolo, per crescere nella fede e nell’amore al Signore. Papà Roberto si chiedeva: “Chi mai sarà questo bambino?”. Rolando finì le elementari in modo brillante. La maestra ricorderà sempre “i suoi occhi vivi, espressivi al massimo, cui non sfuggiva nulla, la sua intuizione immediata, la logica serrata dei suoi ragionamenti, la sua ottima memoria”.
A lui, però, ciò che più importava, era il rapporto, intenso, sempre più intenso con Gesù. Il sacerdote all’altare – don Narzocchini, sua guida e modello di vita – quando consacrava il Pane e il Vino nella Messa, gli appariva grande da toccare il Cielo: “Perché – si domandava – non avrebbe potuto essere come lui?”.
S. Pio X, il papa dell’Eucaristia ai bambini in giovanissima età, un giorno previde: “Ci saranno tanti ragazzi santi e tanti chiamati al sacerdozio, grazie a Gesù Eucaristico adorato e santamente ricevuto da loro”.
Per tutta la prima metà del secolo XX – e oltre – grazie a una pedagogia davvero eucaristica da parte delle parrocchie e dell’Azione Cattolica, la “profezia” di S. Pio X si è avverata largamente: lo scrivente, ricercatore di “santità giovane”, lo può ampiamente documentare, appoggiandosi anche sulla testimonianza scientifica e teologica di illustri Maestri della psicologia, del dogma e dell’ascetica cristiana, quali P. Agostino Gemelli, P. Garrigou-Lagrange, il Card. Pietro Palazzini (si veda il testo di L. Castano, Santità giovanile, LDC, Torino, 1989).
Ebbene, proprio nell’ambito della profezia di S. Pio XII, Rolando Rivi, decenne, a contatto di Gesù vivo nel Tabernacolo e del suo parroco don Marzocchini, vero “sacerdos propter Eucaristiam”, sentì la voce di Gesù che lo chiamava alla santità e al sacerdozio. A 11 anni, decise: “Voglio farmi prete. Papà, mamma, vado in Seminario”.
Così all’inizio dell’ottobre 1942, entrò in Seminario, a Marola (Reggio Emilia), vestendo subito l’abito talare, come allora si usava. Studiava con serietà e, con la sua bella voce, faceva parte del coro. Stava assai volentieri davanti all’Eucaristia, appassionato sempre di più della sua vocazione, sentendosi un prediletto di Dio.
A casa, in vacanza, durante l’estate, continuava a vivere da seminarista, con fedeltà ai suoi impegni, la Messa e la Comunione quotidiana, la meditazione al mattino, la visita al SS.mo Sacramento e il Rosario alla Madonna, ogni sera, in una vita di studio e di purezza, e facendo apostolato tra i compagni. Portava sempre con orgoglio l’abito religioso, spiegando: “È il segno che io sono di Gesù”.
Suonava in chiesa l’harmonium e accompagnava i cantori, tra i quali il suo ottimo papà, Roberto Rivi, fiero di cantare con il suo “tesoro” che si preparava, più convinto che mai, a diventare “un altro-Gesù” nel sacerdozio. Lo si vedeva spesso circondato da piccoli amici, con i quali il discorso era caldo di luce e di amore: voleva raccoglierli tutti attorno a Gesù, insegnare loro ad amarlo come Lui solo merita di essere amato.

