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Sant' Anatolio Grisjuk Vescovo e martire

(Chiese Orientali)

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20 agosto 1880 - 23 gennaio 1938


Anatolij, al secolo Andrej Gtigor’evich Grisjuk, nacque il 20 agosto 1880 nella città di Kovel, governatorato della Volinia. Studiò prima nel seminario della Voinia e poi all’Accademia teologica di Kiev dove, prima ancora di terminare gli studi, nel 1905 si fece monaco e quindi fu ordinato sacerdote. Negli anni 1905–1906 trascorse un periodo a Costantinopoli per specializzarsi in archeologia. L’8 luglio 1912 padre Anatolij venne nominato vicerettore dell’Accademia teologica di Mosca e professore straordinario. Il 29 giugno 1913 venne consacrato vescovo e nominato vicario della diocesi di Kazan.
Con la salita al potere dei comunisti inizia la persecuzione contro i credenti. Nel 1918 vengono chiuse tutte le accademie teologiche, esclusa l’accademia teologica di Kazan, i cui locali vengono requisiti ad usi civici, ma una parte, benché assai piccola, viene lasciata alla diocesi. Una parte delle lezioni venivano svolte negli appartamenti privati dei docenti mentre il consiglio dell’Accademia si teneva in casa del vescovo.
Il 26 marzo 1921 il vescovo Anatolij venne arrestato per aver organizzato indebitamente corsi di religione, nonostante avesse avuto l’autorizzazione delle autorità locali. Venne condannato ad un anno di lavori forzati. Scontata la pena, come spesso accadeva, non ebbe il permesso di ritornare nella propria diocesi. Venne nominato alla cattedra di Samara. Il 24 febbraio 1923 lo arrestarono arrestato perché nella perquisizione del suo appartamento erano stati trovati degli scritti antisovietici firmati con il suo nome. Il vescovo poté dimostrare che si trattava di una falsificazione per cui il 4 agosto dello stesso anno fu liberato, ma non per molto. Il 18 settembre, sempre dello stesso anno venne di nuovo arrestato; accusato di aver fatto della propaganda antisovietica fu mandato al confino nel Turkmenistan per la durata di tre anni.
Nel 1928 il vescovo Anatolij fu nominato metropolita della diocesi di Odessa dove giunse il 21 ottobre 1932. La situazione religiosa era assai dolorosa. In Moldavia, che allora apparteneva alla diocesi di Odessa, erano state chiuse quasi tutte le chiese, e il controllo del partito sulla vita dei pochi sacerdoti ancora in libertà era sempre più ossessionante. Lo stesso metropolita era chiamato, spesso di notte, dalla polizia politica per interminabili, assurdi interrogatori. A volte anche durante la celebrazione della Divina Liturgia gli agenti della polizia segreta entravano in chiesa e pretendevano che il metropolita interrompesse la funzione religiosa per recarsi alla sede del partito. Il metropolita rifiutava, sostenuto dai fedeli che si opponevano con decisione alle pretese dei gendarmi.
Nel 1931 erano stati arrestati più di venti sacerdoti della città, scelti fra i migliori predicatori. In seguito venne chiusa anche la cattedrale della città. Il metropolita Anatolij viveva nell’attesa di essere arrestato, anche perché i comunisti lo avevano ammonito al riguardo. Era uno dei tanti metodi per rovinare il sistema nervoso dei nemici del popolo. La notte fra il 9–10 agosto 1936 il metropolita venne arrestato e il 13 agosto trasferito nella prigione di Kiev.
Durante l’interrogatorio il giudice istruttore lo accusò di aver svolto propaganda antisovietica fra la popolazione. Rispose il metropolita: “A proposito della chiusura delle chiese ricordo di aver detto che questa situazione non ha paragone nella storia patria. Durante l’invasione dei tatari se distruggevano le chiese distruggevano anche la città. Oggi invece le città fioriscono e nel medesimo tempo chiudono le chiese, a volte perfino le abbattono. Soprattutto a riguardo delle distruzioni delle chiese in Moldavia io dissi apertamente che si voleva distruggere l’organizzazione ecclesiastica”.
Il giudice istruttore accusò inoltre il metropolita di aver avuto rapporti con i cattolici allo scopo di voler unire la Chiesa ortodossa con la Chiesa cattolica. Il 16 dicembre 1936 il metropolita venne trasferito nelle prigioni di Mosca dove si insistette nell’accusarlo di contatti con i cattolici per una lotta comune contro il potere sovietico. Il metropolita negò e si dichiarò innocente. Non venne creduto e quindi il 21 gennaio 1937 fu condannato a cinque anni di lager. Il metropolita stremato e ammalato il 27 gennaio intraprese la via dolorosa che lo porterà il 14 febbraio a destinazione. In un primo tempo non fu in grado di lavorare per la bronchite e l’alta temperatura, ma appena la temperatura diminuì fu costretto ai lavori forzati. La sorella Raisa riuscì ad ottenere a Mosca il permesso di poter parlare per tre ore con il fratello, ma giunta sul posto le autorità del lager negano ai fratelli di incontrarsi. Nel gennaio 1938 le condizioni di salute peggiorano al punto che il metropolita non è più in grado di muoversi. Muore nell’infermeria del lager il 23 gennaio 1938 alle ore 17 e 15 minuti.


Autore:
Padre Romano Scalfi


Fonte:
www.culturacattolica.it

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Aggiunto/modificato il 2020-05-02

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