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Servo di Dio Clemente Gatti Sacerdote francescano, martire

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Caselle di Pressana, Verona, 22 febbraio 1880 – Saccolongo, Padova, 6 giugno 1952

Giovanissimo entrò nel convento dei frati francescani di Lonigo (Vicenza). Emise la professione solenne il 17 settembre 1903. Completato il corso teologico all'ateneo "Antonianum" di Roma, fu ordinato sacerdote il 2 aprile 1902. Nel 1909. Quando la Transilvania faceva ancora parte dell'Ungheria, i superiori inviarono padre Clemente, in Transilvania, a Hunidoara, dove si trattenne quattro anni ad insegnare nello studentato francescano. All'inizio della prima guerra mondiale rientrò in Italia e fu chiamato alle armi come cappellano. Fu quindi ministro e definitore provinciale e prefetto degli studi nonché custode del convento delle Vigne a Venezia. Nel 1937 tornò in Transilvania, nel frattempo diventata romena. Con l'avvento del comunismo (1945) e la persecuzione religiosa, padre Gatti fu deportato ad Alba Julia. Il 7 febbraio 1949 il padre Antonio Mantica, fondatore della Chiesa degli Italiani di Bucarest e suo parroco, fu costretto dalle autorità comuniste a rientrare in Italia e come rettore della chiesa fu nominato padre Gatti. Intensificandosi la persecuzione religiosa, fu consigliato a padre Gatti di rientrare in Italia, ma rifiutò. L'8 marzo padre Clemente veniva arrestato, quindi sottoposto a processo davanti al Tribunale militare di Bucarest, dall'11 al 17 settembre 1951, e condannato a 15 anni. Il 19 maggio 1952 veniva trovato alla stazione ferroviaria di Vienna, in uno scompartimento di un treno proveniente dalla Romania, padre Clemente Gatti. Era paralizzato e senza parola, disfatto e allucinato. Era affetto da numerose e fetide piaghe da decubito e dalla fuoriuscita della spina dorsale per quasi tutta la sua lunghezza. Trasportato in Italia, non migliorava, capace di emettere solo qualche incomprensibile mugolio. Morì 20 giorni dopo il rientro in Italia.



