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Matilde di Canossa

Testimoni

Mantova ?, marzo 1046 – Bondeno di Roncore, Reggiolo, Reggio Emilia, 24 luglio 1115


Novecento anni esatti ci separano dalla morte di una delle donne più cattoliche e più potenti del Medioevo europeo, Matilde di Canossa. Nel 1645 i suoi resti furono accolti nella Basilica di San Pietro a Roma, dove sono presenti altre due donne: la regina Cristina di Svezia e la polacca Maria Clementina Sobieski (moglie di Giacomo Francesco Edoardo Stuart). Il suo sepolcro, scolpito da Lorenzo Bernini è detto «Onore e Gloria d’Italia». La Grancontessa (magna comitissa), che morirà il 24 luglio 1115, visse in un periodo di continue battaglie, di intrighi e scomuniche, dimostrando una fede eccezionale, un amore speciale per la Chiesa ed una forza straordinaria, sopportando con grande dignità dolori e umiliazioni, e fu abilissima nel governo, contrastando le politiche imperiali e sostenendo moramelmente e materialmente il papato. Se all’inizio si adoperò come pacificatrice tra Papato e Impero, quando lo scontro divenne insanabile ella compì una scelta decisa a favore della profonda Riforma della Chiesa di san Gregorio VII, andando contro persino ai suoi interessi materiali e alla parentela che la legava all’Imperatore. Così, mentre subì le conseguenze di tale scelta, elaborò un progetto teso a costituire in Italia un contraltare al dominio imperiale, che si manifestava in precise alleanze politiche e nell’adozione di simboli del potere, come il suo signum negli atti di cancelleria, che prefiguravano in lei un ruolo principesco, ben rappresentato dal poema di Donizone (Vita Mathildis). La forte e impavida Matilde è divenuta un mito della storia, nonché capostipite di illustri dinastie (Estensi, Malaspina, Guidi, Canossa di Verona) e infeudatrice di altre (Pico, Bentivoglio, Gonzaga), un vero e proprio simbolo della Chiesa militante.
«Fin da piccola conosceva la lingua dei Teutoni e sapeva anche parlare la garrula lingua dei Franchi» si legge proprio nella Vita Mathildis: terzogenita di Bonifacio, signore di Canossa e marchese di Toscana, e di Beatrice di Lorena, nacque tra la seconda metà del 1045 e la prima del 1046 probabilmente a Mantova, dove Bonifacio aveva il suo palatium, ma non mancano altre città che rivendicano le sue origini.
Il padre era l’unico erede della dinastia canossiana. La madre, di stirpe regia, apparteneva ad una delle più nobili famiglie imperiali, strettamente imparentata con i duchi di Svevia, i duchi di Borgogna, gli Imperatori Enrico III ed Enrico IV (dei quali Matilde era rispettivamente nipote e cugina prima), nonché con papa Stefano IX. Quando Matilde aveva 6 anni, il padre fu ucciso durante una battuta di caccia da uno dei suoi vassalli. Mentre la Casa di Canossa cresceva di potere, scomparve l’alleato di famiglia, Papa Leone IX, parente di entrambi i genitori, fu così che l’imperatore Enrico III prese in ostaggio la piccola Matilde (i fratelli erano morti in circostanze misteriose) e sua madre, trasferendole in Germania. Quando l’Imperatore morì fecero ritorno in Italia e la madre cercò una nuova protezione risposandosi con Goffredo il Barbuto, duca della Bassa Lotaringia (poi Lorena) e fratello di Stefano IX. Fu proprio Goffredo a succedere a Bonifacio come signore della Tuscia (denominazione attribuita all’Etruria dopo la fine del dominio etrusco, invalso a partire dalla tarda antichità e per tutto l’Alto Medioevo. Il nome indicava un territorio assai vasto che comprendeva tutta l’Etruria storica, la Toscana, l’Umbria occidentale e il Lazio settentrionale): la famiglia dei Canossa, imparentata con i Sommi Pontefici e influente sugli imperatori, era in quel momento la più potente d’Europa.
Una clausola del contratto di matrimonio stabilì che il figlio naturale di Goffredo, Goffredo il Gobbo, avrebbe sposato la cugina di quarto grado, Matilde. Ebbero una bambina, che dopo pochi giorni morì (1071), mentre sua madre rischiava la vita a causa del difficile parto, ma anche per l’ira del casato di Lotaringia che la accusò di malocchio poiché non era stata in grado di offrire un erede maschio; fu così che Matilde, nel gennaio del 1072, decise di fuggire per rientrare a Canossa, dove l’attendeva una missione straordinaria: proteggere il Sommo Pontefice. Al fine di non sottomettersi ai voleri dell’Imperatore, il Papa decise di introdurre un sistema di elezione interna, il conclave dei cardinali, tuttora vigente. Allontanatosi così dall’Impero, il pontificato si affidò alla tutela dei Canossa, determinando la scelta degli stessi Papi e anche le loro sorti.
Fra il 1073 ed il 1074 il marito scese nella penisola italica per cercare di riconquistare la consorte offrendole possedimenti ed armate, ma la risposta di Matilde fu irremovibile. Goffredo il Gobbo nel 1076 cadde vittima di un’imboscata a Verdun, nei pressi di Anversa. Alcuni accusarono la stessa Matilde di aver armato la mano del sicario. Nello stesso anno morì anche sua madre. Donna di eminenti qualità, fu spiritualmente guidata da grandi uomini come il Papa san Gregorio VII, sant’Anselmo di Lucca, sant’Anselmo d’Aosta (teologo, filosofo, monaco e Arcivescovo di Canterbury) e san Bernardo degli Uberti.
