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Paolo Sempreboni Adolescente

Testimoni

Negrar, Verona, 17 settembre 1958 - 25 agosto 1971


“...sono un bravo ragazzo”
Era questa la convinzione interiore di Paolo, che in un tema durante la prima media, unisce con candore pregi e difetti della sua persona.
Le sue righe sono quasi un’autopresentazione: “Io sono un tipo un po’ nervoso e mi arrabbio facilmente, specialmente quando altri ragazzi vogliono aver ragione e vittoria. Sono un tipo piuttosto timido e divento rosso se mi sgridano, o se non so rispondere quando mi interrogano. A me piacerebbe saltare, correre, giocare, ma il mio fisico non me lo permette: sono debole e devo spendere meno calorie che posso. Io soffro quando vedo i ragazzi che giocano mentre io non posso.
Per fortuna sono intelligente e mi basta poco per imparare la lezione. Sono un po’ disordinato e il compito lo faccio quasi sempre alla sera. Sono appassionato di disegno nel quale a casa mi esercito sempre; anche la matematica è la mia passione. Di musica non me intendo, ma mi piacerebbe suonare la batteria: a me piacciono le canzoni movimentate”.
E alla fine ripete: “Sono un tipo nervoso e nello stesso tempo timido, ma sono un bravo ragazzo e questo è l’importante”.
Paolo era nato a Negrar, paese della Valpolicella in provincia di Verona, il 17 settembre 1958, da papà Tarcisio e mamma Ida, di cui era il terzo figlio.
La sua sembra una vita spezzata come quella di altri ragazzi colpiti senza pietà da mali incurabili. Ma i suoi tredici anni non compiuti ci testimoniano che neppure la crudele malattia ha saputo scalfire nel cuore del piccolo eroe uno straordinario impegno di bontà e di fede, ma al contrario lo esalta.

“Faremo una grande festa!”
Accanto al letto del figlio, papà Tarcisio cerca le parole più giuste di conforto e promette: “Quando ritornerai a casa, faremo una grande festa e inviteremo tanta gente”. Il buon genitore sapeva che quella promessa non poteva realizzarsi, perché il male stava facendo inesorabilmente il suo corso, ma quelle parole, in modo diverso, si sarebbero davvero realizzate il giorno del funerale del piccolo martire.
La chiesa parrocchiale di Negrar, quel 27 agosto 1971, due giorni dopo la sua morte, si riempì all’inverosimile di una fiumana di gente per rendere l’estremo omaggio a quel bambino che lasciava dietro di sé un ricordo incancellabile di bontà nel cuore di tante persone. La Messa venne concelebrata da cinque sacerdoti e il parroco, don Bruno, non poté fare a meno di parlare in modo commovente di quel ragazzo che nel breve tratto della sua vita era stato di esempio a tutti come chierichetto e cantorino, come studente e come figlio, come amico e come sofferente.
Quando, il 28 marzo di quell’anno, era stato avvisato del ricovero urgente in ospedale, lo stesso parroco rifletté: “È il migliore ragazzo della mia parrocchia!”.
La sua vita sembra essere stata tutta una corsa per spendere nel migliore dei modi il poco tempo a disposizione. Era un ragazzo trasparente, aperto e sincero con tutti, simpatico e disponibile, sempre pieno di buone iniziative. Il papà, senza paura di esagerare, conclude: “Non si poteva non voler bene al nostro figliolo!”. E questo perché Paolo cercò sempre di attuare il suo segreto proposito: “Io ho deciso di impegnare la mia vita per gli altri...”.

“Non fui più il carogna...”