Giovanissimo martire
Ha testimoniato di lui un suo compagno di Seminario, ora prete e parroco: “Rolando era vivace e svelto in tutti i giochi, a pallone a pallavolo. Il campione della classe, della sua camerata. Attentissimo a scuola, molto studioso, esemplare, innamoratissimo di Gesù. Tutto in lui era superlativo. Si stava volentieri con lui: contagiava gioia e ottimismo. Era l’immagine perfetta del ragazzo santo, ricco di ogni virtù, portata nella vita quotidiana all’eroismo”.
Papà Roberto era orgoglioso che il buon Dio gli avesse dato un figlio così e già pregustava la gioia di vederlo sacerdote. Ma nel 1944, il Seminario, a causa della guerra, fu chiuso. Rolando, rientrato in famiglia a S. Valentino, viveva, nonostante le difficoltà, la sua stessa vita ardente e luminosa, intessuta di preghiera e di studio, di amore intenso a Gesù Eucaristico, di pietà mariana.
Il momento era difficilissmo, per le scorribande di tedeschi, fascisti e partigiani; l’odio alla Chiesa e ai preti diffuso e rabbioso. Venne a sostituire il parroco, un givoane curato, don Alberto Camellini. Rolando con i suoi amici seminaristi di S. Valentino, diceva spesso: “Preghiamo per tornare al più presto in Seminario. Quando sarò prete, partirò come missionario a portare Gesù a quelli che non lo conoscono”.
Non temeva né derisione né minacce – che non gli mancavano – segnato a dito, come “il pretino”. A chi gli chiedeva di vestire come gli altri ragazzi, rispondeva: “Non posso lasciare la mia veste: è il segno che io appartengo al Signore”.
Il 10 aprile 1945, finì in mano a un gruppo di partigiani comunisti a Monchio (Modena). Lo portarono nella loro base e lo processarono come un colpevole (colpevole della sequela Christi!). Poi emisero la sentenza: “Uccidiamolo, avremo un prete in meno”. In un bosco, presso Piane di Monchio, dopo averlo percosso e malmenato senza pietà, gli scavarono la fossa… Mentre Rolando, inginocchiatosi, pregava il suo Gesù per sé, per i suoi genitori, forse per gli stessi aguzzini, questi lo presero a calci, poi, con due colpi di rivoltella al cuore e alla fronte, lo finirono barbaramente.
Era il 13 aprile 1945, un venerdì, quando Rolando Rivi, a 14 anni appena, fu freddato nel clima di odio contro la Chiesa e i sacerdoti.
L’indomani, papà Roberto e don Camellini ritrovarono il suo corpo martoriato. Sepolto provvisoriamente a Monchio, un mese dopo, tornava a S. Valentino tra la sua gente in lacrime che guardava a lui, come a un piccolo angelo, della razza dei martiri, uccisi dai senza-Dio, dai primi secoli cristiani a quelli contemporanei della Russia, del Messico e della Spagna. Sulla sua tomba, papà Roberto fece scrivere le parole da lui composte: “Tu che dalle tenebre e dall’odio fosti spento, vivi nella luce e pace di Cristo”.

Al di là dell’odio
Su quell’immane tragedia, papà Roberto disse soltanto: “Perdono”. Era straziato, ma con la sua fede grandissima riprese a vivere infondendo coraggio ai suoi e illuminando il dolore con la preghiera incessante, sentendosi quasi chiamato a compiere il bene al posto di Rolando.
Il martirio del figlio seminarista lo spinse a fondo, a impegnarsi in prima persona, negli anni del dopoguerra affinché l’Italia non cadesse sotto un’altra dittatura, e a costruire una società cristiana. Nel tempo del conflitto, gli erano morti al fronte, lontanissimo da casa, i due fratelli Rino e Adolfo, e in casa, la sorella Lina. Negli anni che verranno, altri lutti e dolori proveranno la sua forte tempra e la sua fede invincibile.
Stupiva chi lo avvicinava, persino i sacerdoti che lo stimavano e ne amavano la compagnia, e la sorella suora. “Con tutto quanto ha patito, come piò essere così forte e sereno?”. La sua risposta era la Croce di Cristo. Così papà Roberto portava la sua fede davanti a chiunque, sempre “uno con Gesù”: nella famiglia, nel lavoro, nei rapporti sociali, nel modo di intendere le cose e le scelte quotidiane. Una vera mentalità di fede, la sua, tradotta nelle opere, in semplicità e letizia.
Gli anni passavano e la sua esistenza si faceva sempre più traboccante di preghiera: la Messa e la Comunione quotidiana, in un colloquio prolungato con Gesù, per la Chiesa, per i sacerdoti, per la conversione del mondo, fino al punto di riconoscere, con il suo amico don Ugolini: “Io starei sempre davanti al Signore del Tabernacolo”.
La via Crucis diventò la sua preghiera prediletta: la ripeteva anche sette volte al giorno, tenendo la foto di Rolando tra le mani, ricordando al divino Sofferente i suoi familiari, gli amici, i sacerdoti e… coloro che gli avevano fatto del male.
Il 22 ottobre 1992, a 89 anni, papà Roberto rivedeva il suo Rolando e i suoi cari che lo avevano preceduto in Paradiso. Chi lo ha conosciuto di persona o semplicemente lo ha sentito qualche volta per telefono è rimasto incantato dalla sua fede granitica e dolce: anche lui, la sua vita, come Rolando, l’aveva consumata per Gesù, nostro Re e Signore.