Proprio in quegli anni si stabilì un acceso contrasto fra Gregorio VII e l’imperatore Enrico IV, il contendere era sulle investiture, ovvero su chi dovesse dare il titolo di Vescovo. Nel 1076 il Papa scomunicò Enrico IV e Matilde si schierò con decisione al fianco di Gregorio VII, nonostante l’Imperatore fosse suo cugino. La scomunica spinse Enrico IV a venire a patti con il Papa poiché, ormai, i suoi stessi sudditi erano contro di lui. Gregorio VII lo ricevette nel gennaio 1077 mentre era ospite di Matilde, nel castello di Canossa, mentre Matilde con l’abate Ugo di Cluny avviava trattative per la riconciliazione. La cristianità tutta stava a guardare con ansia gli accadimenti, mentre il prestigio di Matilde e l’ammirazione per lei salivano di grado. L’umiliazione dell’Imperatore fu assai pesante: per ottenere la revoca della scomunica fu costretto ad attendere davanti al portale d’ingresso del castello per tre giorni e tre notti, scalzo, con solo un saio addosso e inginocchiato con il capo cosparso di cenere. Furono giorni assai febbrili, rimasti impressi nei contemporanei e sulle carte, un avvenimento di cui ogni cronista, storico o poeta ha lasciato traccia con proprie versioni. La locuzione «andare a Canossa» diverrà simbolo dell’umiliazione di chi è costretto a ravvedersi.
Nel 1079 Matilde donò al Papa tutti i suoi domini, in aperta sfida con l’Imperatore, visti i diritti che il sovrano vantava su di essi, sia come signore feudale, sia come parente prossimo. Tuttavia arrivò presto la vendetta di Enrico IV che per due volte ancora calò in Italia. Nel 1080 convocò un Concilio a Bressanone in cui fece deporre il Papa, decretando Matilde deposta e bandita dall’Impero. Il 15 ottobre dello stesso anno, nei pressi di Volta Mantovana, le milizie dei vescovi-conti, fedeli all’Imperatore, sconfissero le truppe a difesa del Papa e comandate dalla gran contessa di Canossa, rea di avere donato nel 1079 tutti i suoi beni alla Chiesa e decisa a cacciare da Ravenna l’antipapa Clemente III. «Ad delendam Mathildem», scrisse il Vescovo Benzone: per Enrico IV, infatti, Matilde doveva essere distrutta. Ma lei non si rassegnò e resistette, mentre Gregorio VII era costretto all’esilio. Il 2 luglio 1084 riuscì a sbaragliare l’esercito imperiale nella famosa battaglia di Sorbara, presso Modena.
Nel 1088, pronta a tutto per la santa causa, fronteggiò abilmente la seconda discesa di Enrico IV: in accordo con Papa Urbano II, Matilde, che aveva all’epoca 43 anni sposò il Duca diciannovenne Guelfo V, erede della corona ducale di Baviera, rampollo della stirpe più avversa a Enrico IV in Germania. Le inconsumate nozze si risolsero in una rapida separazione. Due anni dopo Enrico IV per la terza volta ed ultima volta scese in terra italica, fermamente deciso a vincere sulla Chiesa. Ma davanti a lui c’era ancora lei, Matilde di Canossa. La battaglia si accentrò presso Mantova. Dapprima la grancontessa, esentando di alcune tasse gli abitanti si assicurò la fedeltà, ma in un secondo tempo essi cambiarono fronte (il celebre «tradimento del giovedì santo») in cambio di alcuni diritti concessi loro dall’Imperatore. Allora Matilde si arroccò nel 1092 sull’appennino reggiano nei suoi castelli più fortificati: una rete di manieri, rocche e borghi inespugnabili, situati nella Val d’Enza, che costituivano un complesso sistema poligonale di difesa. Dopo sanguinose battaglie, il potente esercito imperiale venne preso in una morsa, distrutto dalla vassalleria matildica dei piccoli feudatari fedeli ai Canossa. La conoscenza perfetta dei luoghi, la velocità delle informazioni e degli spostamenti, la presa delle posizioni strategiche in tutti i luoghi elevati della Val d’Enza, furono determinanti per la vittoria. Le cronache riportano che la stessa Matilde partecipò agli scontri galvanizzando gli alleati. Enrico IV si trovò di fronte a scoscesi sentieri, calanchi, luoghi impervi protetti da rocche turrite, da casetorri elevate dalle quali gli abitanti scaricavano di tutto: dardi, lance, frecce, olio bollente, giavellotti, massi, picche infuocate…
Oltre alla plateale sconfitta, un’altra e pesante umiliazione subì Enrico IV: il suo primogenito Corrado si ribellò al padre e si rifugiò presso Matilde e a lei ricorse anche la sua seconda moglie, la regina Prassede. Corrado di Lorena, sostenuto dal Papa, da Matilde e da una lega di città lombarde venne incoronato Re d’Italia. L’imperatore Enrico V di Franconia (terzogenito di Enrico IV), che succedette al fratello Corrado, nominò Matilde Regina d’Italia e Vicaria Imperiale. Colei che aveva contribuito in maniera determinante a salvare il papato e a difendere la Chiesa dal nemico, ora poteva, con maggior tranquillità e serenità, continuare ad elargire donazioni a chiese, monasteri e abbazie.


Autore:
Cristina Siccardi

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Aggiunto/modificato il 2015-10-30

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