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San Nicola II Romanov Zar di Tutte le Russie

17 luglio (Chiese Orientali)

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Carskoe Selo, Russia, 18 maggio 1868 - Ekaterinburg, Russia, 17 luglio 1918


Una croce ortodossa bianca s’innalza oggi sul luogo del martirio degli ultimi Zar di Russia. Nel 1977 Boris Eltsin, allora primo segretario del Partito comunista a Sverdlovsk, ricevette da Mosca l’ordine di distruggere la casa Ipat’ev, luogo di prigionia e del massacro di Nicola II e della sua famiglia, casa che era diventata oggetto di troppa curiosità per molti e con «intenzioni sospette». Macchinari cantieristici lavorarono per una notte intera finché l’edificio venne completamente raso al suolo. Per una strana coincidenza sarà ancora Eltsin, già presidente della Russia, a dare solenne sepoltura ai resti dei Romanov nel 1998 a San Pietroburgo.
Di temperamento malleabile e velleitario, Nicola II (1868-1918) non era nato per il magistrale ruolo storico che il destino gli aveva imposto. Dotato di intelligenza vivace, di buona cultura, di costanza e metodo nel lavoro, oltre che di un grande fascino personale, Nicola II non ereditò dal padre la fermezza di carattere e la capacità sicura e determinata di decidere sugli accadimenti, qualità essenziali per un monarca autocratico. Oltre ad avere un alto grado di influenzabilità (il più delle volte, prima di prendere una decisione, subiva l’ascendente di colui che aveva l’opportunità di parlargli per ultimo), cedeva con grande facilità alle pressioni esterne e in particolare alla moglie di cui era teneramente innamorato.
Fu saldamente ancorato ai suoi principi semplici e forti, ereditati dal padre: lo zar è inviolabile e l’esercito russo invincibile; la religione ortodossa è la sola colla in grado di saldare il popolo al trono. L’unica minaccia, secondo lo zar Nicola, era l’intellighentia: un gruppo di uomini, sviati da cattive letture.
Il fatto di avere, al suo fianco, una straniera, tedesca per sangue e inglese per educazione, non gli giovò di certo, benché  Alice d’Assia (1872-1918), divenuta con il matrimonio Alessandra Fëdorovna, abbia immediatamente amato la terra russa e soprattutto la sua religione, fino ad esserne rapita e affascinata, tanto da renderla fanatica dei suoi riti e delle sue impalcature.
La Zarina si circondava di antiche icone che, a suo dire, erano dotate di virtù straordinarie. Accoglieva con estrema disinvoltura monaci sospetti, pope sconociuti, pellegrini pseudo-illuminati e ascoltava tutti con imprudente infantilismo. Fra questi inquietanti personaggi si evidenzia l’infausto Rasputin («debosciato», etichetta data al padre perché grande bevitore di vodka), soprannome di Gregorio Efimovič Novychy (1870-1916). Personalità demoniaca, capace di forza ipnotica, fine psicologo, eroe di orge mistiche, Rasputin utilizzò la sua intelligenza per infiltrarsi alla corte degli Zar e impossessarsi della mente e dello spirito di Alessandra, la quale, sperando nella sua azione di guaritore, si affidò a lui per cercare la salvezza dello zarevič Alessio, unico figlio maschio, malato di emofilia e condannato ad una morte sicura.
Tutto ciò che Alessandra dice e scrive al consorte le è suggerito da Rasputin, convinto, comunque a ragione, che la fame porterà alla rivoluzione.
Uomo privato, più che pubblico, Nicola II ama prendere di più una tazza di tè insieme all’amata moglie che ascoltare un  ministro, godere della presenza dei cinque figli (Olga, Tatiana, Maria, Anastasia, Alessio) che prestare attenzione ai lamenti del popolo, anche in momenti particolarmente gravi per la sua patria: scioperi, manifestazioni studentesche, attentati e omicidi ai danni di notabili… eppure sul suo diario preferisce annotare le variazioni di temperatura, descrivere una passeggiata in bicicletta, una gara di canottaggio, un momento particolarmente romantico con la sua Alessandra.
Con il tempo la zarina si ritaglia il suo spazio nell’autorità  governativa fino ad interpellare personalmente i ministri, discutere con loro, nominarli o esautorarli.
Il popolo si ribellerà a questa situazione, e a prescindere dai disegni di Lenin, i russi, delusi del loro Zar, arriveranno ad odiare la dinastia Romanov.
Il presidente della Duma, Rodzjanko, convocato da Nicola II, confessa alla vigilia della rivoluzione: «Con nostra grande vergogna, il disordine regna ovunque. La nazione si rende conto che avete bandito dal governo tutti quelli che godevano della fiducia del popolo e che li avete sostituiti con personaggi indegni e incompetenti».
Caduti nelle mani dei bolscevichi, lo Zar lamenta il cattivo trattamento che devono subire e si sente rispondere da uno degli ufficiali sottoposti alla loro custodia: «Io provengo dal popolo. Quando il popolo vi tendeva la mano, non l’avete mai afferrata. Oggi non vi tenderò la mia». In molte fabbriche gli operai reclamano un castigo esemplare per i «vampiri Romanov».
Tutti gli errori compiuti da Nicola non giustificano affatto gli orrori della rivoluzione russa e dei suoi leader, compreso il massacro di Ekaterinburg. Il 20 agosto del 2000, nella cattedrale moscovita di Cristo Salvatore, l’ultimo Zar è stato canonizzato insieme ad altri 853 martiri della rivoluzione comunista.

 


Autore:
Cristina Siccardi


Note:
Per approfondire: Henri Troyat "Nicola II, L'ultimo zar e la tragica fine dei Romanov" Paoline Editoriale Libri

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Aggiunto/modificato il 2011-12-31

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