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Padre William Doyle Gesuita

Testimoni

Dalkey, Irlanda, 3 marzo 1873 - Frezenberg, Belgio, 16 agosto 1917


«Domenica mattina 12 agosto (1917). Siamo appena tornati al campo dopo sei giorni e sette notti consecutivi sul campo di battaglia. Ieri notte, non c’era alcuna possibilità di riposare, nemmeno per un momento, e puoi immaginare che avevamo dormito poco nelle notti precedenti... Stanco come sono, non posso prendere riposo prima di averti raccontato qualche cosa di quanto è accaduto, perché so che aspetti con impazienza le notizie del tuo ragazzo, e anche perché il mio cuore trabocca del desiderio di raccontarti l’amore e la protezione di Dio, mai così evidenti come in questa settimana. Egli mi ha protetto da innumerevoli pericoli con maggior tenerezza di una madre – quello che ho da raccontare sembra una favola – e se ha messo alla prova la mia sopportazione, almeno una volta fino al limite estremo, era solo per riempirmi di gioia al pensiero che ero “degno di soffrire almeno un pochino per Lui”.» L’autore di queste righe è un gesuita irlandese, padre William Doyle, cappellano militare durante la Grande Guerra.
William Doyle nasce a Dalkey, nella contea di Dublino, il 3 marzo 1873, ultimo di sette figli. Ancora ragazzino, aiuta volentieri la domestica, accendendo il fuoco o lucidando le scarpe, e procura ai poveri il necessario, senza dimenticare la cura delle loro anime. Ha cercato di ricondurre sulla retta via un ubriaco che giace ora sul suo letto di morte, rifiutando il prete. Willie rimane accanto a lui per lunghe ore in preghiera. Infine, poco prima di rendere l’anima, il pover’uomo si sveglia e chiede l’assistenza di un sacerdote. Il 31 marzo 1891, il giovane entra nel noviziato dei Gesuiti di Tullaberg. Nella gioia che prova di donarsi a Dio, sale i gradini della scala del noviziato a quattro a quattro, con grande stupore del Padre che lo accompagna. Scriverà in seguito ai suoi genitori: «Da allora, vado avanti giorno dopo giorno, anno dopo anno, con lo stesso spirito gioioso, accettando nel modo migliore le difficoltà e cercando di vedere sempre il lato buono delle cose. È vero che, di tanto in tanto, ci sono state delle prove... ma, attraverso ogni cosa, posso dire onestamente che non ho mai perso la pace e la gioia profonda che rendono dolci le cose amare e appianano le strade accidentate.» Lo zelo del suo cuore ardente si rivela in un testo scritto alla Santa Vergine durante il suo noviziato: egli le chiede di prepararlo «al martirio, attraverso un duro lavoro e una continua rinuncia a sé». Nel secondo anno del suo noviziato, una grave prova di salute mette in pericolo la sua vocazione. Dopo un lungo periodo di riposo in famiglia, può finalmente pronunciare i suoi voti il 15 agosto 1893.

