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Venerabile Pietro Barbaric Novizio gesuita

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Klobuk, Bosnia-Erzegovina, 19 maggio 1874 – Travik, Bosnia-Erzegovina, 15 aprile 1897

Petar Barbarić, nativo dell’attuale Bosnia-Erzegovina, accettò l’invito che gli aveva rivolto il suo maestro di scuola a entrare nel Seminario Minore diocesano di Travnik, per compiere gli studi superiori. Dotato di notevoli capacità intellettive, s’impegnò a fondo per diventare un buon sacerdote; col tempo, maturò la decisione di entrare nella Compagnia di Gesù. Gli iniziali sintomi di un raffreddore, preso durante una gita fuori porta insieme ai compagni, lasciarono in breve posto alla tubercolosi. Per realizzare il suo più grande desiderio, gli venne concesso di emettere i voti religiosi nella Compagnia con dispensa speciale, il 13 aprile 1897. Morì due giorni dopo, il Giovedì Santo di quell’anno, poco prima di compiere ventitré anni. La sua causa di beatificazione si è svolta nell’arcidiocesi di Sarajevo negli anni 1938-’43, integrata da un processo suppletivo durato dal 1998 al 2007. Nel 2012 la sua Positio super virtutibus è stata trasmessa alla Santa Sede. Il 18 marzo 2015 è stato reso noto il decreto con cui papa Francesco ha ufficializzato l’eroicità delle sue virtù.



