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> Home > Sezione Testimoni > Suor Anna Maria di San Gioacchino (Margherita Forni) Condividi su Facebook Twitter

Suor Anna Maria di San Gioacchino (Margherita Forni) Religiosa carmelitana

Testimoni

Torino, 2 agosto 1620 - 25 gennaio 1668

Margherita nacque il 2 agosto 1620, figlia del marchese Filippo Forni. Giovanissima fu introdotta a corte tra le dame di compagnia dell’infanta Maria di Savoia, in seguito divenne sua “Prima Dama d’Onore“.Maria di Savoia, con la sorella Caterina Apollonia, erano rispettivamente settima e ottava figlia di Carlo Emanuele I di Savoia e di Caterina d’Asburgo, figlia del Re Filippo II di Spagna. Per Maria e Caterina non andarono in porto matrimoni “d’alleanza”, vissero nel “mondo”, ma come monache e conseguentemente impostarono la loro vita a corte.Maria col suo seguito di dame, tra cui Margherita, prese a peregrinare da una città all’altra d’Italia: Loreto, Bologna, Vigevano, Foligno, Frascati, come in un continuo pellegrinaggio. Margherita il 14 luglio 1644 vestì l’abito di terziaria francescana. Dopo la morte dell’Infanta Maria decise di consacrarsi interamente al Signore entrando nel monastero delle Carmelitane scalze di S. Cristina a Torino col nome Anna Maria di S. Gioacchino. Professò solennemente il 20 luglio 1658, presente Madama Cristina di Francia. “Giunse ad essere dotata d’una Purità Angelica, perché si spogliò di ogni affetto terreno con la purità del Cuore, e con la Povertà del Vangelo”. Morì in concetto di santità il 25 gennaio 1668.