“Un angelo della terra”
Raccolte numerose testimonianze su Rolando, abbiamo pubblicato la sua biografia: “Un ragazzo per Gesù” (Ediz. Del Noce, Camposampiero – PD – 1997).
Il volumetto si è diffuso per ogni dove e continua a diffondersi.
Il 29 giugno 1997, solennità dei SS. Pietro e Paolo, Apostoli e i più grandi Martiri della Fede cattolica, dal cimitero, la salma di Rolando è stata traslata nella chiesa di S. Valentino, dove era stato battezzato ed era sbocciata la sua vocazione al sacerdozio. Da quel giorno, la sua tomba è diventata meta di pellegrinaggio da ogni parte d’Italia e da più lontano, e luogo di preghiera.
Nell’aprile del 2001, i giornali hanno parlato a lungo di un bambino inglese di tre anni, James Blacknel, guarito dalla leucemia per l’intercessione di Rolando. Da allora sono assai frequenti le testimonianze di grazie, guarigioni e celesti favori ottenuti da chi lo prega. Si tratta di umile gente, ma anche di uomini di cultura che si rivolgono a lui, certi di essere esauditi (Gente, 31 maggio 2001, pp. 113-115; Famiglia Cristiana, 17 giugno 2001, pp. 72-73; Il giornale, 13 aprile 2002, p. 31, oltre le pubblicazioni locali dell’Emilia e della Toscana).
Nel settembre 2002 e nel settembre 2003, si sono svolti a S. Valentino due convegni per ricordarlo e approfondire la conoscenza della sua nobile figura che emerge sempre più luminosa e affascinante nello splendore del martirio. Anche l’Osservatore Romano ha scritto più volte di lui (12 aprile 2000; 16 gennaio 2004). Il 7 maggio 2000, nella solenne celebrazione dei martiri del XX secolo, voluta a Roma da papa Giovanni Paolo II, anche Rolando Rivi è stato ricordato.
È diffusa ormai di lui una larga “fama sanctitatis”, in Italia e all’estero, fino al lontano Brasile. Il 1 Dicembre 2003, il Card. José Saraiwa Martins, Prefetto della Congregazione della Cause dei Santi, lo ha definito “splendida figura di seminarista e vero angelo della terra”, augurando "che si possa al più presto iniziare la sua causa di beatificazione. Il suo esempio verrebbe a indicare l’unica via davvero affascinante per educare i ragazzi alla fede e all’amore a Cristo e far sbocciare autentiche vocazioni al sacerdozio in un vero cammino di santità".
Rolandi Rivi, a 14 anni, ha proclamato a fronte alta davanti al mondo che continua a perseguitare gli amici di Gesù: “Vitam et sanguinem pro Christo nostro Rege”. Solo ragazzi e giovani come lui saranno capaci anche oggi di una nuova rivoluzione cristiana davanti a cui nessuno potrà chiudere gli occhi e tanto meno chiudere il cuore.
 

Autore: Paolo Risso

 


 

Il ruolo e la sofferenza della Chiesa durante la II Guerra Mondiale
Dalla grande tragedia che fu la Seconda Guerra Mondiale, con tutto il suo strascico di orrori contro l’umanità, emergono ormai sempre più chiaramente, tante belle figure di sacerdoti, religiosi, seminaristi, laici d’Azione Cattolica, che testimoniarono la loro fede cattolica e l’amore per i fratelli sofferenti in quella situazione, a qualunque parte i belligeranti appartenessero.
Oltre gli eroi, che giustamente sono stati riconosciuti e onorati dalle Nazioni in guerra, vi furono anche eroi più silenziosi, nascosti o rimasti a lungo trascurati nel ricordo ufficiale, ma che pur diedero la loro vita per la salvezza di altri, in virtù dell’amore totale verso Dio e di riflesso verso i fratelli nell’umanità; in molti casi pagarono con la vita, la loro fedeltà a Cristo ed alla Chiesa, denunciando e lottando contro la barbarie ideologica imperante.
E la Chiesa Cattolica, fu come sempre in prima fila, per la sua posizione di ricercatrice di pace, di avvocata dei deboli, di soccorritrice in ogni sofferenza, persecuzione, ingiustizia, si trovò sempre fra le opposte ideologie totalitarie e in senso pratico fra i contendenti, sia essi invasori ed oppressori, sia perdenti ed oppressi, anche quando i ruoli si invertirono, a seguito del capovolgersi delle situazioni di guerra e delle mutate condizioni politiche.
E da ambo le parti, i suoi figli e figlie consacrati e i fedeli impegnati in ogni campo dell’apostolato, subirono alternativamente persecuzioni, arresti, torture e morte violenta.