La bontà naturale di Paolo potrebbe far pensare che la sua crescita umana e di fede sia stata facile, ma ciò sarebbe errato. Lo prova il suo costante sforzo di correggersi.
Un giorno, durante l’immancabile partita a calcio del pomeriggio con gli amici, un compagno lo offese. Subito divenne rosso in viso e di scatto disse: “Te ne darei tante...”. Aveva già stretto i pugni, ma seppe controllarsi e cambiar parole: “Scusami!”.
Un’altra volta torna a casa un po’ mesto; sa di aver fatto qualcosa che non lo lascia tranquillo. Dotato di grande vivacità e di acuta curiosità, dopo aver visto più volte gli amici fumarsi una sigaretta, aveva ceduto alla tentazione; non si fermò neppure ad una sola, ma alla fine si confidò sinceramente : “Ho sbagliato, mamma”. E la mamma giustamente lo sconsigliò per il bene della sua salute.
In un tema, infine, leggiamo l’episodio più indicativo. “Un ragazzo, precisamente uno zingaro, di circa cinque o sei anni, veniva preso in giro da un gruppo di miei amici, che mi avevano chiamato per vedere il piccoletto. Quando fui lì, mi accorsi che il bambino veniva preso a schiaffi e a pedate. Trovandoci gusto in questo tipo di gioco, mi ci misi anch’io. Ad un tratto arrivò un uomo... e prese il bimbetto che piangeva. Ci guardò tutti e poi ci parlò con parole che non scorderò mai: “Vergognatevi! Ragazzi che studiano si comportano così!”. Io a queste parole piansi; io, il coraggioso, il prepotente... Mi feci avanti e chiesi all’uomo di darmi uno schiaffo. L’uomo mi guardò e sorrise: “Bravo! Vedo che sei in fondo un bravo ragazzo””.
E Paolo conclude il suo tema: “Da allora non fui più il carogna, il prepotente, ma diventai un ragazzo generoso”.

“Io ero il capitano”
Nei suoi temi, piacevoli da leggere sia per la bella capacità di descrizione, sia per le sue ‘mature’ riflessioni personali, si trova spesso il racconto delle sue avventure e dei suoi giochi.
Parla delle sue corse in bicicletta, delle partite a calcio e a pallavolo, della gara con le slitte o con gli autoscontri, del Carnevale e dei suoi amici. Non era davvero uno che si tirasse indietro quando si trattava di giocare o di fare qualsiasi genere di gare. Anzi è fiero di raccontare che “io ero il capitano”; che prese “la medaglia d’argento”; che “il goal della vittoria l’ho segnato io”; che “mi sono classificato secondo”; che “spinsi i miei compagni all’attacco e... ricevemmo la coppa d’argento”.
Già alle elementari scriveva: “A me dispiace molto separarmi dai miei amici perché con loro sono più allegro e buono”.
Quanta sofferenza nel suo cuore quando la mamma per ragioni di salute non gli permetteva di uscire di casa, e quale gioia quando poteva giocare con gli amici!
Una volta il viceparroco lo stuzzicò: “Quest’anno il curato ha dato l’incarico a me di organizzare e di radunare tutti i ragazzi dalla prima alla terza media che parteciperanno alla festicciola che si svolgerà martedì, il giorno prima delle Ceneri. Per me fu una grande emozione, perché era un compito molto impegnativo. Andai da tutti i ragazzi che conoscevo... Girai tutto il giorno e alla sera guardai l’elenco: c’erano scritti 17 ragazzi partecipanti. Il curato fu abbastanza contento e mi disse che avevo fatto molto bene... Così io ritornai a casa contentissimo; saltavo come se avessi vinto un milione. Saltavo anche se ero stanco”.

“Problemi veramente seri...”
Sebbene spensierato come tutti i ragazzi della sua età, Paolo tuttavia dimostrava una capacità riflessiva veramente notevole. Leggiamo da un tema: “In genere gli adulti ridono se noi bambini diciamo loro che abbiamo dei problemi. Ho anch’io i miei problemi. I problemi più difficili che ho sono: il comunicare un brutto voto e giocare...”. Dunque: “Non bisogna che i genitori pensino solo ai loro problemi, ma anche a quelli dei figli, perché a volte sono problemi veramente seri”.
Spesso in famiglia Paolo ascolta con interesse i discorsi ‘adulti’ dei genitori, anche se i suoi fratelli più grandi non ne sono coinvolti. E poi matura da solo conclusioni insospettate anche sugli argomenti più attuali. Un suo tema sulla droga così termina: “Lo scopritore della droga, quando saprà quante vittime ci sono per colpa sua, sentirà il rimorso di come ha usato male il grande dono come l’intelligenza”.
A commento della conquista della luna scrive: “Penso a tutti i soldi spesi per la conquista dello spazio, mentre molti popoli non hanno nemmeno il cibo per sfamarsi e gli abiti per vestirsi”.
E ancora, riflettendo su una disgrazia di paese: “Ieri sono andato al funerale di una giovane mamma di trentasei anni che ha lasciato tre figli e il marito... In chiesa ho pregato per la mamma di quei piccoli perché dal Cielo li protegga e dia loro tanto conforto”.
Dopo l’incontro con alcuni anziani conclude: “Ho ri-flettuto e pensato che noi ragazzi e giovani non pensiamo alla miserie che ci sono, e non preghiamo per quei poveretti che sono soli... Credo che i vecchi siano persone sagge e non persone da venir derise e prese in giro”.

