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Santa Lucia Wang Wangzhi Madre di famiglia, martire

20 luglio

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1869 circa – Majiazhuang, Weixian, Cina, 22 luglio 1900

Lucia Wang Wangzhi, madre di Andrea, nove anni, e di una bambina di cinque, è una dei martiri del villaggio cinese di Majiazhuang, nella provincia dello Hebei. Obbligata a scegliere tra l’aver salva la vita e la fede, scelse la seconda, anche per i suoi figli. Dopo essersi opposta al salvataggio di Andrea, perché temeva che venisse educato da pagano, assistette alla sua decapitazione, poi lei e la figlia subirono la stessa sorte. Insieme ai figli, è inclusa nel gruppo dei 120 martiri cinesi che furono canonizzati a Roma il 1 ottobre 2000.

Martirologio Romano: In località Majiazhuang vicino a Daining nella provincia dello Hebei in Cina, santi martiri Anna Wang, vergine, Lucia Wang Wangzhi e suo figlio Andrea Wang Tianqing, uccisi per il nome di Cristo nella persecuzione dei Boxer.


Lucia Wang nata Wang (il suffisso –zhi indica il cognome di nascita) viveva nel villaggio cinese di Majiazhuang, nella provincia dello Hebei, quando rimase coinvolta nella rivolta dei Boxer, che vedeva nel Cristianesimo un pericolo sociale. Aveva due figli, Andrea, di nove anni, e una bambina di cinque, di cui non ci è giunto il nome.
Quando i Boxer arrivarono a Majiazhuang, anzitutto incendiarono la chiesa del villaggio. Il capo della squadriglia pose gli abitanti del villaggio di fronte all’alternativa fra apostatare o affrontare la morte, poi andò via coi suoi uomini. Lucia e i suoi bambini, quindi, si rifugiarono nella scuola del villaggio, custodita dall’anziano Giuseppe Wang Yumei, e vennero raggiunti da una ragazzina che in quella scuola aveva studiato, Anna Wang. Il maggior conforto di cui potevano godere i rifugiati era la celebrazione della Messa, all’alba, grazie a un padre missionario.
I roghi appiccati dai Boxer, però, si facevano sempre più vicini. Quando i soldati arrivarono, Giuseppe disse a tutti di rifugiarsi nel sotterraneo della scuola; lui avrebbe cercato di sviare gli aggressori accogliendoli sull’ingresso principale. Dato che si rifiutava di parlare, il capo ordinò di sparare contro le finestre dell’edificio: il fragore dei vetri spaventò i bambini, che, urlando, fecero scoprire il nascondiglio. Tutti i presenti vennero quindi costretti a salire su di un carro e condotti al villaggio dov’era il quartier generale dei Boxer. Lucia cercò di ragionare con i soldati, facendo loro notare che nessuno aveva fatto nulla di male, ma alla fine desistette, per non aggravare la situazione, già critica di suo.
Verso sera, alla luce delle fiaccole, i prigionieri vennero sottoposti ad un interrogatorio. Mentre i bambini, giustamente impauriti, piangevano, la donna rispose: «La religione cristiana non insegna che a far del bene a tutti, perché basata sull’amore. Noi quindi, che l’abbiamo abbracciata perché persone di buona volontà, non meritiamo la maledizione, perché siamo, anzi, nelle migliori condizioni di ubbidire alle leggi quali vere donne e madri cinesi, che fanno onore alla patria». Le sue parole non vennero tenute in considerazione, come pure quelle di Giuseppe, che, anzi, venne colpito alla gola da una lancia e decapitato.
Dato che i prigionieri inorridivano, ma non si smuovevano, i persecutori adottarono un sistema per farli cedere: separarono i figli dalle madri, poi li condussero in una saletta adiacente a due stanze. Una, situata ad ovest, era indicata da un cartello con scritto “Liberazione”, dove i soldati avevano ammassato giocattoli, ventagli e altre mercanzie; se vi fossero entrati, sarebbero stati salvati. L’altra, a est, era contrassegnata dalla scritta “Morte”.
Di fronte alla perplessità dei piccoli, venne deciso di far venire alcune delle donne e di porle di fronte alla medesima scelta. Lucia e i suoi bambini scelsero di restare fedeli a quanto credevano, così, insieme a quanti non avevano apostatato, subirono una nuova minaccia: tornare alla religione dei padri, o essere sepolte vive insieme ai figli. Venne loro concessa una notte di riflessione, che trascorsero, invece, in preghiera, guidati dalla giovane Anna Wang.
L’indomani, il 22 luglio 1900, donne e bambini vennero condotti in uno spiazzo, dove erano state preparate delle fosse. Prima avevano subito un nuovo interrogatorio a cui non risposero, perché incoraggiate dallo sguardo di Anna. I soldati dissero loro che, se fossero rimaste ostinate nel loro proposito, sarebbero dovute entrare nelle fosse insieme ai figli. Le donne avanzarono, ma la ragazza suggerì loro, a voce bassa, d’inginocchiarsi rivolte verso la chiesa del villaggio. Il capo, allora, ordinò che tutte venissero colpite con la spada, a cominciare dalle più anziane, e spinte nelle buche.
Venuto il turno di Lucia, il capo dei Boxer cercò di convincerla a rinnegare la fede facendo leva proprio sui suoi figli. Ella ribatté: «Io sono cattolica, e cattolici sono pure questi miei figlioletti. Se voi uccidete me, per la mia fede, sopprimete anche loro».
Dopo queste parole, Andrea scoppiò a piangere e a lamentarsi di aver sete. Un soldato, allora, tagliò a metà un cocomero giallo, così poté almeno rinfrescargli le labbra. Al vedere quella scena, l’uomo si rivolse al capo per chiedergli di poter tenere lui il bambino. Ma Lucia, al pensiero che il figlio avrebbe potuto aver salva la vita, però sarebbe stato educato da pagano, si oppose: «Io sono cristiana», ripeté, «e anche mio figlio. Uccideteci entrambi, ma lui per primo e io per ultima!».
Andrea, quindi, gettò via il frutto e si preparò a morire. Con un sorriso, salutò Lucia per l’ultima volta, poi chinò il collo per venire decapitato; immediatamente dopo, fu il turno della mamma e della sorella. Tutti e tre vennero seppelliti nella medesima fossa. Dopo di loro fu il turno di altre madri e figli, il più piccolo dei quali aveva appena dieci mesi.
Il 6 novembre 1901, a quindici mesi di distanza, le fosse vennero disseppellite, per concedere ai martiri una sepoltura conveniente. Con gran meraviglia degli astanti, i cadaveri vennero ritrovati confusi, ma con le membra e le teste intatti.
La causa di canonizzazione per Lucia Wang Wangzhi venne inserita in quella del gruppo capeggiato dal gesuita padre Leone Ignazio Mangin e composto in tutto da cinquantasei martiri. Il riconoscimento del loro martirio venne sancito il 22 febbraio 1955. Il 17 aprile dello stesso anno, domenica “in albis”, si svolse invece la beatificazione. La canonizzazione del gruppo, inserito nel più ampio elenco dei 120 martiri cinesi, avvenne invece il 1 ottobre 2000.


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2013-06-02

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