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Anatolij Zurakovskij Sacerdote ortodosso, martire

Testimoni

16 marzo 1897 - 3 dicembre 1937


Sol d'aurora

Nato a Mosca il 16 marzo 1897 (1) in una tipica e solida famiglia di intellettuali onesti, di buon cuore, fortemente radicati nel vivere quotidiano, ma lontani dalla fede, riceve come unica formazione religiosa nella sua infanzia quella impartitagli durante le lezioni obbligatorie al ginnasio, frequentato a Kiev, ove, nel 1911, la famiglia Žurakovskij si trasferisce a causa della malattia contratta dalla mamma: il clima ucraino infatti è decisamente più favorevole al superamento della TBC rispetto a quello moscovita. Nonostante l'humus familiare non sia affatto stimolante, Anatolij, all'età di nove anni, presenta già una forte sensibilità al fatto religioso; è di quei tempi la malattia - mortale - del fratello minore, evento che lo spinge a recarsi, spontaneamente, in Chiesa per pregare per lui. Per Anatolij questo è solo l'inizio; anche dopo la morte del fratellino, infatti, pur non recandosi più con assiduità in Chiesa, continuerà a pregare, nel segreto della sua anima.
Nel 1915 termina il ginnasio e si iscrive alla facoltà di lettere e storia presso l'Università di Kiev. Sotto la guida di Vasilij Zen'kovskij scrive un saggio su Joseph de Maistre e Konstantin Leont'ev; sempre in questi anni viene a contatto con gli slavofili, rispetto ai quali assume una netta posizione critica, ma dai quali resta comunque influenzato. Grazie al contatto con essi infatti Anatolij prende piena coscienza che l'amore, e solo l'amore, è il principio e la norma di tutta la vita cristiana: questa consapevolezza si fa pietra angolare della sua riflessione teologica.
Nell'Ateneo ucraino viene a contatto anche con Padre Aleksandr Glagolev e Padre Michail Edlinskij, la cui testimonianza di vita fa maturare in lui la convinzione che la rinascita della Chiesa (2) non solo è possibile, ma che può avere inizio anche dalla semplice persona di un parroco e da un piccolo gruppo di laici.
Sempre del periodo universitario è anche la lettura di Giovanni Climaco, asceta del VII secolo. La "Scala spirituale" è per lui come una rivelazione, il mostrarsi di una via concreta sulla quale camminare per giungere a quella purezza e integrità interiore che tanto lo attrae, ma che sa di non possedere ancora. In una lettera del 23 luglio 1915 scrive: "Personalmente, questo libro mi ha aiutato a mettere ordine dentro di me (…). Ho vissuto tre periodi: quello in cui ho rifuggito la via stretta della "Scala", quello in cui ho protestato contro la sua "freddezza" e "durezza" e il terzo periodo, in cui ho cominciato a prenderne seriamente coscienza e ad orientare la mia vita sulla base di questo testo. Ora per me questo libro è come la luce del tramonto che attraverso la freddezza esteriore mi invade di un calore interiore (…). L'asceta della "Scala", attraverso la selva aspra e oscura dell'ascesi, procede verso le vette luminose e splendenti del "silenzio", o della piena percezione di Dio e della completa unione con Gesù". Questo incontro con Giovanni Climaco segna una pietra miliare nel cammino di Anatolij, poiché gli offre la possibilità di farsi un "progetto di vita" che pone al centro l'autenticità del cristianesimo apostolico, il recupero della cultura cristiana e il ripristino della verità della Chiesa, da tempo calpestata dai compromessi "col mondo".
Chiamato alle armi nel 1916, viene mandato al fronte tra le truppe ausiliarie. Dalle lettere scritte in quel tempo emerge con evidenza l'avvenuta scelta radicale per Cristo, senso e scopo del pellegrinaggio terreno. Matura in lui anche un progetto di vita in grado di fondere in unità la sua fede, il suo ardente desiderio di vivere per Cristo e il suo amore umano per Nina Bogojavlenskaia, che sposa nel 1917.