“A scuola non ci vado più!”
Un giorno Paolo torna a casa scosso e pensieroso; a scuola qualcosa non è andato per il verso giusto e lui ha preso una decisione irremovibile: “Mamma, io a scuola non ci vado più!”.
Alla domanda meravigliata della mamma che gli chiede il motivo, pensando forse ad un brutto voto o ad un litigio, risponde altrettanto deciso: “Sono stanco di certi discorsi o di certi modi di fare di qualche mio compagno. Ho provato a dir loro qualcosa ma è inutile”.
Per salvare la propria innocenza è pronto a tutto!
A scuola il professore di scienze teneva alcune lezioni sulla sessualità e dei compagni scherzavano su tale argomento. Paolo è sereno e contento: “Prima di questo corso sentir parlare di queste cose mi dava un senso di peccato, ma ora che se ne parla non provo nessun senso di peccato e penso alla bontà di Dio che ci ha fatto così perfetti”. Ma qualcosa lo turba: “Le discussioni del giovedì mi interessano anche se io non avevo problemi, difficoltà sessuali. Il professore è bravo nello spiegare, ma secondo me non riesce a mantenere la classe calma. Vorrei che pregasse i ragazzi di non parlar male, approfittando degli insegnamenti ricevuti”.
Lo guidava quel senso di peccato che lo faceva rifuggire subito anche dal sospetto di offendere il Signore.
“Se un ragazzo non frequenta cattive compagnie - medita sul diario - o se è ben educato non compera certi giornaletti sporchi; la stampa può essere educativa, ma può essere anche dannosa; in questo caso essa non pensa a rovinare migliaia di bambini, ma pensa soltanto a fare soldi”. E conclude: “Io credo che un’anima valga di più di centomila lire...”.

“Non mancava occasione...”
Testimonia papà Tarcisio: “Non mancava occasione, il nostro Paolo, di aiutare chi si trovasse in difficoltà, dal compagno di scuola all’anziano del paese”.
Racconta con candore Paolo stesso in un tema: “Una mattina stavo recandomi a scuola quando intravidi all’angolo della strada un vecchietto tutto intirizzito dal freddo: aveva i vestiti sudici quanto laceri. Dopo averlo osservato attentamente mi decisi di chiedergli se avesse freddo. Mi rispose di sì... Lo pregai di andare a casa mia affinché mia mamma potesse dargli qualche indumento usato... Quando tornai a casa la mamma mi elogiò per la carità che avevo usato col vecchietto; quel giorno fu il più felice della mia vita. Mi sentivo leggero come una piuma: avevo fatto felice un uomo. Spesso l’uomo cerca la gioia dove non la si può trovare e non sa che basta così poco per averla”.
Persino le Suore dell’asilo ricordano Paolo come un bimbo che aveva qualcosa in più quanto a generosità!
Un giorno dalla sua casa vede la sua anziana catechista attraversare con difficoltà la strada per il ghiaccio invernale. Scende immediatamente e la accompagna.
Un’altra volta sente un bimbo piangere tutto solo e neppure un cancello, che gli strapperà i calzoni, riesce a fermarlo. Lo consola e ne cerca la mamma.
Del premio preso nella gara degli autoscontri - altri gettoni per nuove gare - fa dono a chi non se lo può premettere. Sempre così lui, sempre attento agli altri, tanto da far dire al preside della scuola: “Quello che posso dire di Paolo è che era buono, riservato con tutti e tanto generoso”.
Quanto zelo poi metteva per le iniziative parrocchiali! Non mancava mai al catechismo; faceva parte del coro nel quale cantava talvolta da solista;  era particolarmente fiero di essere chierichetto, rendendosi disponibile al servizio della Messa per il suo turno e in qualsiasi giorno od ora.
La sua carità diventò squisita quando cominciò a recarsi in ospedale, spontaneamente, a trovare gli ammalati: dalla suora dell’asilo ai suoi amici. Passò delle ore accanto al letto dell’amico Giancarlo, anch’egli colpito da un male che non perdona, per distrarlo, farlo sorridere e portargli i Topolini da leggere. E quando morì fu visto piangere.

