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Serva di Dio Elena Spirgeviciute Vergine e martire

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Kaunas, Lituania, 22 settembre 1924 - 3 gennaio 1944

Elena Spirgevičiūtė, giovane della Diocesi di Kaunas, in Lituania, visse in un’epoca durante la quale il suo Paese venne annesso all’Unione Sovietica e occupato dai nazisti, ma conservò un comportamento modesto e una grande fiducia in Dio, cui meditava di consacrare la vita. Quando alcuni militanti sovietici irruppero in casa sua e tentarono più volte di usarle violenza, ella difese con tenacia la castità del suo corpo e venne uccisa con un colpo di pistola al viso. La Santa Sede ha concesso l’avvio della sua causa di beatificazione il 22 ottobre 1999.



“L'onestà, la modestia e l'intelligenza sono importanti, così sto provando a viverli e credo che mi riesca… Ho deciso essere una buona cattolica, ma è difficile senza l'aiuto del Signore. Voglio essere buona, non condurre una vita vuota ma contribuire a qualche cosa di buono ed essere utile”. Ha poco più di 16 anni quando scrive così, dimostrando idee chiare, volontà ferma e una meta precisa a cui tendere. Elena Spirgevičiūtė è nata il 23 dicembre 1924 in Lituania, precisamente nel distretto di Tvirtovės in Kaunas. Di famiglia altolocata (il papà e il nonno sono ufficiali dell’esercito) che può permettersi il lusso di farla studiare, riesce a formarsi questa coscienza chiara e questi ideali solidi prima sui banchi di scuola (frequenta il ginnasio dalla suore) e poi nello scautismo. È proprio nell’ottica di “contribuire a qualche cosa di buono ed essere utile” che subito dopo il diploma, conseguito a pieni voti nel 1943, si iscrive alla Facoltà di medicina all’Università di Vytautas Magnus con il sogno di diventare pediatra.
La giovinezza di Elena coincide, purtroppo, con un periodo politicamente buio per la Lituania, prima con l’annessione all’Unione Sovietica nell’agosto 1940 e poi a luglio 1941 con l’occupazione da parte dei Nazisti. Sono questi ultimi a chiudere l’ateneo prima ancora che Elena cominci a frequentarlo e allora, per non perdere tempo, decide di studiare francese e tedesco da autodidatta e di seguire a Kaunas alcuni corsi brevi di pedagogia per futuri insegnanti, grazie ai quali ottiene un incarico nel distretto di Jonava. Intanto, dentro di lei comincia a farsi strada un desiderio particolare, di cui si trova traccia nel suo diario intimo ma che continua a restar celato anche ai suoi più intimi, addirittura ai genitori. Il mio cuore è pieno di qualcosa. Gioisco per aver capito la felicità. Ma sto seriamente pensando che una pace più grande possa essere trovata dietro la grata. Convento. Il nome stesso parla chiaramente di solitudine, silenzio e pace. Signore, questi sono sogni seri, voglio questo con gran certezza… Vorrei lasciar tutto… Oh, spero che la guerra finisca presto! Vorrei finire la scuola ed entrare là…”. È una confidenza del febbraio 1942, che con il passare dei mesi non solo non si attenua, ma sembra solidificarsi sempre più. È forse per questo che, pur se molto corteggiata, Elena non ha il fidanzato e si fa spesso rimproverare da mamma per il look troppo modesto e per niente ricercato e anche per il suo atteggiamento troppo taciturno e riservato. Addirittura finisce per trascurare anche le feste scolastiche e le serate di ballo, di cui diceva “Non vado a caccia di conoscenze, voglio solo ballare e divertirmi”; sul suo diario adesso annota: “Anche i balli a cui ogni tanto vado, pensandoci più profondamente, sono solo vanità e immodestia. Questi possono essere evitati soltanto con voi, Signore…”. La strada in salita che Elena ha intrapreso punta ad un traguardo ambito, al raggiungimento di una bellezza interiore che non può reggere il confronto con una pur splendente bellezza fisica: “Desidero questo, non perché non sono bella, no, non penso a questo. La bellezza è polvere. Uno diventa vecchio, s'incurva e la bellezza svanisce… Desidero essere bella internamente...".
Nella tarda serata del 3 gennaio 1944 quattro uomini armati bussano prepotentemente alla porta di casa sua; al papà, che va ad aprire, si presentano come ufficiali di polizia incaricati del controllo dei documenti, ma appena entrati si qualificano come partigiani sovietici e subito si danno alla razzia di alcool, vestiti e pane. Uccidono la zia di Elena che in preda al panico ha tentato di fuggire dalla stanza e subito dopo le loro attenzioni si concentrano su Elena, che tiene testa con fermezza alle avances del più intraprendente dei quattro. Per circa un’ora, sotto la costante minaccia di una pistola puntata, strattonata da una stanza all’altra, Elena resiste a lusinghe, promesse e minacce, facendo risuonare per tutta la casa i suoi determinati “No” a tutte le proposte che le vengono fatte. “Preferisco morire”, dice con determinazione ai familiari, dai quali si accommiata con un segno di croce. Pochi minuti dopo un colpo di pistola in pieno volto diventa la risposta al suo ennesimo determinato rifiuto a chi voleva piegare la sua  dignità di donna e di cristiana. La sua gente non ha mai avuto dubbi sull’autenticità del martirio di Elena e ne ha conservato la memoria, tanto che nel 1999 il Vaticano ha concesso il nulla osta per l’avvio del processo di canonizzazione.