Pieno mezzogiorno

1917, marzo: cade la monarchia, si passa da Nicola II al Governo provvisorio, alle elezioni a suffragio universale, al parlamento, all'Assemblea costituente.
In questo contesto di veloce cambio di scena a livello politico (forse non sarebbe esagerato dire di… guerra civile…), Anatolij sente in sé la chiamata a costruire la Chiesa e volge di nuovo il suo sguardo a Kiev, all'azione di Padre Spiridon in particolare.
E' questo un rapporto che influenza Anatolij in modo radicale. A seguito della TBC che lo manda in fin di vita, va a Krasnagorka, remoto villaggio di campagna del governatorato di Kiev; qui recupera la salute e matura la decisione di consacrare la sua vita a Cristo e ai fratelli: il 18 agosto 1920, nella Lavra delle Grotte di Kiev, viene ordinato sacerdote (3).
Svolge però il suo ministero non nella campagna, ma nella città di Kiev, nella Chiesa di S. Maria Maddalena, che si fa immediatamente punto di riferimento per molti (4).
Già dal 1918 però anche per la Chiesa ucraina iniziano i problemi, che assumono il volto della "Chiesa autocefala ucraina" in opposizione alla "Chiesa rossa" o "degli innovatori".
Immediata è la presa di posizione di Anatolij, che vede da un lato l'estrema pericolosità dello scisma operato dagli "innovatori" (chiaro è il suo pensiero: Dio agisce nella storia sulle vie della rinascita, non su quelle del potere e della rivoluzione!) e dall'altro il tradimento operato dal "clero rosso", che sperava di salvare la Chiesa in URSS con il vecchio criterio dell'alleanza tra Chiesa e Stato, questa volta con lo Stato Comunista.
La risposta di chi è al potere non si fa attendere: Anatolij, che ha impostato tutta la sua esistenza e la sua pastorale attorno all'Eucaristia, il Giovedì Santo del 1923 viene arrestato, trasportato dalla prigione di Kiev a Mosca e trattenuto alcuni mesi nel carcere di Butyrki. Non sono pochi i maltrattamenti e le umiliazioni che subisce; non gli è però negata la possibilità della corrispondenza, cosa di cui immediatamente approfitta per restare in contatto con la sua Comunità. In una sua lettera dal carcere scrive: "Vorrei dirvi, o al limite scrivervi, tante, infinite cose... ma mi limiterò solo ad alcune parole. Spesso un sentimento di gioia afferra l'anima con una fitta acuta, a volte si riversa nel cuore come una luce serena. Mai come ora la certezza in Lui e nella giustizia delle Sue vie è stata così viva, così forte nella mia anima. Non ho più una mia volontà, dei progetti, delle fantasie mie, e neppure una responsabilità mia. Esiste solo la Sua volontà, la Sua sapienza, le Sue vie, la Sua bontà. Tutto è cominciato la notte in cui sono uscito di casa verso l'ignoto, strappato alla vita di prima, al passato. E da quel momento questa percezione cresce e si rafforza in me e negli altri che portano la stessa croce e che partecipano alla stessa gioia".
Nell'agosto dello stesso anno viene condannato alla deportazione nella lontana città di Krasnokokšajsk, capitale della Repubblica di Mari-El (dal 1927 Joškar-Ola).
La moglie lo segue volontariamente al confino.
Anche da là continua a seguire i suoi figli spirituali e riflette sul metodo migliore per costruire la Comunità, basata sulla forza dell'amore fraterno, lasciato in eredità da Gesù ai suoi discepoli.
Scrive anche un saggio, "Giuda", nel quale definisce questo apostolo come colui che ha continuato ad amare le cose terrene e, soprattutto, ad amare con misura terrena; Anatolij invece invita a rifiutare tutto ciò che si frappone come ostacolo tra l'uomo e Cristo. Per "i suoi", che ricevono lo scritto a Kiev, le parole giungono con un peso mai sperimentato prima: sono un invito al più serio degli esami di coscienza, sono di quelle che - come ebbe a dire Anna, una delle sue figlie spirituali - " segnano la vita e la dividono in due, "prima" e "dopo"".
Nel dicembre del 1924 viene rilasciato e può far ritorno alla sua città; trova la Comunità decisamente diminuita in numero, ma altrettanto decisamente più matura e responsabile.
Riprende la sua vita di pastore d'anime, accogliendo chiunque ha bisogno, aperto nei confronti di tutti.
Non nasconde però le sue opinioni, le sue convinzioni, i suoi pensieri. Al contrario, li manifesta pubblicamente, spesso dal pulpito. Chiama ogni cosa con il suo nome: a spingerlo è il "bisogno" di indicare le problematiche dell'uomo contemporaneo, di chiarire il significato della realtà, spesso caotica, nebulosa, infangata dal compromesso.
1925: dopo lo scisma della "Chiesa autocefala ucraina", dopo gli "innovatori", dopo altri piccoli scismi, muore il patriarca Tichon: è il crollo della struttura ecclesiastica dell'ortodossia russa.
1926: i dirigenti sovietici cominciano a preparare una nuova fase di terrore contro il popolo. Stalin, a capo del partito, attribuisce un ruolo importante alla eliminazione di tutte le comunità religiose, in primo luogo della Chiesa ortodossa. Il progetto è chiaro: trasformarla prima totalmente in una obbediente marionetta dello Stato e poi scomparire per sempre dalla faccia della terra.
Dopo la morte di Tichon le autorità politiche impediscono il radunarsi del Concilio per eleggere il successore. Violando il diritto canonico, viene nominato in "locum tenens" il metropolita Pëtr Polianskij, ben presto arrestato. Diviene suo vicario Sergij Stragorodskij, che languisce in prigione fino al 1927 quando, il 29 luglio, le autorità riescono a strappargli un documento in cui Sergij, assieme a un gruppo di vescovi, dichiara la piena unanimità tra la Chiesa ortodossa e il potere sovietico.
La reazione di Padre Žurakovskij è immediata. Egli sa che i seguaci di Cristo sono sempre di fronte a una scelta: seguire il Maestro senza badare alle minacce del mondo o "scendere a patti" con la storia, la società, i leaders politici. Anatolij non può condividere i principi esposti nella Dichiarazione del metropolita Sergij. In una predica del settembre del 1927 arriva ad affermare:
"I rappresentanti della Chiesa e del cristianesimo vogliono creare una Chiesa senza sofferenze qui sulla terra, per amore del quieto vivere. Per amore del quieto vivere tradiscono i fondamenti della fede, tradiscono la fede in modo vile, pusillanime, giustificandosi e farfugliano parole incomprensibili a propria giustificazione (…). Dobbiamo essere pronti a grandi sofferenze, ma per noi è meglio fuggire questo illusorio quieto vivere, perché con noi ci sarà Gesù Cristo".
Ben presto, dopo la Dichiarazione, sorge in Unione Sovietica una opposizione non organizzata a Sergij, costituita da tutti coloro che, non avendo accolto la dichiarazione, erano stati privati dal metropolita della loro cattedra, o che si erano spontaneamente ritirati a vita privata; costoro vengono chiamati "non commemoranti" perché durante la Divina Liturgia non commemorano il metropolita Sergij come loro suprema autorità.
Anatolij non esita a separarsi dal suo vescovo, il metropolita Michail Ermakov, firmatario della Dichiarazione, e si pone sotto la giurisdizione del vescovo della diocesi di Leningrado, Dimitrij Ljubimov . E' il settembre del 1928. Prende contatti - salutari! - con la comunità di Padre Fëdor Andreev e con quella di Aleksej prima, e poi di Sergij Me?ëv, entrambe di Leningrado.
In questi anni di estrema tensione scrive saggi su S. Giovanni Crisostomo e su Elia, identificandosi probabilmente con le loro vicende e il loro destino.

