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Mario Sartorato Laico di Azione Cattolica

Testimoni

Santa Maria di Sala, Venezia, 2 luglio 1903 – 5 settembre 1926


Tabina è una piccola loca­lità di S. Maria di Sala, provincia di Venezia, diocesi di Padova. La chiesa parrocchiale è a Caselle. Terra di buona gente dalla vita intes­suta di lavoro e di fede. All'inizio del secolo, molti lavora­vano nelle terre dei padroni del luogo, pochi in proprio. Tra questi, c'era la famiglia Sartorato, papà maniscalco, mam­ma casalinga. Il lavoro di fab­bri ferrai e di maniscalchi si tramandava, in famiglia, da molte generazioni.
Il 2 luglio 1903, in questa fa­miglia, nasce Mario Sartorato, primo di dieci fratelli. Il bam­bino cresce, intelligente e rifles­sivo, ricevendo dai genitori un'educazione cristiana sem­plice e forte: Dio, Gesù Cristo al primo posto, la preghiera quotidiana, la fedeltà alla Mes­sa festiva, ai Sacramenti e al Rosario, il lavoro per vivere e per servire il prossimo.
Mario cammina verso il suo futuro, con i fratelli che gli ar­rivano al fianco, con questo stile di vita. A sei anni va a scuola che frequenta fino alla terza elementare: impara a leg­gere, a scrivere e a far di conto e basta. Ma nella chiesa par­rocchiale di Caselle, c'è una presenza che lo attira: Gesù. Per lui, Gesù è il Vivente da amare, specialmente dopo il giorno della sua prima Comu­nione. Il suo parroco, Mons. Pietro Simoniato, e il cappel­lano don Fortunato Tescari in­tessono tra lui e il Cristo un dolce forte rapporto di vita.
Il ragazzo si sente presto in­terpellato da Cristo: «Se vuoi, vieni e seguimi». Lo dice in ca­sa: Papà, mamma, vorrei an­dare in seminario a Padova, a farmi prete...». Il papà gli ri­sponde: «Sei il primo dei fra­telli, puoi aiutarmi nel lavoro, vedi che ho una mano mala­ta».

Apostolo laico
Mario decide di restare a ca­sa a lavorare con il padre, ma non rinuncia a donare tutta la sua vita a Cristo. Approfondi­sce la sua cultura religiosa: non gli basta il catechismo di Pio X che pure sa a memoria, ma, aiutato da don Fortunato, me­dita il Vangelo, studia, prega intensamente, si prepara alla sua missione di domani: esse­re apostolo laico di Gesù.
Adolescente, entra nell'Azio­ne Cattolica. Frequenta gli in­contri parrocchiali e vicariali. Si forma una forte personalità cristiana. I giovani «più gran­di», in quegli anni tremendi della prima guerra mondiale, sono al fronte e combattono dal Garda all'Isonzo. Mario prega, soffre, lavora nella sua officina, si fa ben volere e sti­mare da tutti. La Messa non solo alla domenica, ma sempre più spesso durante la settima­na, fino a ricevere ogni giorno la Comunione, anche se ciò si­gnifica alzarsi più presto degli altri, percorrere a piedi alcuni chilometri di strada, ma di Gesù non può fare a meno, perché per lui Gesù è tutto.
Nasce in lui il giovane uomo «uno in Cristo»: sa che deve vivere Cristo nell'intimità del suo cuore, nella casa e sul lavoro, in parrocchia, sulla piazza, in compagnia degli amici. Intuisce che lui, laico con terza elementare, ha una grande missione da compiere: portare agli altri Gesù che è la soluzione di tutti i problemi della vita e della società.
La mamma lo trova più volte nella sua stanzetta, mentre, dopo una giornata di duro lavoro, sta preparandosi sui testi che gli ha passato il parroco, all'insegnamento della dottrina cristiana o agli incontri zonali che deve tenere. Ben presto è diventato catechista, qualche tempo dopo, attivissimo nell'Azione Cattolica: il motto dell'Associazione «preghiera, azione e sacrificio» diventa il suo programma.
Gesù eucaristico è la sua passione, il Rosario alla Madonna è la sua preghiera prediletta, San Luigi Gonzaga è il suo modello di vita: ne studia la figura e ne imita le virtù, specialmente la purezza, la virtù degli uomini liberi e forti, mai facile in nessun tempo, eppure il segreto della gioia.
Non ancora diciottenne è nominato presidente dell'Ado­ne Cattolica giovanile di Casel­le; di tì a poco è eletto presiden­te vicariale per 12 parrocchie.
Il sacrificio è notevole: lavora sodo tutto il giorno, poi alla se­ra, di domenica, nel tempo li­bero è presente nella sua par­rocchia, nelle altre parrocchie, a Padova, per animare le atti­vità dell'Associazione, per por­tare Gesù ai ragazzi, ai giova­ni che guardano ormai a lui co­me a un leader.
La guerra è finita, ma il cli­ma è aspro e difficile per le ri­vendicazioni sociali, per le vio­lenze d'ogni genere. C'è biso­gno di luce e di pace e questo chi la può dare se non Gesù? Mario riceve in regalo dal pa­dre una bicicletta: così può es­sere presente con maggior fa­cilità, tutte le sere in parrocchia o nelle parrocchie vicine; tutte le domeniche a Padova. Ha frequentato la 3° elementare, ma stupisce per la sua prepa­razione umana, sociale e reli­giosa. Sembra una persona col­ta, parla con competenza straordinaria, il sorriso sul vol­to, così da affascinare chiunque.
Tutti sentono l'ascendente di questo ragazzo: si nota — co­me scriveva di sé l'apostolo Paolo — che «non è più lui che vive, ma Cristo che vive in lui» per dilatarsi tra i fratelli. Quan­do gli altri lo vedono silenzio­so o in preghiera, intuiscono che Mario è «diverso», vive in una dimensione soprannatura­le, quella degli «intimi di Dio».