I martiri del tempo
La Chiesa, passata la disastrosa bufera e mettendo insieme notizie, testimonianze, scritti, verificando ed approvando virtù e miracoli ottenuti per la loro intercessione, ha provveduto ad elevare alla gloria degli altari o avviando le cause per la beatificazione, molti di questi suoi figli, martiri per la fede, uccisi con le armi o lasciati morire nei famigerati campi di sterminio.
Si citano alcuni: S. Massimiliano Maria Kolbe (1894-1941), frate conventuale francescano polacco; beato Giuseppe Kowalsky († 4 luglio 1942), salesiano polacco; santa Edith Stein (1891-1942), carmelitana olandese di origine ebrea; beato Tito Brandsma (1881-1942), carmelitano olandese; beato Marcello Callo (1921-1945), laico cattolico francese; beato Secondo Pollo (1908-1941), sacerdote italiano, cappellano degli Alpini; servo di Dio Salvo D’Acquisto (1920-1943), brigadiere dei carabinieri; servi di Dio Flavio Corrà (1917-1945) e Gedeone Corrà (1920-1945), fratelli veronesi, giovani d’Azione Cattolica; servo di Dio Gino Pistoni (1924-1944), partigiano d’Ivrea, giovane d’Azione Cattolica; servo di Dio Giuseppe Rossi (1912-1945), parroco di Castiglione d’Ossola; ecc.

La situazione in Italia
L’Italia fu particolarmente colpita dalle tragiche vicende, prima con l’affermarsi del regime fascista, con le leggi razziali, con la sciagurata alleanza col nazismo hitleriano, poi con la partecipazione alla II Guerra Mondiale, che tante vittime e distruzioni apportò al popolo italiano e infine con la perdita della guerra, il dissolvimento dell’esercito, l’invasione alleata con centinaia di bombardamenti, il ritiro delle truppe tedesche con stragi e rappresaglie sulla popolazione, la Repubblica di Salò nell’Alta Italia, il movimento della Resistenza, gli scontri sanguinosi tra fascisti, tedeschi e partigiani, la caduta definitiva del Fascismo, le vendette finali con migliaia di esecuzioni-omicidi.
È impossibile in questa limitata scheda, annoverare le vittime cattoliche innocenti o ritenute colpevoli da una delle parti contendenti, perché espletavano la carità di Cristo anche con gli appartenenti all’altra parte, oppure alzavano la voce in difesa di quanti subivano vendette, violenza e soprusi.

Il martirio della Chiesa Italiana
Ci furono vittime dei nazi-fascisti, come don Giuseppe Morosini (1913-1944), fucilato a Roma e don Pietro Pappagallo, ucciso alle Fosse Ardeatine († 24-3-1944), come i tanti parroci uccisi dai tedeschi insieme ai loro fedeli, a S. Anna di Stazzena, Boves, Marzabotto, ecc. e i tanti sacerdoti e parroci uccisi dei partigiani e militanti comunisti, anche oltre il 25 aprile 1945, come don Umberto Pessina, parroco di San Martino di Correggio († 18 giugno 1946).
In Emilia Romagna e soprattutto nel famigerato “Triangolo della morte” (Bologna, Modena, Reggio Emilia), perirono di morte violenta, vittime da ambo le parti, ben 93 sacerdoti e religiosi; la maggior parte a seguito delle vendette dei ‘rossi’ contro le ex ‘camicie nere’, fra i quali inclusero spesso anche le tonache nere, cioè i preti, a volte accusati di aver collaborato con il regime, oppure di aver aiutato qualche fascista fuggitivo.E in questo clima di strisciante Guerra Civile, bagnato dal sangue di migliaia di vittime delle vendette, s’inquadra la vicenda terrena e il martirio del quattordicenne seminarista Rolando Rivi, colpevole solo di indossare la veste talare in quel periodo di odio scatenato contro il clero, che alzava la voce a condannare in nome di Dio gli eccidi dell’immediato dopoguerra.

