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Venerabile Antonio (Marco) Pagani Sacerdote dei Frati Minori, fondatore

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Venezia, 1526 – Vicenza, 4 gennaio 1589

Marco Pagani nacque nel 1526 a Venezia. Nel 1545 conseguì la laurea in Diritto Canonico e Diritto Civile presso l’Università di Padova, quindi lavorò come avvocato presso la Nunziatura Apostolica di Venezia. In quel periodo conobbe la contessa Ludovica Torelli, fondatrice, con sant’Antonio Maria Zaccaria, delle Angeliche di San Paolo: entrò quindi nell’Ordine dei Chierici Regolari di San Paolo, ovvero i padri Barnabiti, nel 1546 e fu ordinato sacerdote nel 1551. Tuttavia, i Barnabiti affrontarono un periodo di crisi, durante il quale padre Marco uscì dall’Ordine. Esercitò il ministero come sacerdote secolare finché, nel 1557, entrò nel noviziato dei Frati Minori Osservanti a Udine, diventando frate Antonio. Partecipò come teologo al Concilio di Trento. Fondò due Compagnie secolari: i Fratelli della Croce e le Dimesse, dedite queste ultime all’evangelizzazione negli ospedali e all’insegnamento della dottrina cristiana. Nei suoi numerosi scritti e nella predicazione cercò di confutare le teorie considerate eretiche e difese l’Immacolata Concezione della Vergine Maria come verità di fede. Nel 1587 prese parte al Capitolo Generale dei Minori Osservanti, anche se le sue forze erano ormai in declino. Dopo un’ultima visita alle Dimesse di Vicenza, fu colto dalla febbre. Dovette fermarsi nel convento di San Biagio a Vicenza, ospite dei confratelli: vi morì il 4 gennaio 1589. Il 22 giugno 2023 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto sull’eroicità delle virtù di padre Antonio, i cui resti mortali riposano dal 24 maggio 1948 nella chiesa di San Pancrazio di Barbarano. Le Dimesse da lui fondate sono diventate, nel ventesimo secolo, un Istituto religioso: le Suore Dimesse Figlie di Maria Immacolata, come si chiamano dal 1966, portano avanti i suoi insegnamenti soprattutto in campo educativo.