L’amore per la propria terra e la propria nazione lo si apprezza soprattutto quando si vive fuori di essa. è una affermazione molto comune tra i nostri emigranti all’estero. Ed è quello che è successo anche a p. Clemente Gatti nella sua esperienza di religioso francescano a fianco dei nostri connazionali che vivevano in Romania e ai quali ha dedicato il suo apostolato per circa un decennio.
Nato a Caselle di Pressana (VR) il 16 febbraio 1880, Pietro Ernesto Domenico Gatti - questo il suo vero nome prima di quello religioso di Clemente - a 15 anni entra nell’ordine dei Frati Minori Francescani. Ordinato sacerdote a Roma il 2 aprile 1904 in S. Giovanni in Laterano, si specializza in Teologia dogmatica e inizia ad insegnare in Sardegna, Malta, Veneto, Ungheria e Romania.
In questo campo - e in quello della predicazione - è molto attivo: emerge il tratto di un francescano innamorato della Chiesa e della sua vocazione.
Oltre all’insegnamento p. Gatti è stato anche cappellano militare durante la prima guerra mondiale sulle linee dell’lsonzo: per questo servizio è stato insignito del titolo di Cavaliere della “Corona d’Italia”, “per  aver prestato diuturna, infaticabile opera di conforto ai feriti, sprezzante del pericolo e dando ammirabile esempio di cristiana pietà e di militari virtù”. Fu - come ricorda p. Fabio Longo, vice-postulatore della Causa di Beatificazione - soprattutto intrepido nell’affrontare gli insidiosi pericoli disseminati dal regime comunista durante la sua prolungata permanenza in Romania. Negli anni fine ‘40, inizi ‘50, in un succedersi di tragiche vicende per la Chiesa cattolica, p. Clemente Gatti ha reso la sua testimonianza una offerta di fedeltà che ha fatto della sua morte un martirio a causa della fede e del Vangelo.
In queste poche pagine vorremmo soffermarci soprattutto sulla sua attività di sacerdote impegnato nella Missione cattolica Italiana di Bucarest in Romania dove arriva nel 1938.
In questa città c’erano infatti, molti italiani, soprattutto friulinai e veneti. Il frate francescano comprese, che questi nostri connazionali non si avvicinavano alla Chiesa soprattutto per la difficoltà della lingua, la diversità dei costumi locali, e perchè - ricorda fra Claudio Bratti nel volume P. Clemente Gatti Martire della fedeltà alla sede di Pietro in Romania” - i cattolici del luogo non erano numerosi e le parrocchie, di conseguenza, molto vaste. Nello stesso tempo erano pochi i sacerdoti che parlavano l’italiano.
Era difficile avvicinare questi italiani. P. Gatti inizia un vero e proprio apostolato con loro: celebra la Messa in italiano, affronta con loro le problematiche più urgenti, etc. La loro situazione nella Bucarest di quegli anni è molto difficile. Oltre ai problemi economici e, spesso, di povertà estrema, molti vivono una situazione giuridica non chiara: convivono con donne rumene senza averle sposate. P. Clemente affronta queste situazioni cercando di regolarizzarle.
“Mi raccomandai al Cuore SS. di Gesù perchè mi aumenti - scrive il 6 luglio 1943 in una lettera al Superiore Generale dell’Ordine dei frati Minori Francescani - in me la sua Grazia e benedica l’apostolato che esercito, con il permesso dei superiori e dell’Ordinario, tra i molti connazionali sparsi in queste regioni, religiosamente trascuratissimi, e viventi in deplorevoli irregolarità matrimoniali. Con carità, pazienza e zelo, tante piaghe si risanano. Come vede faccio il missionario: l’ideale della mia vita”.
E in altra lettera dell’8 novembre 1944, entra nel dettaglio della sua attività con gli italiani in Romania: “la mia vita si svolge invariata: scuola ed apostolato tra gli operai connazionali sparsi un pò avunque in queste regioni. Li visito, li aiuto, predico, celebro”.
Con la seconda guerra mondiale la Romania viene invasa dall’Armata Rossa. Il convento di Hunedoara (nella Transilvania che allora faceva parte del regno della Romania) dove viveva p. Gatti viene occupato dalla Securitatea, la polizia segreta del regime comunista. Tutti i chierici sono rimandati alle loro case, i sacerdoti deportati al vescovado di Alba Julia. P. Gatti, in quanto cittadino italiano, ottiene il permesso di trasferirsi a Bucarest, dove, anziché rientrare in Italia, accetta l’incarico di rettore della chiesa parrocchiale di S. Salvatore, il cui fondatore (il vicentino mons. A. Mantica) veniva espulso dal regime in quei giorni.
In questo periodo il nostro sacerdote ha dovuto svolgere anche il compito di Visitatore Generale dei Frati Minori in quanto non era possibile far arrivare un inviato dalla Congregazione Generale di Roma. Sarà lui a descrivere al Superiore Generale, la situazione della Romania in quegi anni; una situazione che definisce - in una lettera del 29 giugno 1948 - “grave” e che “tende a peggiorare”. “L’avvenire - aggiunge - è molto fosco. Noi godiamo in caritate e patientia Christi. Siamo pronti a tutto pur di restare fedeli a Gesù ed al suo augusto Vicario in terra”.
In questi anni vengono soppresse tutte le comunità religiose cattoliche e le diocesi ridotte a due. Tutte le proprietà della Chiea Greco Cattolica passano alla Chiesa Ortodossa Rumena. Le comunità religiose femminili devono concentrarsi in due comunità rurali e quelle maschili in un unico centro. Unica alternativa è quella di entrare a far parte della Chiesa Ortodossa rumena. Una decisione non accettata dai cattolici di rito latino che opposero resistenza finendo in carcere e sotto tortura.