Rolando Rivi; le origini, la vocazione al sacerdozio
Rolando Rivi nacque il 7 gennaio 1931 a San Valentino, villaggio del Comune di Castellarano (Reggio Emilia), borgo campagnolo, posto a 300 metri d’altitudine sulle prime alture dell’Appennino, tra il torrente Tresinaro e il fiume Secchia.
Secondo dei tre figli di Roberto Rivi e di Albertina Canovi, al battesimo, amministrato dal parroco don Luigi Lemmi, gli fu imposto il nome di Rolando Maria.
Il giovane papà di 28 anni, Roberto, era figlio di Alfonso Rivi e di Anna Ferrari, che dall’inizio del Novecento, provenienti da Levizzano-Baiso, si erano trasferiti a San Valentino a lavorare la terra, e verso gli anni Venti si erano spostati nell’ampio casolare di campagna del “Poggiolo” con i loro nove figli, dei quali Roberto era il primogenito, nato nel 1903 anche lui a San Valentino.
Il papà di Rolando era cresciuto educato alla fede genuina e forte della sua mamma Anna Ferrari, e nei tempi eroici dell’Azione Cattolica degli anni Venti, aveva fatto parte dei giovani iscritti della sua parrocchia; prima di andare a lavorare nei campi, ogni mattina assisteva alla celebrazione della Messa e si accostava alla Comunione.
In questa atmosfera di forte religiosità e fede concreta, crebbe Rolando, insieme al fratello maggiore Guido e alla sorella minore Rosanna.
Sano di salute ed esuberante nel carattere, con la sua vivacità procurava spesso ansia ai genitori, ma la nonna Anna aveva intuito il suo temperamento e diceva: “Rolando o diventerà un mascalzone o un santo! Non può percorrere una via di mezzo”.
A sei anni nel 1937, iniziò a frequentare le scuole elementari e nel contempo la parrocchia; sia la maestra Clotilde Selmi, sia la catechista Antonietta Maffei, profusero nella giovane anima di Rolando l’amore per la vita, per la famiglia, per Gesù, per i fratelli, completando ed integrando l’educazione che riceveva dai suoi familiari.
Fu ammesso a ricevere l’Eucaristia quasi subito, perché era tra i fanciulli che si erano preparati meglio ed in fretta; fece la Prima Comunione il 16 giugno 1938 festa del Corpus Domini; dopo quel giorno Rolando cambiò, pur rimanendo vivace divenne più maturo e responsabile, cambiamento che si accentuò dopo aver ricevuto la Cresima il 24 giugno 1940.
Intanto il suo parroco don Olinto Marzocchini, che dal marzo 1934 aveva preso il posto del defunto parroco Lemmi, divenne il suo maestro e modello di vita, indirizzando da padre spirituale, la sua giovane e innocente anima verso la scoperta di Cristo.
Rolando si accostava ogni settimana al Sacramento della Penitenza e ogni mattina si alzava presto per servire la Messa e ricevere la Comunione.
Aveva quasi 11 anni, quando non potendo più contenere dentro di sé la voce di Gesù che lo chiamava, disse ai genitori e nonni: “Voglio farmi prete, per salvare tante anime: Poi partirò missionario per far conoscere Gesù, lontano, lontano”.
I suoi pii genitori non si opposero, e Rolando completato il ciclo delle elementari, all’inizio dell’ottobre 1942 entrò nel Seminario di Marola (Carpineti, Reggio Emilia) per le medie-ginnasio; come allora si usava, vestì subito la tonaca talare e Rolando ne fu orgoglioso, portandola con dignità e amore.
L’avvertiva come segno della sua appartenenza a Cristo e alla Chiesa e ne era fiero, e proprio l’amore che portava all’abito talare, sarà la causa della sua prematura fine.