“La virtù educata in corte e perfezionata nel chiostro”.È il titolo della biografia di una monaca carmelitana scalza vissuta nella Torino del XVII secolo, morta in concetto di santità nel monastero di Santa Cristina in Torino: Suor Anna Maria di San Gioacchino, al secolo Donna Margherita Forni, “prima figlia d’onore” alla corte della Venerabile Infante Maria di Savoia. Il volume redatto dal padre carmelitano scalzo Alessio di Santa Maria nello stile proprio dell’epoca e dedicato a Madama Reale Giovanna Battista di Savoia – Nemours, fu pubblicato nel 1713, vivente nel medesimo monastero l’illustre consorella, la beata Maria degli Angeli (Marianna Fontanella, 1661-1717), con un ritratto pregevolmente inciso dal celebre artista Tasniere.
Margherita nacque il 2 agosto 1620, dal matrimonio tra il marchese Filippo Forni e la nobildonna ferrarese Margherita Fiaschi: fu la primogenita, cui seguironoun fratello e cinque sorelle, tutti educati secondo principi profondamente cristiani.
Essendo la primogenita, Margherita ebbe un ruolo importante nell’educazione dei fratelli, in particolare di Giuseppe Maria, l’unico erede maschio di una famiglia che era in relazione con tutta la nobiltà dell’epoca.
A Torino tutti i figli furono istruiti nell’ambito gesuita, ma trascorrevano però parte dell’anno a Mantova dove furono seguiti da un benedettino. Margherita, era ancora ragazzina, nonostante gli agi familiari, amava pregare inginocchiata sul nudo pavimento, leggeva libri religiosi da cui trascriveva alcuni pensieri perché le restassero maggiormente impressi nella mente e nel cuore. Un libro che volle copiare per intero aveva come titolo Gemma preziosa et inestimabile margharita del padre Valentino Mantoani dei Minori Osservanti che conteneva “ventiquattro ragionamenti scritturali, sopra dodeci materie curiose predicabili, cioè delle tribulazioni … della vergine Maria, e della Santa Casa di Loreto … ”.
Introdotta a corte tra le dame di compagnia dell’infanta Maria di Savoia, in seguito fu la sua “Prima Dama d’Onore“. Come scrisse il biografo, la giornata a corte era “regolata dalla pietà, che haveva per corteggio la divozione”. Margherita, soprannominata “l’agnellino” - era anche piccola di statura -imparò ben presto a disprezzare i fasti della corte, comprendendo che “affezionarsi alla vanità è un disviarsi dalla pietà”.
Maria di Savoia, con la sorella Caterina Apollonia, erano rispettivamente settima e ottava figlia di Carlo Emanuele I di Savoia e di Caterina d’Asburgo, figlia del Re Filippo II di Spagna; le sorelle maggiori Margherita e Isabella erano mogli di Francesco IV Gonzaga Duca di Mantova e Alfonso III d’Este Duca di Modena. Per Maria e Caterina non andarono in porto matrimoni “d’alleanza”; vissero nel “mondo”, ma come monache e conseguentemente impostarono la loro vita a corte. Nel 1627 fondarono a Torino un monastero di Cappuccine, in cui entrò Madre Amedea Vercellone. Nel medesimo anno, nella cappella della Sindone, Maria e Caterina indossarono l’austero abito di Terziarie Francescane. Visitavano ospizi e ospedali, furono promotrici, nel ducato, della Riforma dei Conventuali e dei Carmelitani. Nel 1630 una grave epidemia di peste infierì sul Piemonte, come nel resto d’Europa. Quell’anno salì al trono il fratello Vittorio Amedeo I che però morì nel 1637. Seguirono complesse vicende politiche, Maria e Caterina sostennero gli altri due fratelli Tommaso e Maurizio contrari alla reggenza della cognata Madama Reale Cristina di Francia. Scoppiò una guerra civile e Torino nel 1640 fu cinta d’assedio. Le due sorelle si stabilirono a Biella dove Caterina, a causa di una polmonite, morì. Maria col suo seguito di dame, tra cui Margherita, prese a peregrinare da una città all’altra d’Italia, accolta ovunque come una “santa”. Visitarono Loreto, Bologna, Vigevano, Foligno, Frascati: come in un continuo pellegrinaggio si fermavano in ogni santuario che incontravano lungo la via. Margherita il 14 luglio 1644 ricevette l’abito di terziaria francescana nella chiesa dei cappuccini di Vigevano, seguendo il “pio zelo” della “sua Signora”. Nel Giubileo del 1650 furono a Roma, in seguito ad Assisi dove Maria di Savoia incontrò S. Giuseppe da Copertino. Donna Margherita divenne negli anni la confidente di Maria che nel suo pellegrinare aveva stabilito relazioni d’amicizia con personaggi eminenti, tra cui molti prelati. Un giorno le propose di essere superiora di un convento di terziarie francescane a Roma, ma per umiltà Margherita preferì mantenere la vita nascosta e umile che conduceva. La loro giornata era già scandita dalla preghiera e, ottenuto il permesso del confessore, iniziò ad indossare il cilicio e ad essere sempre più parca nel cibo. Cercava in ogni cosa la maggior gloria di Dio, suo rifugio era il Santissimo Sacramento. La cera che le spettava personalmente dal bilancio di corte, la destinava al Santissimo, per l’esposizione in qualche chiesa a vantaggio del popolo. Sue speciali devozioni erano per la Vergine Maria, di cui solennizzava in ogni modo le feste, e per l’Angelo Custode.
