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Venerabile Crisostomo Chieppi Eremita Camaldolese

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Celebre per alti natali, per cariche civili, ma molto più per bontà di vita, fu Grisostomo Chieppi Mantovano. Il conte Annibale suo avo. e Ludovico suo padre avevano già occupati insigni ufficii nella corte del Duca di Mantova; ed egli pure in età ancor giova­ne chiamato al servizio del medesimo come Segretario di Stato per gli affari di Monferrato, pose dimora in Casale capitale di questo Marche­sato conciliandosi con la prudenza l'universale stima ed affetto. Se non che allora appunto che era in sul fior dell'età, e la sua posizione sociale stava per divenir più brillante, avendolo il Duca richiamato in patria e annoverato fra i suoi consiglieri, venutogli in uggia il mondo con le sue pane grandezze, abbandonò i parenti, e dopo un lungo viaggio andò a batter la porta dell'eremo di Camaldoli, ove ai ventott'anni venne dal Maggiore ammesso alla religiosa professione. Rimase colà insino a che fu preposto a governare l'eremo di Mantova, ove si recò malgrado suo. perché avvicinandosi a parenti ed amici temeva con ragione di averne disturbo. Né male si appose; che gli volle fatica a schermirsi dall'offerta dignità vescovile: e per non trovarsi più in avvenire in tale angustia, abbandonò il patrio eremo e venne in quel di Torino: ove conoscendosi già per fama i suoi meriti, fu accolto con grande allegrezza. Collo stesso spirito di umiltà con cui rifiutava il vescovado declinò le dignità dell'Or­dine, e solo per obbedienza acconsentì più tardi ad accettare il priorato e l'ufficio di maestro dei novizi, ad amendue applicandosi con carità e discernimento non ordinario. Quantunque mettesse ogni cura nel celare i suoi talenti, talché diede alle fiamme la più gran parte dei suoi scritti e osservò anche per quattro anni la reclusione, tuttavia la rinomanza della sua pietà e dottrina trasse a lui principi, dignitari ecclesiastici, e molti santi uomini. Il Duca Vittorio Amedeo desiderava averlo a confessore, e veniva non di rado a far con esso lunghe conferenze: il B. Sebastiano Valfrè. saliva alla sua cella e spendeva talora intiere giornate a conversare con lui di cose religiose: ed erano anche da esso per consigli il prevosto Ignazio Carroccio vicario generale dell'Arcidiocesi. e i presidenti Gara-gni e Bergera celebri magistrati torinesi di quel tempo. Verso il termine della vita alcune ulceri alle gambe il resero così sofferente e macilento da non poter camminare che a stento. Tuttavia non si lasciò mai sfuggire di bocca un lamento; e con volto sereno sopportò per alcuni anni la penosa infermità, nulla tralasciando delle consuete sue preci ed occupazioni: il che ineritogli da chi compose il suo elogio, riferito negli Annali, queste parole: Sempre scrisse, sempre insegnò sempre pregò, ed in ogni cosa divenne eccellente: e tale si rese anche nelle scienze profane a cui si de­dicò per altrui vantaggio. Le ulceri essendoglisi poi rincrudite, dovette soccombere alla violenza del male in età di 70 anni, nel dì 24 settembre 1709. dopo esservisi disposto santamente, come il dimostrarono pure alcune sentenze, orazioni ed esercizi in preparazione alla morte trovate nel Direttorio e nella Istituzione pei novizi da lui composti (Ann. VIII, 555).


Autore:
Maurizio Aragno


Fonte:
Principi, monaci e cavalieri. “Regio Sacro Eremo” di Torino. Note storiche e divagazioni

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Aggiunto/modificato il 2009-04-28

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