In Seminario; la guerra entra nella sua vita; il ritorno forzato a casa
Si distinse subito per lo studio, per la bontà verso tutti, per la sua gioia verso Gesù, per le preghiere prolungate davanti al Tabernacolo; divideva con i compagni, cibo, frutta, dolci, che spesso erano portati dai suoi genitori in visita.
Amante della musica, entrò a far parte della corale e cominciò a suonare l’armonium e l’organo per rendere più solenni le cerimonie liturgiche; quando tornava a casa, aiutava i genitori nei lavori di campagna e suonando l’armonium accompagnava il coro parrocchiale, dove cantava anche il padre Roberto; organizzava i ragazzi nei giochi, partecipò ai pellegrinaggi mariani che don Marzocchini organizzava.
Intanto la guerra infuriava e anche il tranquillo villaggio di San Valentino ne era scosso; dopo l’8 settembre 1943 con la caduta di Benito Mussolini e l’occupazione della Penisola da parte dei tedeschi, si erano aggregate, specie nelle province emiliano-romagnole, formazioni partigiane, che a parte gruppi minoritari di cattolici democratici, erano in maggioranza composte da comunisti, socialisti, aderenti al Partito d’Azione, tutti accomunati oltre che dall’odio verso i fascisti, anche da una forte connotazione anticattolica.
La frangia più estrema, quella dei comunisti, non si limitava a combattere i tedeschi; vedendo nel clero un pericoloso argine al proprio progetto rivoluzionario, l’anticlericalismo diventò violento e man mano sempre più minaccioso.
Nel giugno 1944, quando Rolando finì la II Media, i tedeschi occuparono il Seminario di Marola e i seminaristi furono mandati a casa.
Anche Rolando dovette tornare a San Valentino, portando con sé i libri per poter continuare a studiare a casa e per non perdere l’anno scolastico.
Continuò a sentirsi seminarista, la chiesa e la casa parrocchiale furono i luoghi prediletti per il trascorrere del suo tempo: la Messa quotidiana con la Comunione, la meditazione, la visita pomeridiana a Gesù nel Tabernacolo, il rosario alla Madonna, suonava con letizia l’armonium; simpatico a tutti, riprese i contatti con i bambini, con i coetanei, insegnando loro a fare i chierichetti, a sera in casa, guidava vicino alla nonna, la recita del rosario.
Il parroco l’osservava compiaciuto del suo fervore, che non veniva meno fuori dell’ambiente specifico del seminario, d’altra parte Rolando Rivi non smise di portare la tonaca, pur restando a casa, in attesa di poter ritornare nel Seminario.
I genitori, spaventati da quanto succedeva nei dintorni, con le scorribande di tedeschi, fascisti e partigiani, accompagnate anche da furti, razzie e violenze, insistevano col figlio di togliersi quella benedetta veste nera, perché i tempi non erano buoni per il momento; ma Rolando rispondeva: “Ma perché? Che male faccio a portarla? Non ho voglia di togliermela”; “Io studio da prete e la veste è il segno che io sono di Gesù”.

La situazione in paese precipita
Intanto a San Valentino anche don Olinto Marzocchini era stato aggredito una notte, e giacché già altri preti (Donatelli, Ilariucci, Corsi, Manfredi), erano stati uccisi dai partigiani comunisti (nella sola provincia di Reggio Emilia si conteranno alla fine 15 sacerdoti uccisi), fu opportunamente trasferito in luogo più sicuro e al suo posto fu inviato un giovane sacerdote, don Alberto Camellini.
Rolando si trovò ancora più spaesato, venendo meno la sua guida spirituale, ma soprattutto era addolorato per la violenza che don Olinto aveva subito; comunque prese a collaborare col nuovo vice curato, con la consueta disponibilità ed entusiasmo.
In paese scoppiavano spesso discussioni politiche, alle quali non era facile rispondere, meglio tacere, ma in un’occasione in cui era presente l’adolescente seminarista, alcuni attaccarono ingiustamente la Chiesa e l’attività dei sacerdoti e Rolando con impulsività, ne prese le difese davanti a tutti senza alcuna paura. Così a quanti già l’ammiravano in paese, si alternarono taluni che lo presero a malvedere.
Trascorse così l’inverno a San Valentino, allietando e solennizzando le funzioni religiose dell’Immacolata, del Natale, dell’Epifania, con le armoniose note dell’organo da lui suonato.
Il 1° aprile 1945, Pasqua di Resurrezione, ritornò in parrocchia don Marzocchini e al suo fianco rimase il giovane curato don Capellini, e come previsto, Rolando partecipò alle solenni funzioni della Settimana Santa, alternandosi al servizio dell’altare e al suono dell’organo; il parroco insistendo, volle dargli un piccolo dono in denaro, per ricompensarlo di tutti servizi fatti in quell’intenso periodo di celebrazioni.