P. Gatti continua a svolgere il suo ministero a Bucarest dove diviene, l’8 febbraio 1950, rettore della chiesa degli italiani che fu - come racconta uno degli italiani residente a Bucarest in quegli anni - oggetto di “speciali sospetti e di arbitrarie violenze”. Molte le difficoltà che il nostro sacerdote deve affrontare: percorre l’intera città da una parte all’altra per andare a trovare i nostri connazionali, per confortarli e aiutarli anche per regolarizzare le loro posizioni sopesso irregolari. Questo suo attivismo viene segnalato alle autorità rumene che lo considerano quasi un sovversivo.
“Durante la settimana - scrive p. Gatti in un’altra lettera al Superiore Generale dei Francescani datata 29 marzo 1950 - visito i poveri a domicilio (circa ottanta famiglie), con sussidi alimentari o pecuniari. Anche alla casa canonica affluiscono bisognosi di varie razze, religioni e nazionalità. S. Antonio, con l’opera del pane dei poveri, provvede a tutti”.
La situazione è difficile. Gli italiani decidono di abbandonare la Romania, chi per l’America chi invece per l’Italia. La comunità degli italiani si riduce enormemente: si passa da 6-7.000 persone a 700-800 cittadini italiani. Nonostante tutto la chiesa è molto frequentata, anche da ortodossi. In questo periodo - racconta fra Claudio Bratti nel volume che abbiamo citato precedentemente e che fa da guida per questo nostro scritto - sono molte le testimonianze che raccontano degli aiuti di p. Gatti ai cittadini italiani: medicine, generi alimentari e anche contributi in denaro per pagare le spese di riscaldamento. Inoltre si fa carico di distribuire gli aiuti che arrivano dal Vaticano per sostenere le piccole comunità cattoliche che avevano rifiutato l’unione con la Chiesa ortodossa imposta dal regime, cercando di non farsi scoprire. Aiutava anche, con somme di denaro, i sacerdoti greco-cattolici, specie quelli con famiglia. Questa sua attività non passa inosservata alla Securitate che nel marzo del 1951 lo arresta poiché un sacerdote greco-cattolico, trovato in possesso di denaro, fu costretto con la tortura a rivelare chi glielo aveva fornito.
è sottoposto quindi a vari maltrattamenti e, dopo il tipico processo farsa viene condannato a 15 anni di carcere duro e 10 anni di privazione dei diritti civili.
Precedentemente c’era stato un tentativo di espulsione andato a vuoto, come racconta lo stesso p. Gatti in una lettera al Superiore Generale: “Devo darle una notizia sorprendente. Il Governo della Repubblica Popolare Romena mi intima di lasciare entro dieci giorni la Romania. Non ne indica il motivo. Ma è un complesso di cose e circostanze religiose che, cacciandomi, si vuol colpire e sopprimere. La Legazione d’Italia è ricorsa, con la massima urgenza, perchè l’ordine di espulsione sia revocato”. Una richesta accolta per il momento.
In un altra lettera scrive che “sì vive in condizioni anormali e del tutto incredibili. Io stesso, benchè protetto dalla Legazione Italiana sono sorvegliato dalla polizia e posso essere espulso (se andrà bene) improvvisamente. In tal caso la Chiesa nazionale Italiana verrebbe chiusa”. Era la sua grande preoccupazione: gli italiani in Romania  non potevano restare senza una Chiesa e una guida.
E il giorno prima dell’arresto scrive: “Sì potrei essere arrestato per il sospetto che io sia il tramite con la S. Sede, delle diocesi cattoliche. Pel sospetto che le sovvenzioni ai carcerati e perseguitati, provenienti dalla carità del Papa, passino per le mie mani. Ma che importa? Per una sì nobile causa si può correre il pericolo della prigionia. Cosa ho sofferto io, finora, per la fede e per il Papa? è vero che in Romania tutti i vescovi sono in carcere o in domicilio forzato. è anche vero che moltissimi sacerdoti e religiosi sono costretti come schiavi ai lavori materiali sul Danubio... Ma disertare la linea di combattimento, mentre urge la difesa, non è degno di un sacerdote francescano”. Percio la prego. P. Rev.mo, di guardare la mia posizione alla luce della fede”.
Il 14 aprile del 1952, su pressioni del Governo italiano, viene liberato e consegnato alla frontiera con l’Austria, in condizioni estremamente precarie. Due giorni dopo arriva a Vienna dove viene ricoverato in una clinica.
“Era - ha raccontato p. Serafino Mattiello - ridotto ad una larva di uomo, semiparalizzato, con la perdita quasi totale della favella”. Si decide, dopo le prime cure, di farlo proseguire per Padova, dove giunge il 15 maggio per essere ricoverato nell’infermeria che da poco i Frati Minori avevano aperto a Saccolongo.
Secondo un medico che lo visita in quei giorni gli sarebbe stata tirata la lingua in modo violento, oppure prodotto un taglio alla base della lingua stessa, forse per non fargli raccontare le violenze e le torture subite.
Muore dopo tre settimane, il 6 giugno 1952.
Nel 1997 il Governo Rumeno ha chiesto scusa per il trattamento riservato a p. Clemente Gatti decretandone l’abilitazione civile.
Nel 2002 la diocesi di Padova ha avviato il processo di canonizzazione mentre la sua memoria rimane viva tra gli italiani in Romania soprattutto per il suo zelo apostolico e la sua carità.


Autore:
Raffaele Iaria


Fonte:
www.chiesacattolica.it

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Aggiunto/modificato il 2015-02-19

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