«Agere contra»
Nominato a Clongowes Wood College nella contea di Kildare, vi trascorre quattro anni a occuparsi di un centinaio di ragazzi. Un confratello traccia di lui questo ritratto: «La sua qualità dominante era il coraggio. Quando si trovava di fronte a delle difficoltà, raccoglieva le sue forze e perseverava fino in fondo; non cedeva mai davanti agli ostacoli, e manteneva a dispetto di tutto la sua letizia di cuore e un volto sorridente.» Fratel William desidera diventare prete per «andare diritto verso la santità». Riceve l’ordinazione sacerdotale il 28 luglio 1907. Poco tempo dopo, viene inviato a Ghent per il “terzo anno”, anno supplementare di noviziato che fanno i Gesuiti dopo la loro ordinazione, prima di impegnarsi nell’apostolato. Durante questo anno, padre Doyle segue gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio. È particolarmente colpito dallo “agere contra”, disposizione d’animo che sant’Ignazio descrive così: «Coloro che vorranno legarsi più strettamente a Gesù Cristo, e distinguersi nel servizio del loro Re eterno e Signore universale, non si accontenteranno di offrirsi di condividere le sue opere; ma, agendo contro (dal latino “agere contra”) la propria sensualità, contro l’amore della carne e del mondo, gli faranno ancora offerte di maggiore importanza e di più alto valore», offrendosi di imitare il Signore fin nella sua povertà e nelle sue umiliazioni (Esercizi Spirituali, n. 97). Padre Doyle commenta: «Quante cose sono contenute in queste brevi parole “agere contra”! Qui sta il vero segreto della santità, la fonte nascosta alla quale i santi hanno bevuto profondamente l’amore di Dio e così raggiunto il vertice di gloria di cui ora godono.» Egli è anche colpito dalla docilità allo Spirito Santo che sant’Ignazio raccomanda al direttore a proposito della persona in ritiro che cerca la sua vocazione: «Chi tiene gli Esercizi non deve propendere, né inclinarsi verso un lato o verso l’altro; ma, tenendosi in equilibrio come la bilancia, lasciar agire direttamente il Creatore con la creatura, e la creatura con il suo Creatore e Signore» (Esercizi Spirituali, 15). In una lettera, padre Doyle scrive: «È molto pericoloso voler costringere tutti a raggiungere la perfezione attraverso la stessa via; significherebbe ignorare fino a che punto sono diversi i doni dello Spirito Santo.»
Nei primi anni del suo sacerdozio, egli si dedica a vari tipi di apostolato: ritiri, predicazione di missioni, cappellanìa nelle scuole... Si mostra instancabile, molto esigente nei confronti di se stesso, ma pieno di misericordia verso gli altri. Non contento di aspettare che le persone vengano in chiesa per la Messa, va in strada per invitarle. Di sera, lo si vede al porto ad aspettare lo sbarco dei marinai che invita anch’essi alle celebrazioni liturgiche. Un giorno in strada, non esita a incoraggiare una prostituta a cambiar vita. Qualche anno dopo, quest’ultima, rinchiusa in carcere per omicidio, chiederà alle autorità carcerarie di far venire padre Doyle, unico sacerdote al quale accetta di confidarsi per riconciliarsi con Dio.

Mai più
Particolarmente attento alle anime in cerca di una guida spirituale, padre Doyle dedica loro lunghe ore di colloquio o una corrispondenza laboriosa e continua. Questo impegno è così pesante che a volte è tentato di abbandonarlo. Scrive a un corrispondente: «Chiedi a Gesù di aiutarmi per tutte le lettere che devo scrivere. Recentemente ho avuto una grande tentazione: tutte queste lettere erano una gran perdita di tempo e non ne risultava alcun bene. Ho sentito che la risposta veniva dal Signore stesso nel brano che cito qui di seguito: “Forse vi conforterà il sapere che la vostra lettera mi ha salvato da almeno un centinaio di peccati mortali. Quando queste tentazioni feroci si rizzano contro di me, tiro fuori la lettera e la rileggo, e questo mi aiuta a combattere il diavolo e a dire: ‘No, non offenderò mai più il Buon Dio’.” Questo mi ha ridato coraggio.»
Dal 1910 al 1915, padre Doyle è più particolarmente impegnato nel ministero dei ritiri presso le case religiose, in cui i suoi talenti sono molto apprezzati. Ma le sue cure si rivolgono ancor più ai ritiri per gli operai. Egli ritiene, infatti, che le missioni popolari, un tempo molto frequentate, siano insufficienti per questi uomini che trascorrono lunghe giornate a faticare sotto il peso di un lavoro duro e ingrato. Anch’essi hanno bisogno di qualche giorno di silenzio per mettersi all’ascolto della parola di Dio. Pur non ignorando per nulla le legittime rivendicazioni degli operai e la loro situazione a volte drammatica, il Padre pensa che gli sforzi sui piani politico e sociale, per quanto necessari, non siano sufficienti. L’uomo è corpo e anima: non si può, senza grave ingiustizia, trascurare una delle due componenti della natura umana. Se spetta alla società civile provvedere alla vita temporale, solo la religione può portare alle anime il rimedio eterno. Guarire le anime è il dovere più sacro del sacerdote. Le persone che partecipano ai ritiri di padre Doyle sono raramente dei “baciapile”; a volte sono animati solo dalla curiosità. Tuttavia, vengono spesso toccati dalla grazia, ed escono dai tre giorni di ritiro pieni di gratitudine per tanti benefici ricevuti.
Avendo a cuore la promozione delle vocazioni, il Padre pubblica due opuscoli (Vocations e Shall I be a Priest?) che godono di una grande diffusione. Senza pretese letterarie, mirano unicamente ad aiutare i giovani che, ostacolati dalla mancanza d’istruzione, non riescono a discernere la loro chiamata alla vita religiosa o sacerdotale. Molti non sanno neppure in che cosa consista questa chiamata, e tanti altri immaginano in anticipo che una tale via non faccia per loro. «È ben vero, scrive padre Doyle, che la vocazione viene dall’alto, ma i disegni di Dio possono essere ostacolati o assecondati dalle sue creature, ed Egli si è sempre servito di agenti secondari per realizzarli. La formazione del carattere e l’orientamento dei passi dei giovani verso il santuario è in gran parte nelle mani dei genitori e degli insegnanti. Quanti sacerdoti e religiosi felici ringraziano ogni giorno il loro Creatore per il dono di una buona madre che, per prima, ha gettato i semi della vocazione nel loro cuore di bambini!» Padre Doyle suscita anche molte elemosine per aiutare i giovani poveri a pagarsi gli studi al seminario; il suo zelo si rivolge anche fino alle missioni lontane alle quali si associa con la preghiera e con la raccolta di fondi.