Il martirio del giovane seminarista
C’era ancora la guerra, ma nell’aria si avvertiva che stava finalmente avviandosi alla fine; Rolando nei giorni successivi, non mancò mai alla Messa e alla Comunione e dopo con i libri sottobraccio, nel fiorire della primavera, si spostava in un vicino boschetto a studiare.
E anche martedì 10 aprile al mattino presto, era già in chiesa per la Messa cantata in onore di s. Vincenzo Ferreri, che non si era potuta celebrare il 5 aprile, perché cadeva nell’Ottava di Pasqua, suonò e accompagnò all’organo i cantori, fra i quali suo padre; ricevette come al solito la Comunione e al termine della celebrazione, dopo aver preso accordi con i cantori per la Messa dell’indomani, ritornò a casa.
Mentre i genitori si recavano a lavorare nei campi, Rolando prese i libri e si allontanò come al solito a studiare nel boschetto, indossando sempre la sua veste nera.
A mezzogiorno, i genitori l’attendevano per il pranzo e non vedendolo si recarono nel vicino boschetto a cercarlo; trovarono a terra i libri e un biglietto: ”Non cercatelo; viene un momento con noi partigiani”.
I partigiani comunisti che l’avevano sequestrato, lo portarono nella loro ‘base’; il padre e il cappellano don Camellini, angosciati presero a cercarlo dovunque nei dintorni, intanto Rolando era stato spogliato della veste nera, che li irritava particolarmente, percosso con la cinghia sulle gambe e schiaffeggiato.
Rimase tre giorni prigioniero dei partigiani, subendo offese e violenze; davanti a quel poco più di un ragazzino piangente, qualcuno di loro mosso a pietà, propose di lasciarlo andare, perché in effetti era soltanto un ragazzo; ma altri si rifiutarono e lo condannarono a morte, per avere “un prete futuro in meno”.
Lo portarono in un bosco presso Piane di Monchio (Modena); scavata lì una fossa, Rolando fu fatto inginocchiare sul bordo e quando lui, avendo ormai compreso, singhiozzando implorò di risparmiarlo, ebbe come risposta dei calci e mentre pregava per sé e per i suoi cari, due scariche di rivoltella, una al cuore e una alla fronte, lo fecero stramazzare colpito a morte nella fossa.
Fu ricoperto con pochi centimetri di terra e foglie secche; era venerdì 13 aprile 1945 e Rolando aveva solo 14 anni e 3 mesi: la sua veste da seminarista fu arrotolata come un pallone da calciare e dopo appesa come un trofeo di guerra, sotto il porticato di una casa vicina.
Solo il giorno dopo, su indicazione di uno dei partigiani, il padre Roberto e il cappellano ritrovarono il corpo, la salma ricomposta, fu posta in una bara improvvisata e portata nella chiesa parrocchiale di Monchio per la funzione liturgica, e poi sepolta nel locale cimitero parrocchiale.
Solo dopo, il padre e il cappellano ritornarono a San Valentino a portare la notizia alla desolata madre e al villaggio; la notizia suscitò uno sgomento generale di fronte a tanta barbarie.
A guerra ultimata, il 29 maggio 1945, la salma del giovane martire fu riportata nel suo villaggio, posta in una bara bianca e fra le lacrime di tutta la popolazione, fu tumulata in località Montadella.
I suoi genitori scrissero sulla sua tomba: “Tu che dalle tenebre e dall’odio fosti spento, vivi nella luce e nella pace di Cristo”.
Rolando Rivi fu, ed è, una delle tante stelle luminose del firmamento affollato dei martiri, specie del XX secolo, che passando dalla Rivoluzione Messicana, alla Guerra Civile Spagnola, alla Rivoluzione e persecuzione in Russia o vittime delle due Guerre Mondiali, hanno testimoniato con il loro sangue innocente, la fede in Cristo seguendolo lungo il Calvario.
Dopo 60 anni, il 7 gennaio 2006, l’arcivescovo di Modena mons. Benito Cocchi, ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 30 settembre 2005, ha dato inizio, nella chiesa modenese di Sant’Agostino, al processo diocesano per la beatificazione del seminarista Rolando Rivi, martire innocente, caduto sotto l’odio anticlericale e anticristiano del tempo, per aver voluto testimoniare, indossando l’abito talare fino all’ultimo, la sua appartenenza a Cristo.
E' stato beatificato a Modena il 5 ottobre 2013.
La ricorrenza liturgica per le diocesi di Reggio Emilia-Guastalla e di Modena-Nonantola è stata fissata al 29 maggio.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto/modificato il 2023-07-08

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