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Luigi (Gigi) Malaspina Adolescente

Testimoni

Motta di Livenza, Treviso, 9 ottobre 1935 – 3 giugno 1947

Luigi Malaspina, detto Gigi, adolescente della Diocesi di Treviso, fu chierichetto, allievo dei padri Giuseppini del Murialdo e Aspirante di Azione Cattolica. Debole di costituzione, ma volitivo nel carattere, seppe affidarsi a guide sapienti, per crescere nella fede sotto lo sguardo della Vergine Maria, venerata a Motta di Livenza come Madonna dei Miracoli. Morì di peritonite nella notte del 3 giugno 1947.



Nel settembre 1935 il paese di Motta di Livenza, in provincia di Treviso, era preso, come ogni venticinque anni, dall’organizzazione della solenne processione della Madonna dei Miracoli, cui è dedicato un santuario, sorto dopo l’apparizione del 9 marzo 1510.
Nella casa di Gaspare Malaspina, bancario, e Antonietta Travan, insegnante di scuola elementare, sposati dal 18 gennaio 1923, i preparativi erano uniti all’attesa di un nuovo membro della famiglia, dopo Luisa, dodicenne, e Franca, di due anni minore. Il 9 ottobre, a dodici giorni dalla processione, venne alla luce un maschio, l’unico di tutta la parentela. Undici giorni dopo la nascita, fu portato dalla mamma al fonte battesimale: con la grazia di Dio, amministratagli dall’Arciprete monsignor Agostino Sandro, gli vennero imposti, in ricordo dei nonni, i nomi di Luigi Francesco, ma i familiari e gli amici lo chiamarono sempre Gigi.
Nella primissima infanzia, Gigi ebbe due episodi dolorosi: a due anni fu colpito da enterocolite acuta, che lo rese di costituzione delicata, mentre l’anno dopo dovette essere operato di ernia, ma si temeva che l’operazione dovesse essere replicata. La mamma, allora, pregò ardentemente la Madonna perché al piccolo fossero risparmiate altre sofferenze, e il pericolo fu scampato.
Appena fu possibile, la signora Antonietta prese a condurlo con sé in chiesa, insegnandogli a pregare e a riconoscere le immagini dei Santi. In particolare, Gigi restava stupito di fronte al Crocifisso, tanto da esclamare: «Mama… quanta bua!».
Diventato più grande, non di rado accompagnava la mamma a Messa, seguendo con attenzione i movimenti del sacerdote e dei chierichetti; altre volte, invece, ci andava da solo. Quando non poteva, si dilettava a celebrare per gioco, sull’altarino che si era preparato in casa, da solo o con l’amico Sandro Tirindelli.
A cinque anni sapeva già leggere, per averlo appreso in casa dalle sorelle, ma non scrivere. Nella primavera del 1941, quindi, fu iscritto alle elementari. La maestra Egle Possenti, che lo seguì in seconda, terza e quarta, testimoniò che era gentile e pronto ad aiutare i compagni.
Il 16 maggio 1943 fu il giorno della sua Prima Comunione. Gigi fu così emozionato da sbiancare in volto e venir meno, ma, appena riavutosi, poté accostarsi alla balaustra. Qualche mese più tardi, anche se non è nota la data precisa, ricevette la Cresima. Il periodo dei Sacramenti fu lo stesso in cui poté diventare uno dei chierichetti che tanto ammirava, perché particolarmente vicini a Gesù nel Tabernacolo.
Nell’autunno 1944, a causa dei bombardamenti, i Malaspina sfollarono in campagna, ma, appena suonava l’allarme antiaereo, correvano presso il Santuario della Madonna dei Miracoli. Anche lì, il bambino donava il suo servizio durante le Messe e la Novena di Natale, con gran gioia dei padri Francescani del luogo.
Terminata la guerra, Gigi pensava di dover iniziare le scuole medie, ma non aveva ancora frequentato la quinta elementare. Dopo un corso accelerato durante l’estate, fu pronto per l’esame d’ammissione al Collegio Brandolini Rota di Oderzo, retto dai padri Giuseppini del Murialdo. Com’è naturale, sulle prime ebbe paura del nuovo ambiente, ma, appena superato l’esame a pieni voti, si sentì meglio.
Ogni mattina si recava a scuola in corriera, tanto da definirsi, in uno dei primi temi, «studente e viaggiatore». Fu sempre puntuale e presente, perfino quando gli venne un terribile raffreddore. Il suo profitto non fu affatto mediocre, anzi, era tra i migliori, anche se, quando gli veniva chiesto se era bravo, ammetteva che c’erano altri più validi di lui.
Nel tempo libero, giocava con slancio e onestà, ma era pure capace di farsi valere; in particolare, era molto bravo a calcio. D’inverno, invece, si dilettava con le costruzioni. Nella bella stagione, invece, inforcava la sua bicicletta e correva all’aperto, facendo tappa fissa al Santuario.
A causa della formazione ricevuta in casa e della sua fibra non robusta, Gigi aveva maturato un temperamento autoritario e impaziente. A volte commetteva delle imprudenze, oppure rispondeva in maniera sgarbata, ma comprendeva subito il suo errore e chiedeva perdono a chi aveva offeso.
A contribuire al suo miglioramento fu l’iscrizione all’Azione Cattolica, nella sezione Aspiranti. Come membro delle “Fiamme Verdi” (i bambini dai sei agli otto anni), aveva un quadernetto, dove segnava scrupolosamente le rinunce materiali e i piccoli sacrifici, come le offerte in denaro, ed esprimeva l’ardore che lo prendeva, specie quando serviva all’altare. A seguito di un ritiro con gli altri Aspiranti, decise di compiere ogni sera l’esame di coscienza, che, quando era veramente stanco per lo studio, la mamma gli “scontava” limitandolo al solo Atto di dolore.