Nacque nel 1526 a Venezia, nell’attuale sestiere Cannaregio, da Francesco; non si conosce il nome della madre.
A quindici anni si trasferì a Padova, dove conobbe Paola Antonia Negri – la «divina madre maestra» (Roma, Arch. storico dei Barnabiti, Atti capitolari, ms. S.II, 42v) alla quale facevano riferimento le comunità paoline formatesi grazie all’impulso spirituale di fra Battista da Crema, Antonio Maria Zaccaria e la contessa di Guastalla Ludovica Torelli – che svolgeva opera di apostolato in quella città.
Nel 1545, dopo aver conseguito la laurea in utroque iure, tornò a Venezia per esercitarvi l’ufficio di avvocato canonico presso il nunzio apostolico. Rimase tuttavia in contatto epistolare con Paola Antonia Negri, come testimoniano quattro lettere che questa gli indirizzò (ibid., Altra copia delle Lettere spirituali di Paola Antonia Negri, ms. L.b.3) e dalle quali si evince che durante il soggiorno veneziano egli frequentò una comunità che dipendeva dai chierici di Milano ed era composta dai discepoli della «divina madre maestra». La comunità si occupava dell’ospedale dei Ss. Giovanni e Paolo e di un conservatorio delle zitelle pericolanti, che raccoglieva ed educava giovani povere e derelitte.
L’anno successivo lasciò Venezia per trasferirsi a Milano, presso la comunità guidata da Paola Antonia Negri e dalla contessa Torelli (fra Battista da Crema era morto nel 1534, Antonio Maria Zaccaria nel 1539).
Pagani stesso descrisse questa partenza in una lettera indirizzata circa trenta anni più tardi al ministro generale Francesco Gonzaga: «Essendo di età giovane che non arrivavo a venti anni, invitato dalle infocate lettere dell’Angelica Paola Antonia et anco da’ maggiori di detta congregazione di S. Paolo decollato di Milano, io mi partii da Venezia, dalla madre e da altri parenti e andai al loco di essi padri in Milano. Dai costumi e dalla disciplina de’ quali e più di essa Angelica Paula Antonia, per li esercizi di perfezione christiana ch’io vedeva usarsi in tale loco, fui costretto a restarvi [...]» (Vicenza, Biblioteca civica Bertoliana, Lettera giustificativa al padre generale dei Minori Osservanti, s.d., c. 180).
Giunse a Milano, presso il convento di S. Barnaba, il 23 agosto 1546 e poiché era molto giovane fu destinato a compiti non troppo impegnativi spiritualmente, quali le pulizie della casa, i servigi ai superiori e alla cura di «certe donne religiose», dette Remisse al crocifisso (Bacchiddu, 2000, p. 50). Nel 1551 fece professione e gli fu aggiunto il nome di Antonio.
La stessa lettera a Gonzaga proseguiva: «Pur vestito di abito secolare, per un anno in circa, e poi, tra loro vestito dell’abito loro, io stetti intorno a tre quattro anni (se ben ricordo) e credo nell’ultimo, o penultimo anno feci professione, nel modo che allora ivi si usava farsi da tutti: cioè nel loco e alla presenza di essa madre, in mano di un non professo, con intenzione di obbedire principalmente essa madre» (Lettera giustificativa ..., cit., c. 180).
Il 19 febbraio 1551 il consiglio dei Dieci bandì le comunità paoline dal territorio veneto, con capi d’accusa riguardanti soprattutto Paola Antonia Negri. Nel gennaio 1552 i due chierici Gian Pietro Besozzi e Paolo Melso, inviati a Roma per far luce sui motivi dell’inatteso procedimento contro le comunità paoline e ottenere l’appoggio della S. Sede, furono arrestati e rinchiusi nelle carceri dell’Inquisizione, che allestì un processo volto ad accertare l’ortodossia della dottrina di fra Battista da Crema. Il 29 luglio papa Giulio III emanò un breve apostolico in cui dichiarò eretica tale dottrina e nominò il cardinale Juan Álvarez de Toledo protettore delle congregazioni paoline. Quello stesso giorno Pagani, che già in giugno aveva cercato di fuggire dalla congregazione, riuscì nel suo intento, calandosi da una finestra con delle lenzuola e scappando a cavallo assieme al compagno Stefano Alamanni di Vicenza.
Così descrisse la sua decisione di allontanarsi: «Ma poi per la cagione che già nacque di alcuni dispareri e di certo disturbo che cominciò tra tali congregationi perché essa Angelica Paula Antonia ammoniva alcuni e voleva frenarli da certa frequente conversatione loro con donne secolari nel monasterio loro, con travaglio di esso monasterio e con impedimento delle divote osservanze loro. E accrescendo tali dispareri tra quelle e quei che da essa Angelica Paola Antonia e dalla contraria parte dipendevano e sentendosi per casa molti contrasti di parole e anco minacciandosi di cacciar la detta Angelica Paola Antonia fuor del monasterio, mi pareva di esser nell’inferno, essendo già uso in gran pace, quiete e unione, si come è suddetto. Onde io mi partii, sì come molti altri di diverse patrie si partirono» (ibid., c. 181).