Era verso l'ora nona…

1929: il GPU decide di eliminare completamente la resistenza della Chiesa in URSS.
Anatolij è nel mirino: viene arrestato il 14 ottobre 1930, festa della protezione della Madre di Dio, ricorrenza quanto mai cara agli ortodossi. L'istruttoria dura quasi un anno, trascorso in assoluta solitudine, in una cella quasi completamente buia. Il 20 settembre 1931 viene condannato alla fucilazione, pena commutata in 10 anni di lager. Viene inviato a Svir'lag. In ottobre viene trasferito alle Isole Solovki (5), poi nei campi di concentramento addetti alla costruzione del canale mar Bianco-mar Baltico (un canale di 226 Km, scavato praticamente con le mani, col solo ausilio di piccone, badile e carriola, a una temperatura oscillante tra i venti e i quaranta sotto zero! 100.000 uomini morti nel solo inverno 1931-'32!! [6]).
Anche la moglie è internata e condannata a tre anni di lager.
Nel 1932 riceve una visita, nel '33 due, nel '35 una, nel '36 due.
La sua ultima lettera porta la data: 10 novembre 1937.
Nel luglio del 1940 viene comunicato ai parenti una ulteriore condanna a dieci anni di isolamento a regime duro, senza diritto di corrispondenza; nell'agosto del 1955 viene fatto recapitare un certificato di morte per TBC con complicanza di polmonite, avvenuta il 10 ottobre 1939, nell'infermeria della prigione di Petrozavodsk.
Le cose però non sono andate così.
In realtà Anatolij, nell'agosto del 1937, viene arrestato nel lager con l'accusa di propaganda controrivoluzionaria, il 20 novembre viene condannato alla fucilazione e il 3 dicembre, alle ore 1.15, il colpo
mortale viene sparato. Non si conosce il luogo della sepoltura.

Note

(1) Per il profilo biografico facciamo riferimento a: Il'ja Semenenko-Basin - Pavel Procenko, ANATOLIJ ŽURAKOVSKIJ, La Casa di Matriona, 1999.
(2) Tale riflessione affonda le sue radici nel fatto che la Chiesa Ortodossa russa si trova a vivere in diretta dipendenza dallo Stato, imbrigliata, purtroppo, dentro un mortifero formalismo; in risposta a ciò fioriscono moltissime oasi di vera vita cristiana - come, ad esempio, la stessa Accademia teologica di Kiev -, ove ai profondi interessi scientifici si unisce un amore sincero e appassionato per la Chiesa.
(3) Il clero ortodosso prevede la possibilità del matrimonio per i sacerdoti delle parrocchie ("clero bianco"), mentre per le cariche superiori è necessario appartenere al "clero nero", non sposato.
(4) Essendo questo aspetto di particolare bellezza e interesse, rimandiamo all'approfondimento.
(5)Per conoscere qualcosa di ciò che accadde in quelle isole, oltre a quanto racconta Aleksàndr Solženicyn in ARCIPELAGO GULag, Ed. Mondatori, può essere consultato il volume di Jurij Brodskij SOLOVKIJ. LE ISOLE DEL MARTIRIO. DA MONASTERO A PRIMO LAGER SOVIETICO, Ed. La Casa di Matriona, 1998.
(6) Cfr. Ettore Mo, GULAG E ALTRI INFERNI, Ed. Rizzoli, 2001.


Autore:
Sr. M. Benedetta dell'Unitŕ


Fonte:
www.culturacattolica.it

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Aggiunto/modificato il 2013-04-09

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