Petar Barbarić nacque nel piccolo borgo di Šiljevišta, vicino al villaggio di Klobuk, in Bosnia-Erzegovina, ma era di origini croate. I suoi genitori, Ante e Kate, insegnarono a lui e ai suoi otto fratelli non solo le basi di una solida educazione, ma anche il Catechismo e una profonda devozione verso la Madonna e il Sacro Cuore di Gesù.
Quando conduceva al pascolo il gregge del padre, teneva un bastone in una mano, mentre con l’altra sgranava il Rosario. Durante il percorso, lungo un’ora e mezza, fra casa sua e la scuola, ripassava le lezioni: grazie a ciò e all’aiuto che gli davano i suoi genitori, completò gli studi in due anni anziché nei quattro abituali. Successivamente, lavorò come garzone in un negozio di Vitina, dove visse per più di un anno.
Il suo vecchio maestro, nel frattempo, aveva ricevuto una lettera dove gli veniva richiesto di raccomandare gli studenti più validi per farli accedere agli studi superiori e, ipoteticamente, al sacerdozio. Provvidenzialmente, il maestro incontrò Petar e gli fece la proposta: l’accettò raggiante di gioia, dato che era proprio quello che voleva. Così il ragazzo, all’età di quindici anni, venne accompagnato dal padre al Seminario Diocesano Minore di Travnik, tenuto dai padri Gesuiti; vi arrivò il 27 agosto 1889, dopo un viaggio lungo tre giorni.
Petar era un ottimo studente: nel 1892 aggiunse dapprima lo studio dell’italiano, poi del francese e del tedesco, pensando che le lingue straniere l’avrebbero aiutato nelle confessioni. Divenuto prefetto della sua classe, incoraggiava i compagni a ricevere la Comunione nei Primi Venerdì del mese. Per alcuni anni il giovane pensò di diventare sacerdote diocesano, ma, dopo un ritiro nel 1896, iniziò a maturare l’idea di farsi Gesuita.
Il mattino del 7 aprile 1896, martedì dopo Pasqua, era giorno di vacanza in Seminario. Durante il tradizionale pic-nic, i seminaristi furono sorpresi da un temporale e tornarono indietro. Petar, vestito leggero come i compagni, era bagnato fradicio: presto fu colpito da tosse, febbre e raffreddore, così da essere costretto in infermeria. Giunte le vacanze estive, il medico gli suggerì di ritornare a casa, sperando che l’aria natia gli giovasse. Il ragazzo trascorse un’estate serena, ma non sapeva che stava covando in lui la tubercolosi.
Quando un altro medico gliela diagnosticò, Petar non si arrese e continuò a sperare in una guarigione, per completare gli studi e venire ordinato sacerdote. Agli inizi del 1897, quando la malattia peggiorò, dovette abbandonare alcuni corsi e, poco dopo, smise di frequentare le lezioni e rimase in infermeria. Ben presto dovette usare un bastone per muoversi per la stanza. L’11 marzo 1897 disse al suo confessore: «Ho fatto una novena a san Francesco Saverio, per domandargli la guarigione e domani ne inizierò una a san Giuseppe, per domandargli una buona morte». Quando la sua salute declinò rapidamente, ricevette l’Unzione degli Infermi il 10 aprile.
Il confessore di Petar sapeva che lui voleva essere Gesuita e che certamente sarebbe entrato in noviziato se non avesse voluto aspettare il compimento degli studi (stava frequentando l’ultimo anno del ginnasio). Quando gli venne chiesto se avesse voluto, ovviamente con il dovuto permesso, prendere i voti e morire come membro della Compagnia di Gesù, il giovane rispose che ci aveva pensato, ma non aveva osato chiedere una grazia così grande. Il confessore allora informò del desiderio di Petar il Rettore, il quale inviò una lettera al Padre Provinciale dei Gesuiti per chiedergli l’assenso.
L’11 aprile, Domenica delle Palme, Petar venne condotto nella cappella del Seminario per la Messa: colpì tutti per la resistenza con cui rimase in piedi durante tutta la lettura della Passione del Signore. Dato che continuava a peggiorare, capì che la sua permanenza sulla Terra sarebbe durata ancora per poco e commentò: «Che bello sarebbe celebrare la Pasqua in Paradiso!». La sera di due giorni dopo, arrivò un telegramma dal Provinciale: il permesso era accordato.
Petar ritenne che il 15 aprile, Giovedì Santo, sarebbe stato il giorno perfetto per compiere quella solenne offerta di se stesso, dopo la sua Comunione Pasquale. Il confessore, dubitando che sarebbe sopravvissuto fino a quel giorno, gli raccomandò di prendere i voti immediatamente. Così, alle nove di sera del 13 aprile, alla presenza di alcuni testimoni, Petar professò i voti di povertà, castità e obbedienza e promise di rimanere nella Compagnia per tutto il resto della sua vita.
Trascorse il giorno seguente a letto, prostrato e riarso dalla febbre. Di sera, i suoi confratelli Gesuiti si radunarono nella sua stanza e recitarono le preghiere per i moribondi. Il giorno dopo, il Giovedì Santo tanto atteso, Petar fu incapace di mangiare e poteva parlare a stento. Nel primo pomeriggio chiese che gli venisse portato il suo crocifisso, lo tenne fra le mani, lo baciò e pronunciò il nome di Gesù. Pochi minuti dopo, circa verso le due, diede un profondo sospiro e rese l’anima a Dio. Venne sepolto il 17 aprile, Sabato Santo, con indosso l’abito gesuita, nel cimitero fuori dalla città di Travik.
Il processo informativo si tenne nell’arcidiocesi di Sarajevo negli anni 1938-’43, mentre il decreto sugli scritti venne emanato l’11 maggio 1945.
Sabato 12 aprile 1997 san Giovanni Paolo II, durante il viaggio apostolico a Sarajevo, lo ricordò esplicitamente nel corso della celebrazione dei Vespri: «Una parola anche per voi, cari seminaristi, speranza della Chiesa in questa terra. Seguendo l'esempio del Servo di Dio Petar Barbarić, lasciatevi affascinare da Cristo! Scoprite la bellezza di donare a Lui la vostra vita, per portare ai fratelli il suo Vangelo di salvezza. La vocazione è un'avventura che vale la pena di vivere fino in fondo! Nella risposta generosa e perseverante alla chiamata del Signore sta il segreto di una vita pienamente realizzata».
Di lì a poco, il 23 luglio 1998, venne aperta un’inchiesta suppletiva, conclusasi il 16 febbraio 2007 e approvata il 1 febbraio 2008, insieme al processo informativo. Il 17 luglio 2012 una delegazione ha presentato la Positio super virtutibus a Roma, ultimo atto prima dell’approvazione delle virtù eroiche, avvenuta il 18 marzo 2015.


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2012-08-08

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