Si rifugiò in Valtellina, a Verona e a Vicenza, da dove cercò di mettersi in contatto con Paola Antonia Negri per informarla di aver portato in salvo gli scritti di fra Battista, ma la lettera che le scrisse fu intercettata dall’Inquisizione. Nel novembre dello stesso 1552, durante la visita apostolica di Leonardo Marini alle congregazioni milanesi, si recò segretamente a Milano per tentare un estremo tentativo di difesa della dottrina di fra Battista e di Paola Antonia e cercare di aiutarla a fuggire dal monastero di S. Chiara dove era stata rinchiusa. Fu però scoperto e incarcerato e liberato soltanto dopo finta apostasia. Dalla crisi delle congregazioni paoline e dalle nuove regole imposte dall’Inquisizione nacquero i nuovi statuti dei barnabiti e delle angeliche, mentre fu decretata la fine dell’esperienza puramente laica dei maritati. Pagani, latitante, nel 1554 diede alle stampe la prima edizione del libro Delle Rime (Venezia, Al segno del pozzo) dedicato interamente alla «divina madre maestra».
Nonostante le modifiche e le espurgazioni apportate da Pagani stesso, nonché una lettera spedita ai cardinali inquisitori in difesa del suo testo e della sua posizione nei confronti di colei che riteneva sua direttrice spirituale («Perciò in quanto che si voglia dire che in tal operetta si contenesse heresia; io rispondo ch’io non ho mai havuto tal animo, né penso che vi sia nell’opera mia cosa tale; e che essa opera, acciò che da cotesta e da ogn’altra nota fosse purgata, fu fatta vedere da dotti et nominati religiosi et dal reverendo Inquisitore di Vinegia il quale ne fece ampia fede per scrittura di propria mano, come tal opera non era contra la fede catholica né contra gli buoni costumi, né men contra gli prencipi temporali e perciò da esser stampata: talché con la fede sua e del Illustrissimo Senato di Vinegia fu impressa. [...] Quando esso revendissimo Commessario la pose in S. Clara espresse manifestamente la causa perché era fatta tal mutatione, attestando che la detta non era tolta fuori del suo monasterio e riposta in quello di S. Clara per cosa alcuna di male che fosse in lei né contra la fede catholica né contra la sua religione [...]; mai non le fu fatta né essamina dalla Chiesa né sospensione, né altro segno per lo quale si potesse neanche sospicare di lei cosa alcuna né circa heresia né circa altro; il che credo sarebbe successo se vi fosse stato cosa alcuna in lei di male. Talché dal principio che fu posta in S. Clara sin a l’hora della morte sua sempre le fur ministrati gli Santi Sacramenti [...]»: Biblioteca apostolica Vaticana, Epistola alli Cardinali Inquisitori..., s.d., cc. 22-24v), il libro fu inserito nell’Indice del 1559 e poi in quello del 1564. La condanna fu però limitata e riguardò soltanto una parte del testo, ovvero Il Trionfo Angelico e i Sonetti.
Nel 1557 una raccolta completa e una parziale delle rime furono pubblicate a Venezia da Domenico Farri; in uno dei testi Pagani adattò i versi che aveva scritto per Paola Antonia Negri alla Vergine Maria. Nel 1569 uscì una versione delle rime ridotta (L’amorosa Giornata, Venezia, Gian Battista Guerra), seguita nel 1570 da un’altra, integrale, alla quale Pagani aggiunse alcuni sonetti che, a chi conosceva il suo passato, era impossibile non ritenere riferiti a Negri (Le rime spirituali di F. Antonio Pagani, vinitiano, minore oss., Venezia, Bolognino Zaltieri).
Pagani stesso ne diede conferma nella lettera a Francesco Gonzaga: «E per esser io stato molto affezionato verso tale religiosa [...] io composi ancora alcuni sonetti, et capitoli, che dimostravano ciò che io avea compreso della sua pazienza, umiltà, carità et d’altre virtù da lei usate tra le molestie di alcuni suoi propri figlioli spirituali che avea già cavati da mondani intrichi et pericoli e tirati al servizio di Dio, non nominando però in essi versi né lei né altri particolari, ma ragionando in generale con poetici colori e con metafore, che appresso di me e di chi sapevano il negozio, riuscivano in sua laude» (Lettera giustificativa ..., cit., c. 181).