Autore: Gianpiero Pettiti

 


 

Elena Spirgevičiūtė nacque nel distretto di Tvirtovės della città di Kaunas, in Lituania, il 23 dicembre 1924. Iniziò a frequentare la scuola a sette anni e più tardi si unì allo scautismo. Dopo aver concluso le elementari, Elena venne iscritta al Ginnasio femminile «Saulė» di Kaunas, retto dale Suore di San Casimiro. Di carattere intelligente, prestava attentamente ascolto ai consigli, specie quelli relativi alle questioni importanti.
Gran parte della vita interiore di Elena è nota grazie al suo diario spirituale, che scrisse a partire dal 12 ottobre 1940, fino al 2 giugno 1942. In esso si leggono gli andamenti ordinari di una giovane donna della sua età, ma anche il suo carattere tenace, specie nel cercare di equilibrare la sua religiosità con il ceto sociale a cui apparteneva (era membro di una famiglia di ufficiali dell’esercito). Anche quando partecipava alle feste scolastiche, cercava di mantenere un comportamento modesto: «Non vado a caccia di conoscenze», scrisse, «voglio solo ballare e divertirmi, ecco tutto». Nel corso di un ritiro, appuntò questi propositi: «Ho deciso di essere una buona cattolica, ma è difficile senza il sostegno del Signore e sono perduta. Desidero essere buona, non di condurre una vita vacua, ma di contribuire con qualcosa di buono ed essere utile».
L’annessione della Lituania all’Unione Sovietica, nell’agosto 1940, e la successiva occupazione nazista nel luglio 1941 gettò la popolazione in uno stato di ansia. Nel settembre 1941, i nazisti ordinarono un’esecuzione di massa degli ebrei che vivevano nel ghetto di Vilijampolė a Kaunas. Elena registrò questi eventi nel suo diario, ma, nonostante la disperazione che la circondava, avvertiva in sé qualcosa d’insolito. Nel febbraio 1942 affermava: «Il mio cuore è pieno di qualcosa. Gioisco per aver capito la felicità. Ma sto seriamente pensando che una pace più grande possa essere trovata dietro la grata. Convento. Il nome stesso parla chiaramente di solitudine, silenzio e pace. Signore, questi sono sogni seri, voglio questo con gran certezza… Vorrei lasciar tutto… Oh, spero che la guerra finisca presto! Vorrei finire la scuola ed entrare là, Padre, più vicina a Te! Le feste serali e i balli a cui a volte vado, se considerati più approfonditamente, sono vere vanità, immodestie. Queste possono essere evitate solo con Te, Signore… Voglio questo, non perché io non sia bella. No, non ci sono pensieri simili in me. La bellezza è polvere. S’invecchia, ci si curva, e non c’è più segno di bellezza… Io voglio essere bella dentro».
Quanto alla vita quotidiana, Elena la trascorreva leggendo e aiutando sua madre nei lavori domestici, accorrendo in fretta dovunque il suo aiuto fosse richiesto. Quelli che la conobbero dichiararono che, nonostante le piacesse divertirsi con le amiche, spesso parlava di Dio, della Chiesa e di argomenti religiosi.
Nonostante molti uomini fossero attratti da lei, non aveva mai avuto un ragazzo, cosa che preoccupava la madre. Ignara dei veri desideri della figlia, la rimproverò per il suo stile nell’abbigliamento e per il suo silenzio, che le parevano segnali di bigottismo.
Nel 1943, Elena si diplomò con voti molto buoni. Dato che voleva diventare pediatra, si iscrisse nell’autunno di quell’anno alla Facoltà di medicina all’Università di Vytautas Magnus. Tuttavia, non aveva neppure iniziato che i Nazisti chiusero l’ateneo. Dato che non le andava di perdere il tempo a far nulla, Elena decise di studiare francese e tedesco da autodidatta e seguì alcuni corsi brevi di pedagogia per futuri insegnanti che erano stati organizzati a Kaunas, grazie ai quali ottenne un incarico nel distretto di Jonava. Nel frattempo, la situazione di guerra andava peggiorando, così la giovane decise di restare con i suoi familiari e di aspettare l’esaurirsi del conflitto prima di prendere servizio.
