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Venerabile Giacinto Carlo Bianchi Sacerdote

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Villa Pasquali, Mantova, 15 agosto 1835 - 11 febbraio 1914

Missionario apostolico e fondatore delle Figlie di Maria Missionarie.



Settantanove anni, racchiusi tra due date mariane, il 15 agosto e l’11 febbraio, per un’esistenza sempre illuminata dalla Madonna; tra l’una e l’altra una vita tutta all’insegna della provvisorietà e del distacco da ogni cosa, che gli permette di morire ancor più povero di com’era nato. Con, in più, una bella collezione di incomprensioni e persecuzioni, dal vescovo ai parrocchiani.  Adesso la Chiesa ha riconosciuto “venerabile” questo cristiano inquieto e prete straordinario, soltanto colpevole di aver fatto troppo del bene e c’è da aspettarselo un giorno o l’altro sugli altari, perché il Signore proprio non si lascia condizionare dalle paturnie degli uomini, dalle quali, anzi, i suoi santi escono come rafforzati. Giacinto Bianchi nasce il giorno dell’Assunta del 1835 a Sabbioneta (provincia di Mantova e diocesi di Cremona), primogenito di una famiglia contadina di undici figli, la cui povertà è tale da mettere in forse la sua vocazione religiosa. Sacerdote il 29 maggio 1858, viene trasferito a Scandolara. Qui si attira l’odio degli anticlericali per il suo troppo attivismo e per la sua ansia pastorale, che lo portano ad inaugurare una “Casa di lavoro” per le donne: un’istituzione che dà fastidio e che deve chiudere in pochi mesi, anche perché il suo vescovo la disconosce e non lo difende per niente. Finisce così per dover abbandonare addirittura la diocesi in cui è incardinato e Mons. Bonomelli lo lascia partire quasi volentieri, ritenendolo inutile, oltreché “pericoloso”.  Finisce a Genova, ospite di don Frassinetti (fratello di una santa e oggi anch’egli avviato all’onore degli altari), che ha avviato una forma di vita comunitaria tra preti, in cui don Giacinto si inserisce perfettamente nel 1864 e in cui rivela la sua stoffa di sacerdote santo. Peccato che don Frassinetti muoia improvvisamente quattro anni dopo: don Giacinto deve subito far fagotto perché il successore non lo vuole tra i piedi. Irremovibile nella sua vocazione sacerdotale, ma inquieto sul modo di esprimerla, gli sembra allora di sentirsi attratto dalla spiritualità dei Gesuiti: lo ammettono al noviziato, ne ammirano la pietà e le altre sue doti umane e spirituali, ma lo dimettono subito perché cagionevole di salute. Si trasferisce così a Pigna (diocesi di Ventimiglia), dove lo accolgono a braccia aperte perché i parrocchiani sono in rotta di collisione con il legittimo parroco, cui don Giacinto non sogna neppur lontanamente di prendere il posto. Si accontenta infatti di svolgere il suo ministero senza accettare mai la nomina a parroco, risvegliando la vita di fede in questa parrocchia, ma qualcuno gli fa terra bruciata intorno: viene accusato di appropriazione indebita e incarcerato a Sanremo. Pochi giorni, giusto il tempo per dimostrare la sua completa innocenza, ma intanto è una macchia infamante e non può continuare a vivere a Pigna: qui è rimasto otto anni, durante i quali si è trovato suo malgrado ad essere fondatore. Una ragazza, trascinata da una sua predica sulla necessità di personale in un asilo di Betlemme, si mette a sua disposizione per andare in Terra Santa e gli cerca addirittura le prime vocazioni. Don Giacinto, che mai si è sognato di fondare una congregazione,  ha così tra mano il primo nucleo delle sue future Figlie di Maria Missionarie. Così da Pigna, “con famiglia al seguito”, ritorna a Genova, che diventa la base dei suoi numerosi viaggi in varie città italiane e anche in Svizzera e Francia per predicare. La sua neonata congregazione non riesce ad ottenere  l’approvazione di Propaganda Fide e neppure l’aggregazione ai Saveriani di Mons. Conforti e così don Giacinto continua ad essere padre di quel gruppo di giovani generose, che intanto è cresciuto di numero ed ha aperto nuove case in Italia meridionale. Le vuole allegre, perché “le anime sfiduciate assomigliano ai salici piangenti, buoni a fare ombra solo sulle tombe”; le invita ad essere “miracoli di allegrezza cristiana in mezzo alle molte miserie della vita” e insegna loro che “la virtù eccezionale, la più alta è una sola: la dolcezza”. Le educa con consigli spiccioli: “Non fate difficile la via della virtù”; “non sovraccaricatevi di esercizi spirituali”; “non parlate di digiuno, perché avete appena da vivere” e le invita a “non chiedere a Dio tribolazioni, ma a sopportare quelle che Dio vi manda e a non esagerare con le vostre”. Muore l’11 febbraio di cento anni. nella sua casa natale che ha trasformato in noviziato per le sue “Figlie”, purificato da una lunga sofferenza, reso immobile dalla paresi e con il corpo interamente piagato dal decubito.