Leggi!
Visitando la Grotta di Lourdes nel novembre del 1912, padre Doyle è colpito dalle parole della Vergine a santa Bernadetta: «Penitenza, penitenza, penitenza.» Durante un pellegrinaggio alla casa natale di san Benedetto Giuseppe Labre ad Amettes, nel maggio del 1917, sente una voce che gli dice: «Leggi quello che è scritto sul muro». Egli legge: «Dio mi chiama a una vita austera; bisogna che io mi prepari per seguire le vie di Dio.» Una luce improvvisa gli fa comprendere quanto sia fecondo ogni atto di sacrificio. Tuttavia, lungi dall’ostentare l’austerità, si premura di sottoporre al confessore tutti i suoi desideri di penitenza.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica esprime così l’essenza della penitenza: «La penitenza interiore è un radicale nuovo orientamento di tutta la vita, un ritorno, una conversione a Dio con tutto il cuore, una rottura con il peccato, un’avversione per il male, insieme con la riprovazione nei confronti delle cattive azioni che abbiamo commesse. Nello stesso tempo, essa comporta il desiderio e la risoluzione di cambiare vita con la speranza nella misericordia di Dio e la fiducia nell’aiuto della sua grazia... La penitenza interiore del cristiano può avere espressioni molto varie. La Scrittura e i Padri insistono soprattutto su tre forme: il digiuno, la preghiera, l’elemosina, che esprimono la conversione in rapporto a se stessi, in rapporto a Dio e in rapporto agli altri... La conversione si realizza nella vita quotidiana attraverso gesti di riconciliazione, attraverso la sollecitudine per i poveri, l’esercizio e la difesa della giustizia e del diritto, attraverso la confessione delle colpe ai fratelli, la correzione fraterna, la revisione di vita, l’esame di coscienza, la direzione spirituale, l’accettazione delle sofferenze, la perseveranza nella persecuzione a causa della giustizia. Prendere la propria Croce, ogni giorno, e seguire Gesù è la via più sicura della penitenza» (CCC 1431-1435).