Il 3 gennaio 1944, circa verso le dieci di sera, la famiglia venne disturbata da alcune voci che provenivano dall’esterno. Il padre di Elena aprì la porta, trovandosi di fronte quattro uomini armati, che si presentarono come poliziotti e insistettero a voler entrare in casa, col pretesto di controllare dei documenti. Alla fine, il padre cedette e li lasciò entrare. Una volta entrati, i quattro puntarono le loro pistole contro gli inquilini e rivelarono le loro vere identità: erano partigiani sovietici. Inchiodarono al muro il padre e ordinarono alcol, cibo e vestiti. Una zia di Elena, Stasė Žukaitė, venne ferita a morte, forse perché tentò di scappare in preda al panico. Il resto della famiglia venne radunato in una sola stanza.
Uno dei soldati, ad un certo punto, notò Elena e cominciò a insidiarla; la portò in un’altra stanza e tentò di indurla a cedergli. Ma, quando ella rifiutò con decisione, la condusse dalla madre, sperando che la convincesse a sottomettersi alle sue voglie. Per circa un’ora, continuò a minacciare di spararle se non avesse acconsentito.
Nel vederla trascinata da una stanza all’altra, il padre le domandò: «Che cosa vogliono da te?». Rispose: «Non sai, padre, cosa vogliono da una giovane? Non mi arrenderò… preferirei morire…». Tutto ciò che i familiari riuscivano ad udire, delle conversazioni che si svolgevano nell’altra stanza, erano i «No!» di Elena.
Benché avessero radunato tutto ciò che volevano, i partigiani non se ne andarono in fretta: si sedettero a un tavolo e parlarono tra di loro per molto tempo. Dopo, prelevarono ancora una volta Elena e, furibondi, le dissero: «Arrenditi o morirai!». Senza alcuna esitazione, ella ribatté: «Preferirei morire!». A quel punto, chiese di poter dare addio ai familiari. Rimanendo calma, con volto luminoso, tracciò un ampio segno di croce su di essi e dichiarò: «Io morirò e voi vivrete».
Quando la giovane fu tornata dai suoi aggressori, le venne puntata la pistola alla testa. Di fronte al suo ennesimo, determinato rifiuto, mentre cercava di fuggire, un partigiano le sparò al volto. La madre, accorsa all’udire il fragore dell’arma, trovò la figlia morta, riversa sul divano.
La notizia della tragedia sconvolse la città. La folla si riversò nella chiesa di sant’Antonio, dove Elena e la zia, vestite di bianco, erano state deposte nelle bare aperte. Entrambe vennero sepolte nel cimitero di Vytautas, ma nel 1957, quando il governo civile lo chiuse, la salma della sola Elena venne traslata nel cimitero di Kleboniškiai, presso Eiguliu.
Suo fratello, testimone oculare dell’accaduto, lo descrisse nel libro La morte è venuta dalla Moravia. Il ricordo di quell’evento e del coraggio della giovane è perdurato fino alla caduta dell’Unione Sovietica e anche oltre, tanto che il 17 ottobre 1998 l’arcivescovo di Kaunas, Sigitas Tamkevičius, ha benedetto un monumento marmoreo, situato all’incrocio tra via Studentai e via Taika, raffigurante un angelo.
La Congregazione vaticana per le Cause dei Santi ha concesso, il 22 ottobre 1999, il nulla osta per l’avvio del processo canonico circa il martirio “in difesa della castità” di Elena.


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2015-02-07

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