Ammirato dal Card. Schuster
Nel 1923 ha vent'anni. È un bel giovane, pieno di vita, dal­lo sguardo limpido e puro co­me un fanciullo. I suoi occhi profondi rivelano l'uomo che vive di Dio e ha solo l'aspira­zione di amarlo e di farlo ama­re. È chiamato a prestare il ser­vizio militare presso il 27° reggimento di artiglieria di cam­pagna a Milano. In caserma gli affidano l'incarico di mani­scalco. L'ambiente è difficile. Mario soffre moltissimo per la lontananza dalla famiglia e perché non può aiutare i suoi nel lavoro. Conosce tutti i lati più oscuri dell'animo umano, ma è un anticonformista, sa andare controcorrente in ogni momento, sa sfidare l'ironia di commilitoni e di ufficiali con­tro il suo stile cristiano di vita. Un giorno un compagno lo invita a frequentare, come fan­no certi giovani sotto le armi, un postribolo. Mario gli oppo­ne rifiuto netto e tagliente. C'è chi bestemmia o parla il lin­guaggio delle tane. Mario ri­sponde con la sua limpidezza di vita, di tratto, di parole, di disponibilità verso tutti. Ben presto lo stimano, perché un giovane così «unificato» da Cristo incute rispetto e non può in fondo non farsi amare. Nel duomo di Milano Mario si reca ogni giorno per pregare davanti al Tabernacolo. Ma co­me fare a ricevere Gesù quoti­dianamente come faceva a ca­sa? Gli capita di incontrare in duomo il Card. Schuster, il santo Arcivescovo di Milano: Mario gli espone il suo deside­rio. Dopo quell'incontro, può ogni giorno recarsi in duomo alle ore tredici, per ricevere la Comunione: è digiuno dalla mezzanotte, come allora si ri­chiedeva. Tornato in caserma, consuma il suo rancio, felice!
Il Cardinale scrive personal­mente ai genitori di Mario per raccontare loro la fedeltà alla Comunione eucaristica quoti­diana del loro ragazzo duran­te il servizio militare. Così per diciotto mesi: persino un Prin­cipe della Chiesa come il Card. Schuster non può più dimen­ticarlo!
Tornato a casa, riprende il suo umile lavoro di maniscal­co e l'attività nell'Azione Cat­tolica... È il 1925, «anno san­to», proclamato da Papa Pio XI. Ilario va a Roma con il papà e con don Fortunato: le manifestazioni di fede cui par­tecipa nella capitale, l'udienza e l'incontro con il Santo Padre lo rafforzano nella fede, nella dedizione a Cristo e all'aposto­lato: vive solo più per Lui, uni­ca ragione di vita. Se Pier Giorgio Frassati, il ricco lau­reando in ingegneria di Torino, morto quell'anno in fama di santità, avesse incontrato Ma­rio Sartorato, maniscalco dal­le mani rudi, lo avrebbe senti­to fratello, proprio quel Fras­sati che sognava di fondere in un'unica Associazione Catto­lica studenti e lavoratori per es­sere più forti a testimoniare Cristo e a costruire una socie­tà cristiana.
Al ritorno da Roma, com­pra, pagandola di sua tasca, una bella statua di S. Luigi Gonzaga. Non c'era nella sua Chiesa di Caselle e Mario la offre affinché San Luigi sia modello e intercessore per la gioventù del suo paese. Quel giorno si svolge una solenne processione e S. Luigi viene in­tronizzato nella chiesa parroc­chiale in mezzo ad una folla fe­stosa di giovani e adulti.