“Come si fa a farsi santi?”
Una mattina al termine della Messa Paolo ferma il viceparroco e gli improvvisa una domanda che gli sta a cuore: “Mi spieghi, signor curato: coma si fa a farsi santi?”. Don Francesco colto un po’ di sorpresa ci pensa un attimo e risponde: “Per farsi santi non occorre far miracoli o cose straordinarie, basta compiere straordinariamente bene le cose ordinarie, come lo studio, la scuola, il gioco, il servizio all’altare...”.
La lezione gli venne ripetuta quando il curato gli fece visita in ospedale: “Ecco qui come si diventa santi: accetta nella luce del Padre questa situazione fatta di solitudine, di immobilità, di sofferenza e di martirio, certo che Dio ti ama... e io ti assicuro che sei sulla strada giusta, quella che conduce alla santità”.
Non era solo un sogno il suo, ma un ideale di vita. Per questo alla sorella, che un giorno accarezzandolo gli disse: “Sei un santo!”, rispose: “Io non voglio tanti complimenti!”.

Tra dolore e preghiera

Stava guardando la televisione Paolo la sera del 25 gennaio 1968 quando si sentì male. Fu ricoverato d’urgenza all’ospedale e si riprese dopo tre ore senza ricordare nulla. Il responso fu quello di una sospetta crisi epilettica.
Il controllo encefalografico fatto ogni sei mesi non rilevò nulla fino al 27 marzo 1971, quando la situazione si presentò improvvisamente peggiorata. Il giorno prima Paolo era stato di nuovo male con crisi di nausea, vomito e svenimenti; la sentenza del suo calvario fu pronunciata: tumore alla testa.
I tre giorni di intensi esami all’ospedale rivelarono subito in Paolo una pazienza e una sopportazione straordinarie, tanto da meravigliare i medici: “Non ho mai visto tanta bontà sotto quella tortura!”. E pensare che solo pochi mesi prima, in sala d’attesa dal dentista, appena si era sentito chiamare per il suo turno, era fuggito verso la porta d’ingresso dalla paura, finendo in braccio alla persona che entrava!
Due giorni ancora e Paolo è completamente rasato e pronto per l’intervento. Versa lacrime, ma le nasconde. Soprattutto prega e chiede di poter ricevere la Comunione.
Quando cominciano le terapie Paolo spiega come fa a sopportare: “In quei pochi minuti guardo in alto, mi raffiguro il cielo e prego, così il tempo passa in fretta”; ogni volta che gli si chiedeva se soffriva, era pronto a rispondere: “No, no, ora mi è passato, sto già meglio”.
Preoccupato di non dar eccessivo disturbo neppure ai genitori si rivolge a papà Tarcisio: “Tu riposati, sdraiati qui vicino al letto e dammi la mano; se ho bisogno di qualcosa ti stringo la mano, così mi senti”.
A mamma e papà che gli stavano sempre accanto diceva: “È bello sentirvi pregare... sie-te bravi a pregare, ma io non sempre riesco a seguirvi”.
Esce esausto da un doloroso esame, ma è contento: “Papà, mi sono ricordato, sai, di quelle preghiere...”.

“Vado a casa”
Dovette subire un secondo intervento il 12 giugno, ma la situazione non migliorò. Lui si rendeva perfettamente conto della situazione: “Non so, papà, se verrò ancora a casa... Forse il Signore mi vuol martire...”. Lo portarono nell’ospedale del paese unicamente per essere più vicino a casa, ma con nessuna speranza se non nel miracolo.
L’unica cosa a cui Paolo era ancora attaccato era la fede. Quanti rosari recitò in quei mesi a letto!
Alla sorella che, sconfortata, gli insinuò: “Tu stai sempre peggio... Allora, a che cosa servono tante preghiere?”, lui ribatté: “Che dici? Taci! Tu non capisci niente!”.
Ad un prete amico che lo avvicinò la sera del 29 giugno uscì con un’espressione singolare: “Me ne vado... vado a casa!”. Non poteva assolutamente muoversi, per cui spiegò: “Vede, don Guido, io ho due case: una è qui a Negrar, e l’altra...” e così dicendo puntò il dito verso il cielo.
Aveva sognato di donarsi al Signore diventando prete: “In futuro conto di andare in seminario per poter essere un giorno sacerdote; questo è il mio sogno che più desidero che si avveri”; “Come sapete, il mio sogno è di farmi sacerdote. È una decisione che ho meditato per molti anni...”. La malattia alla fine gli rubò anche la parola e la vista, ma il suo dono al Signore fu ugualmente completo.


Autore:
fratel Claudio Campagnola


Fonte:
Nazareth agli adolescenti e agli amici


Note:
Per approfondire: Don Guido Todeschini, C’è qui un ragazzo di nome Paolo, e i manoscritti

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Aggiunto/modificato il 2012-09-09

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