Ad un certo punto le furono proposti matrimoni di rango, ma disse di “voler Dio solo arbitro del suo cuore, Signore de’ suoi affetti, nell’ingresso d’un chiostro”. A corte Margherita era la dama esemplare, manifestava senza rispetto umano la sua fede e l’amore verso il prossimo, tanto che quando poteva visitava le case dei poveri e procurava di assisterli materialmente. Prendeva poi l’occasione della ricorrenza di alcune festività per instillare nel cuore del personale di corte pratiche di devozione. 
Nel soggiorno bolognese, provata da terribili aridità di spirito, fu seguita spiritualmente dal barnabita Maurizio Maria Forni. Accettò quelle pene come un volere divino, così come accettò le maniere assai rigorose imposte dal padre spirituale, il quale ad un certo punto la sottopose ad un esame, di concerto con altri religiosi. Il giudizio sulle virtù di donna Margherita fu unanimemente positivo.
Durante il soggiorno romano incontrò dame di altre corti europee, tra sfoggio di lusso e vanità. In quei frangenti maturò in lei l’idea di consacrarsi totalmente al Signore. Intanto la salute di Maria andava ormai declinando, Margherita la assistette fino alla morte che la colse a Roma il 13 luglio 1656.
Per Donna Forni era ormai deciso l’ingresso tra le Visitandine di Vercelli, ma proprio nella Città Eterna conobbe la spiritualità di S. Teresa d’Avila, rimanendone affascinata. Aveva inteso che la regola delle carmelitane scalze era tra le più austere. Per poter entrare in un loro monastero si rivolse alla Duchessa Cristina di Francia, cognata dell’Infanta Maria, e fu così accolta nel monastero torinese di S. Cristina che la stessa duchessa aveva fondato nel 1639.
Madama Reale, che molto la stimava, volle personalmente accompagnarla in carrozza fino in monastero. Fece la vestizione il 17 giugno 1657, lasciando l’abito di terziaria francescana, mentre era priora madre Teresa dell’Incarnazione. Volle chiamarsi Anna Maria di S. Gioacchino, per il tenero amore che provava per quella Sacra Famiglia. Dal suo cuore uscì l’espressione “Sante mura! Sante Mura! Fra le quali Iddio mi fa degna di servirlo”. Fece il suo noviziato come un vero e proprio cammino di perfezione, dimentica dei nobili natali. “Entrata in possesso di questa sacra ritiratezza, unica delizia dell’Anima sua, attese non meno ad accrescere maggior fervore al di lei spirito con l’esercizio dell’Orazione che ad affliggere il proprio corpo con molti rigori di penitenza”. Professò solennemente il 20 luglio 1658, presente Madama Cristina e tutte le dame di corte.
Leggiamo nella biografia che “giunse ad essere dotata d’una Purità Angelica, perché si spogliò di ogni affetto terreno con la purità del Cuore, e con la Povertà del Vangelo”, vivendo poveramente da autentica carmelitana
Durante il tempo di Quaresima, che prediligeva, annotava in un quadernetto alcune meditazioni sui “dolorosi misteri”, di cui il biografo si servì nella stesura del suo lavoro.
La Serva di Dio ebbe a soffrire per un doloroso ascesso sulla spalla che non volle palesare alla Madre Priora, se non quando era ormai infetto e purulento. Si dovette chiamare il chirurgo, tal Francesco Emanuelli, che procedette prima all’operazione, poi per più giorni a dolorosissime medicazioni. Vide egli in che modo l’ammalata sopportò il dolore e volle conservare un pannolino intriso del suo sangue come “fortuito pegno del virtuoso concetto in cui teneva l’esemplarissima religiosa soggiacente alla sua cura”. Pose il pannolino in un piccolo vasetto di vetro. Cadendo egli stesso infermo a distanza di 4-5 anni, fu visitato da due padri carmelitani, uno dei quali era allora provinciale. Raccontando d’aver conservato tale oggetto come ricordo, i due religiosi, presi dalla curiosità, aprirono il vasetto, constatando con grande ammirazione che dallo stesso usciva un “soavissimo odore”. 
Scrive il p. Alessio: “Un’Anima divota mai conosce tanto bene se stessa, come quando in qualche tribolazione si trova”. Suor Anna Maria di pene ne dovette affrontare molte, di fisiche ma soprattutto di spirituali, contro le quali faceva atti d’umiltà, meditando i meriti della Passione e della morte di Cristo. Certamente l’umiltà fu la virtù cardine della sua vita, da religiosa ma anche prima dell’ingresso in monastero.
Il giorno della festa del SS. Nome di Gesù, raggiante di gioia, disse al confessore che sentiva ormai prossima la sua fine. Nonostante non godesse di ottima salute, nulla lasciava presagire la sua prossima fine. Fu colta invece da gravi sofferenze e da una terribile sete, cui nulla valsero i rimedi suggeriti dai medici.
La salute andò peggiorando velocemente e si spense alle 9 di sera del 25 gennaio 1668, all’età di soli 48 anni. Soppresso il monastero di S. Cristina durante l’occupazione napoleonica dello Stato Sabaudo, per evitare possibili profanazioni, la notte del 21 settembre 1803 le spoglie mortali di suor Anna Maria, insieme a quelle di Madama Cristina e della venerabile Maria degli Angeli, furono traslate nella chiesa torinese di S. Teresa retta dai Padri Carmelitani scalzi.
L’umiltà caratterizzò la vita di questa giovane monaca, la sua testimonianza è certamente di grande utilità anche ai nostri giorni e può aiutarci a incarnare nella nostra vita questa preziosa virtù evangelica.


Autore:
Daniele Bolognini

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Aggiunto/modificato il 2018-01-23

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