Al sole
La preghiera stessa, a causa dello stato della nostra natura decaduta, è spesso una penitenza. Padre Doyle scrive: «Non dimenticare che la preghiera è più difficile di una penitenza corporale... È una cosa che non è naturale, ma soprannaturale, e deve quindi essere sempre difficile; perché la preghiera ci porta sempre fuori dal nostro elemento naturale.» Eppure «pregare è sempre possibile», come afferma il Catechismo (CCC 2743). Ma come pregare? «Per quanto riguarda la preghiera, ti devi sforzare di seguire l’attrattiva dello Spirito Santo, perché non tutte le anime sono guidate lungo lo stesso percorso. Non sarebbe bene passare tutto il tempo in preghiere vocali, ci deve essere della meditazione, della riflessione, o della contemplazione. Cerca di abbandonarti al sole dell’amore divino, vale a dire di rimanere tranquillamente in ginocchio davanti al Tabernacolo, come faresti godendo del calore del sole, senza sforzarti di far nulla se non di amarLo, rendendoti conto che per tutto il tempo in cui sei ai Suoi piedi, soprattutto quando sei arido e freddo, la grazia cola goccia a goccia sulla tua anima e tu cresci rapidamente in santità.» Padre Doyle scrive ancora: «Penso che Egli (Gesù) vorrebbe che tu prestassi maggior attenzione alle piccole cose, senza considerare nulla come piccolo se ha un qualche rapporto con il suo servizio e il suo culto. Sforzati di ricordare che nulla è troppo piccolo per offrirGlielo - vale a dire che il più piccolo atto di amore reca una grande grazia.» Il Padre attribuisce anche una grande importanza alle orazioni giaculatorie: brevi aspirazioni a Dio fatte durante la giornata, che sono un potente strumento per mantenere vivo il senso della presenza di Dio e crescere nel suo amore.
Nel novembre del 1914, padre Doyle si offre volontario come cappellano militare, e, un anno dopo, viene assegnato alla sedicesima divisione dell’ottavo battaglione del reggimento dei Royal Irish Fusiliers. Nel momento in cui si è proposto, ha sentito che Dio gli donava la grazia del martirio, ed egli desidera che questa grazia sia unita a un atto di carità verso il prossimo. Ciò che lo consola, di fronte all’orrore dei campi di battaglia, è di poter offrire ai suoi compagni i conforti spirituali. È sempre pronto a correre rischi quando si tratta di amministrare i sacramenti agli uomini in pericolo, anche se viene considerato imprudente: «La gente non riesce a decidere se io sia un eroe o un pazzo; penso che la seconda risposta sia quella giusta. Ma non possono capire che cosa significhi per un prete la salvezza di una sola anima.» Niente lo ferma quando si tratta di portare i sacramenti a un’anima che sta per comparire davanti a Dio.
«La morte, insegna il Catechismo, pone fine alla vita dell’uomo come tempo aperto all’accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo. Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell’incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l’immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede... Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre» (CCC 1021-1022).