Autore: Gianpiero Pettiti

 


 

Giacinto Carlo Bianchi nacque il 15 agosto 1835 a Villa Pasquali, piccolo centro agricolo della Bassa mantovana in diocesi di Cremona. Primogenito di una numerosa famiglia contadina, sentì ben presto la vocazione al sacerdozio e il desiderio di diventare missionario. Superò le difficoltà legate alla condizione economica della famiglia e all’età di 17 anni entrò nel seminario diocesano di Cremona. Ordinato sacerdote il 29 maggio 1858, per alcuni anni svolse il ministero nei paesi limitrofi a Villa Pasquali e tentò di iniziare un’esperienza comunitaria, la Casa di Lavoro per donne, che verrà ostacolata e fatta chiudere dagli anticlericali.
È costretto ad abbandonare la sua diocesi e a rifugiarsi a Genova, dove viene accolto dal grande maestro di ascetica, il priore di Santa Sabina don Giuseppe Frassinetti, di cui divenne stretto collaboratore. Si inserì nella realtà ecclesiale cittadina e frequentò le opere della beata Eugenia Ravasco, che aveva intuito la chiamata soprannaturale ascoltando proprio una predica di don Giacinto.
Il capoluogo ligure fu la sua seconda patria: da qui partiva per l’intenso ministero di predicatore in Italia, Francia e Svizzera. Nel 1868 si imbarcò per il suo primo viaggio in Palestina e ne restò affascinato.
Nel 1870 chiede di essere accolto tra i gesuiti, e vi resterà per circa due anni. Nel 1872 viene mandato a Pigna, nell’entroterra ligure al confine con la Francia, dove costituisce la Pia Unione delle Figlie di Maria e di S. Agnese, divenendo guida spirituale delle numerose giovani ascritte. Agli inizi del 1876 venne a sapere che don Antonio Belloni, missionario genovese in Terra Santa fin dal 1859, aveva necessità di personale per il suo orfanotrofio di Betlemme. Don Giacinto ascolta questo appello e lo rilancia alla sua comunità di Pigna. La proposta viene subito accolta da Caterina Orengo, che con altre quattro ragazze nell'agosto partono per l'Oriente. È il primo nucleo delle Figlie di Maria Missionarie, che già agli inizi assunsero lo spirito e lo stile della Vergine per vivere il proprio carisma missionario.
Don Giacinto restò a Pigna per circa sette anni e in questo periodo incontrò anche difficoltà e incomprensioni, che sfociarono persino in una ingiusta carcerazione per l’infondata accusa di appropriazione indebita. Ma Don Giacinto era l’uomo della carità e del perdono: accettò tutto con fortezza e coraggio, sempre sostenuto da una profonda vita di preghiera.
Nel 1892 le Figlie di Maria Missionarie furono costrette a rientrare in Italia, e trovarono in don Giacinto un padre sollecito e generoso, capace di consolidare il nascente istituto ed espanderlo fino alla Sicilia.
Egli continuava anche l’intensa attività di predicazione in molte diocesi italiane e presso gli emigranti in Svizzera e Germania, fedele alla missione sacerdotale di «nutrire della Parola di Dio i popoli», come definiva il suo ministero Nel 1890 la Congregazione di Propaganda Fide lo nominò Missionario Apostolico.
Nel 1901 aveva riscattato la casa paterna per istituire il noviziato del suo istituto. Qui si ritirò nel 1911, quando le condizioni di salute non gli permisero di continuare il faticoso impegno di predicatore. Nel paese natale iniziò ad erigere un oratorio dedicato a S. Ermelinda, vergine belga del IV secolo scelta a protettrice delle Figlie di Maria Missionarie. Ma una benefattrice di Genova non poté mantenere le promesse e la costruzione non giunse al termine; fu demolita nel 1925.
Don Giacinto morì assistito dalle sue Figlie e confortato dal loro amore: era l’11 febbraio 1914, festa della Madonna di Lourdes. Era sempre vissuto povero e nella provvisorietà, dimentico di sé e pronto a sollevare, consolare, aiutare il prossimo. Ogni circostanza, favorevole o avversa, diveniva per lui provvidenziale occasione di testimoniare una fiduciosa speranza in Dio. La sua spiritualità si caratterizzava per un tenero amore a Maria, che fin dalla fanciullezza aveva orientato tutta la sua vita.
La fama di santità si diffuse ben presto, tanto che all’inizio del 1915 uscì una sua prima biografia, Storia di un buon prete dei nostri giorni, scritta dal canonico genovese G. B. Revelli. Ma le difficoltà dei tempi, segnati dalle due guerre mondiali, fecero ritardare al 1949 l’apertura del processo ordinario presso la diocesi di Cremona. Questa prima fase fu piuttosto lunga, poiché terminò solo nel 1962. Nel 1974 la salma di don Giacinto fu traslata a Roma e nello stesso anno si concluse con esito positivo il processo sui suoi scritti. Il 17 maggio 1991 la Congregazione delle Cause dei Santi riconobbe la validità degli atti e nel maggio 1993 fu presentata la Positio, che raccoglie molte testimonianze di persone che lo conobbero direttamente.
Il 6 dicembre 2008 Benedetto XVI ha proclamato l’eroicità delle virtù di don Giacinto Bianchi. Le Figlie di Maria Missionarie, da lui fondate, oggi sono presenti in Italia, Brasile, Ecuador, Repubblica Centrafricana e Costa d’Avorio con opere di educazione alla fede e promozione umana, particolarmente rivolte alla donna.


Autore:
A. Papa e F. Fabrizi

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Aggiunto/modificato il 2014-03-04

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