Si confessava ogni settimana, quasi sempre nella cappella del Collegio. Si accostava alla Comunione la domenica e nelle feste di precetto, ma anche nei Primi Venerdì del mese e, in vacanza, nei Primi Sabati. Tra le letture che preferiva, le vite dei santi: nello scegliere un premio per un compito ben riuscito, non prese dolci o frutta, ma una biografia di san Leonardo Murialdo (all’epoca Servo di Dio). Gli era particolarmente cara, perché sua coetanea, l’allora Beata Maria Goretti, anche se non capiva la specie di peccato che non aveva voluto commettere. Quando lo seppe, non cambiò parere: aveva fatto bene a sacrificare la sua vita.
In famiglia, era la voce della coscienza, richiamando il papà a comunicarsi di frequente e le sorelle a santificare a dovere la festa, recandosi non solo a Messa, ma anche alle funzioni pomeridiane. Se gli capitava, nel tragitto verso scuola, di udire qualche bestemmia, pregava in mente tante giaculatorie.
La devozione alla Madonna si esprimeva in lui nelle quotidiane visite alla cripta del Santuario, dov’è custodito il suo prodigioso simulacro, ma anche nell’offerta di numerosi fioretti, specie nel mese di maggio.
Fu proprio venerdì 30 maggio 1947 che, verso mezzogiorno, Gigi sentì forti dolori all’addome. Appena arrivato a casa, fu messo a letto, ma ebbe la forza di comunicare ai suoi che aveva preso dieci in latino scritto. Il suo desiderio maggiore era poter vedere, esposta sull’altar maggiore, la “sua” Madonna: il padre gli promise che ve l’avrebbe condotto in macchina.
Il medico, sulle prime, diagnosticò un leggero attacco di gastrite, e non cambiò idea neppure l’indomani, ma, la notte tra sabato 31 e domenica 1 giugno, proprio mentre in Santuario si teneva una solenne veglia, la situazione peggiorò. La diagnosi venne riformulata: si trattava di peritonite, come lo stesso Gigi aveva confidato di temere alla madre.
Dopo essersi fatto rivestire, il ragazzino chiese di poter rivedere il suo professore di Lettere e fece chiamare padre Attilio Castellani, Lazzarista, che aveva predicato il mese di maggio in Santuario. Temeva di non poter fare la Comunione perché non era digiuno, ma gli venne concessa. «Mamma, papà, datemi un bacio e non piangete», disse, e li pregò di accompagnarlo in sala operatoria.
Dopo l’operazione, trascorse un giorno e una notte con una sete bruciante, e per due giorni subì continue iniezioni. Quando soffriva maggiormente, si avvicinava alle labbra le immagini di Maria Goretti e di padre Leopoldo Mandic (per il quale all’epoca era stato da poco aperto il processo informativo diocesano), impegnandosi a offrire tutto per il Papa e per la conversione dei peccatori.
Lunedì 2 giugno, i compagni di scuola e il professore di lettere tornarono a trovarlo. «Non dici nulla ai tuoi compagni?», gli chiese la mamma, ottenendo come risposta: «Che mi dicano un’Ave Maria…».
Nel pomeriggio, la situazione precipitò. Gigi acconsentì a ricevere l’Olio Santo, ma prima volle confessarsi. Terminato il rito, volse lo sguardo in direzione del Santuario, consapevole di essere alla fine. Nel delirio, era assalito dal pensiero della scuola e della pagella, ma alternava quelle esclamazioni con invocazioni devote, sostenuto dal padre.
Attorniato dai Francescani del Santuario, che confortavano i familiari, e benedetto dall’Arciprete monsignor Antonio Da Re, si rivolse alla sorella: «Luisa… ciao!... arrivederci… in cimitero!». Quando lei gli chiese: «Hai paura di morire?», rispose con decisione: «No, no!». La mamma, intanto, gli suggeriva: «Gesù, Giuseppe, Maria!», che il figlio completò, giungendo a fatica le mani: «Vi dono il cuore e l’anima mia…».
A notte fonda, i medici decretarono che non c’era più nulla da fare. Mentre Franca e il padre davano sfogo al proprio dolore, Luisa invitò la mamma a disporsi ad accettare la volontà di Dio. Venticinque minuti dopo la mezzanotte, la testa di Gigi, che evidentemente la madre teneva tra le braccia, si piegò inerte.
A casa, venne rivestito dell’abito della Prima Comunione e circondato da gigli e rose. Il suo funerale, celebrato il 4 giugno da monsignor Da Re, sembrò a molti un anticipo della processione del Corpus Domini. Il professore di lettere, nel suo elogio funebre, volle paragonarlo al Servo di Dio Guy De Fontgalland, mentre il suo direttore spirituale, il Giuseppino padre Giuseppe Vercellono, recitò in ginocchio il Magnificat sulla sua tomba appena preparata.
Padre Pierbattista Zugliani, Francescano, scrisse la biografia di Gigi, intitolata «Un fiore di Maria» e ripubblicata, nel 1960, nei «Fiori di Cielo» delle Edizioni Paoline, accomunandolo così, seppure indirettamente, ai bambini santi che in vita aveva cercato di imitare.


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2013-09-02

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