Celebrare in ginocchio
L’atteggiamento intrepido e instancabile del Padre gli attira l’affetto dei suoi uomini, per cui quasi tutti sono disposti a ricevere i sacramenti. Gli accade a volte di celebrare la Santa Messa in un rifugio così piccolo che né lui né gli uomini presenti possono fare la genuflessione, o così basso che deve celebrare in ginocchio. Un giorno, avendo scavato una trincea per proteggersi dalle bombe che piovono, celebra il Santo Sacrificio per i morti e gli agonizzanti caduti attorno a lui. La Provvidenza del resto ricompensa la sua generosità intrepida proteggendolo a più riprese. Il giorno dell’Assun-zione della Beata Vergine Maria, 15 agosto 1916, si trova in un villaggio con dei soldati. Inizia una salva di cannoni dei tedeschi e tutti si precipitano verso la chiesa, prima di rendersi conto che è proprio il bersaglio del nemico. Le granate cadono tutto intorno, ma non una colpisce la chiesa. Il Padre annota nel suo diario: «Il 15 agosto 1916 conta come un altro giorno di grazia e di favore, nelle mani di Maria.»
In una lettera scritta verso il Natale del 1916, padre Doyle riferisce le grazie eccezionali da lui ricevute al fronte. Nonostante il pericolo costante o le condizioni disumane imposte ai soldati nella guerra di trincea, la sua vita spirituale non ha smesso d’intensificarsi: «Dio mi ha fatto almeno una grazia da quando sono qui. Mi sento assolutamente nelle sue mani e gioioso al pensiero che, qualunque cosa succeda, tutto sarà per la sua maggior gloria. Anche se il giorno di Natale è stato miseramente bagnato, il Bambino divino ha riempito il mio cuore di gioia al pensiero che la mia vita ora assomigliava almeno un po’ alla sua. Imparo meglio ogni giorno che non c’è vita più felice di quella che è piena di cose dure sopportate per amore di Dio...» Natale porta anche regali che il Padre condivide con i soldati. Del resto, il 25 dicembre, dai due lati del fronte, vengono innalzate le bandiere bianche: non risuona un solo colpo di fucile nel giorno della nascita del Principe della pace. Nel gennaio del 1917, padre Doyle viene decorato della croce di guerra.
Padre Doyle trascorre le feste della Pasqua del 1917 nel dipartimento del Pas-de-Calais per un periodo di riposo e di esercitazioni militari. Il cappellano ne approfitta per offrire ai suoi uomini la possibilità di fare la loro Pasqua. Al di fuori di questi rari momenti di calma, spesso manca il tempo per ascoltare tutti gli uomini in confessione. Prima di ogni nuovo assalto, il cappellano dà quindi un’assoluzione generale, momento commovente per tutti: «Credo che non vi possa essere nulla di più emozionante e che ispiri tanto l’anima che vedere un intero reggimento mettersi in ginocchio, ascoltare l’ondata di preghiera che s’innalza verso il Cielo, nel momento in cui centinaia di voci ripetono all’unisono l’atto di contrizione: “Mio Dio, ho un grande dispiacere di avervi offeso”... E poi, il profondo, il rispettoso silenzio mentre il sacerdote alza la mano sulle teste chine e pronuncia le parole del perdono... Amo vedere l’abito sporco del peccato cadere da ciascuno nel momento dell’assoluzione, e vedere lo sguardo di pace e di gioia sui volti degli uomini...»
Il modo ordinario di ricevere il perdono del Signore nel sacramento della Penitenza è la confessione individuale e integrale fatta a un sacerdote e seguita dall’assoluzione. Infatti, attraverso il prete, Cristo stesso agisce e si rivolge personalmente a ogni peccatore per guarirlo. Tuttavia, la Chiesa ha sempre ammesso che, in caso di grave necessità, se non è possibile la confessione individuale per tutti, possa venir data l’assoluzione generale. Tale assoluzione è ben comprensibile in situazioni di emergenza come su un campo di battaglia. Al giorno d’oggi, l’applicazione di questo principio è spesso stata estesa oltre misura. Tuttavia, l’insegnamento della Chiesa è chiaro: «In casi di grave necessità si può ricorrere alla celebrazione comunitaria della Riconciliazione con confessione generale e assoluzione generale... La necessità grave può verificarsi quando, in considerazione del numero dei penitenti, non vi siano confessori in numero sufficiente per ascoltare debitamente le confessioni dei singoli entro un tempo ragionevole, così che i penitenti, senza loro colpa, rimarrebbero a lungo privati della grazia sacramentale o della santa Comunione. In questo caso i fedeli, perché sia valida l’assoluzione, devono fare il proposito di confessare individualmente i propri peccati gravi a tempo debito [vale a dire “quanto prima, offrendosene l’occasione” – cfr. Codice di Diritto Canonico, 962-963]. Spetta al Vescovo diocesano giudicare se ricorrano le condizioni richieste per l’assoluzione generale. Una considerevole affluenza di fedeli in occasione di grandi feste o di pellegrinaggi non costituisce un caso di tale grave necessità» (CCC 1483).

Esposto al fuoco
Durante la quarta battaglia di Ypres (dal 31 luglio al 16 Agosto 1917), padre Doyle si dedica come sempre accanto a tutti. Giovedì 16 agosto, nell’attacco contro la città di Frezenberg, vengono a dirgli che un ufficiale giace ferito in un luogo esposto al fuoco del nemico. Accompagnato da due soldati, s’insinua fino a lì, amministra l’Estrema Unzione al ferito, poi lo trascina dietro le linee degli alleati. In quello stesso momento, una granata cade nel mezzo del gruppetto, uccidendoli tutti. Il corpo del Padre, ritrovato il giorno stesso, viene sepolto sul posto.
Tutti i soldati, sia protestanti che cattolici, testimoniano la loro ammirazione per padre Doyle. Un protestante di Belfast scriveva: «Padre Doyle era un vero cristiano in tutti i sensi della parola... Non ha mai optato per ciò che era facile. Sempre ha condiviso i rischi degli altri... Quante volte l’ho visto camminare accanto a una barella, confortando un ferito, mentre le pallottole fischiavano attorno a lui e le granate scoppiavano a qualche metro di distanza.»
Con l’avvicinarsi del centenario della Grande Guerra, ci si interessa di nuovo a questa grande figura di sacerdote caduto sul campo. Possa il suo esempio aiutarci a comportarci da buoni soldati di Gesù Cristo (2Tm 2,3), con la fedeltà al nostro dovere quotidiano e la disponibilità al servizio del Regno di Dio.


Autore:
Dom Antoine Marie osb


Fonte:
Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia - www.clairval.com

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Aggiunto/modificato il 2020-06-25

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