«Il Cristo mi aspetta»
Nell'agosto del 1926 Mario si ammala di tifo. Le cure del tempo servono a nulla. Qua­ranta giorni di letto per prepararsi all'incontro con il Signo­re. Lo assistono giorno e notte e suoi genitori e don Fortuna­to. Mario è sereno, nonostan­te l'aggravarsi della malattia. Conforta tutti: «Non piangete per me: attendo il giorno feli­ce della morte. Pregherò per voi, cari genitori, fratelli e so­relle che ho tanto amato. Spe­ro che il Signore esaudisca le mie preghiere». Chiede a don Fortunato di ricevere Gesù, Viatico per la vita eterna, e l'Unzione degli Infermi. Prega con i suoi genitori, con gli ami­ci che si fermano, in punta di piedi presso il letto dove il lo­ro «presidente» va incontro al suo Dio.
Quando sente che le forze lo abbandonano, chiede ad alta voce: «Papà, dammi il mio Crocifisso: è là che mi aspet­ta». Lo bacia come si fa con il Volto dell'Amore e spira sere­no. È l'alba di domenica 5 set­tembre 1926. Mario ha 23 an­ni. Due giorni dopo un corteo interminabile di ragazzi, giova­ni e adulti si snoda dalla casa del giovane defunto per ac­compagnarlo in chiesa, a Ca­selle, poi all'ultima dimora, per dargli l'ultimo saluto. Molti commentano: «È morto un santo». Dopo i funerali, don Fortunato che lo conosceva meglio di tutti, pronuncia una profezia: « Tra molti anni tro­veranno il suo corpo intatto».
Mario viene sepolto provvi­soriamente nella tomba dei nonni. Un anno dopo la sua salma passa nella terra, in at­tesa che il padre, con notevole sacrificio, faccia erigere una cappella di famiglia: qui final­mente Mario trova definitiva sepoltura.

La profezia si avvera
Passarono 61 anni. Il 18 set­tembre 1987 viene decisa fret­tolosamente la riesumazione della sua salma per far posto al fratello morto quello stesso giorno. Ci sono pochi presenti al mesto rito, ma qualcuno ri­corda dentro di sé la profezia di don Fortunato: «Lo trove­ranno intatto». È pronta la piccola urna per raccogliere i suoi resti. Si apre il loculo: del­la bara di legno e zinco non ci sono che pochi frammenti. Ma tirano fuori «il giaciglio», ec­co appare lui, Mario, comple­tamente intatto, con il Crocifis­so tra le mani e il distintivo del­l'Azione Cattolica all'occhiel­lo della giacca. Tra lo stupore di tutti che pensano al miraco­lo che stanno vedendo — la fir­ma di Dio sotto il giovane lim­pido e puro — la salma di Ma­rio viene messa in piedi contro il muro del cimitero, viene scossa con forza... tuttavia né si affloscia né tantomeno si di­sfa. È sempre lui, con i segni della sofferenza patita nella malattia, ma intatto, il volto sereno, gli occhi aperti quasi a fissare chi lo guarda stupito.
Il suo ricordo si era conser­vato vivo negli anni e tutte le famiglie tenevano il suo ritrat­to in casa come invito alla se­quela fedele di Cristo. La sua tomba era stata meta di pelle­grinaggio e luogo di preghiera, anche da parte di chi aveva so­lo sentito parlare di lui. Dopo 61 anni, si era avverata la pro­fezia di don Fortunato Tescari: «Lo troverete intatto, il tem­po non avrà ragione del suo corpo. Mario è un santo».
La sua «fama sanctitatis» è rimasta viva per decenni e lo è ora: ricomposto in una nuova bara e sepolto nella cappella dei suoi cari, è ripreso il pelle­grinaggio alla sua tomba e non finisce mai, perché egli è diven­tato segno tangibile che — co­me scrisse Montalembert — «il Cristo è vivo e continua ad at­tirare a Sé la gioventù e l'amore».


Autore:
Paolo Risso

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Aggiunto/modificato il 2009-04-23

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