In seguito alla morte di Paola Antonia Negri nel 1555, alle fughe e alla latitanza alla quale fu costretto, Pagani ebbe una crisi spirituale profonda e si ammalò gravemente. Superata la malattia, nel 1557 decise di entrare nell’Ordine dei frati minori osservanti di Udine. Abbandonò definitivamente il nome di Marco e divenne per sempre Antonio. Nel 1558 fece professione e fu incaricato dell’insegnamento di diritto canonico ai frati nel convento di S. Francesco della Vigna a Venezia. Dal 1559 al 1562 si dedicò a un’intensa opera di predicazione e di apostolato e fu autore di molti testi spirituali e devozionali.
Si impegnò anche nella repressione dell’eresia: «Et anco li stesso si può comprendere dal ministerio e dalle fatiche da me (con la divina grazia) già alquanti anni fatte nel Santo Officio dell’Inquisizione in Vicenza per sedeci anni in circa nella distruzione di molti heretici di Vicenza d’Arzignano e di Schio e nella condennazione dell’autor di una setta di Angelicati e nella conversione di essi cavati di errore con quell’aiuto che Dio mi donava di poter apportare [...]» (ibid., c. 179).
Partecipò al concilio di Trento nel 1562 con il discorso Pro Ecclesiae reformatione che fu pubblicato nel 1570 insieme con il Tractatus de ordine, iurisdictione et residentia episcoporum (Venetiis, apud Bologninum Zaltierium) dedicato a Carlo Borromeo, in quegli anni cardinale protettore dell’Ordine dei frati minori. Tornato dal concilio rimase nel Veneto fino alla morte (fatta eccezione per una breve permanenza nel 1569 a Innsbruck, dove pare si fosse recato dietro richiesta di Massimiliano II per combattere l’eresia luterana). Nel 1563 andò, per ordine del ministro generale, a Venezia, nel convento di S. Francesco della Vigna, per curare la stampa di alcuni opuscoli di s. Bonaventura. In quel periodo collaborò all’Accademia veneziana della Fama componendo Il Discorso universale della sacra legge canonica (Venetia, Bolognino Zaltieri, 1570).
Nel 1565 Matteo Priuli, vescovo di Vicenza, lo volle come collaboratore nella lotta all’eresia e lo nominò teologo, consultore del S. Uffizio e suo confessore. Nello stesso anno fu trasferito nel convento vicentino di S. Biagio, dove rimase fino al 1583 e dove ebbe il permesso di pregare in solitudine in un ritiro che lui stesso aveva costruito in fondo all’orto del convento. Nel 1570 fu stampata a Venezia a cura di Bolognino Zaltieri un’ultima edizione de Le rime spirituali, molto diversa dalle precedenti.
Nel 1575 il padre di una ragazza che aveva salvato dalla disperazione lo denunciò accusandolo di aver plagiato la donna, inducendola a fare vita penitente e a lasciare la famiglia. Il padre generale ordinò che un commissario prendesse le difese di Pagani che risultò innocente.
Durante la terribile epidemia di peste che scoppiò a Venezia nel 1576-77 Pagani fu impegnato nell’assistenza degli ammalati e fu a lui che, nel 1577, il ministro generale Cristoforo Cappa de’ Fonti chiese informazioni sullo stato della provincia dopo la moria.
A Vicenza riformò l’oratorio di S. Girolamo e fondò due nuovi ordini: le Dimesse, con la collaborazione di Deianira Valmarana, e la compagnia della Santissima Croce, e ne scrisse gli statuti, che furono pubblicati nel 1587. Nel 1579 pubblicò l’Oratio … ad Illustrissimum et Reverendissimum Patrem f. Franciscum Gonzaga (Vincentiae, Georgius Angelerius) in occasione dell’elezione di Francesco Gonzaga a generale dell’Ordine.
A partire dal 1583, ottenne dai superiori il permesso di fare vita eremitica sui colli Berici con il giovane Orazio Barbieri che, date le sue pessime condizioni di salute, gli faceva da segretario e assistente e gli fu legato da profonda amicizia. Entrambi avevano una cella sul colle di S. Felice, sopra il lago di Fimon. A quel periodo risale la più intensa attività letteraria di Pagani, ma nel 1586 i superiori gli intimarono di lasciare l’eremo poiché troppi confratelli volevano seguire il suo esempio.
Morì il 4 gennaio 1589, in seguito a una crisi d’asma nel convento di S. Biagio, a Vicenza.


Autore:
Rita Bacchiddu


Fonte:
www.treccani.it

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Aggiunto/modificato il 2023-07-02

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