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Card. Louis Luçon Arcivescovo di Reims

Testimoni

Maulévrier, Francia, 28 ottobre 1842 - Reims, Francia, 28 maggio 1930


Nel 1905, papa san Pio X designa il vescovo di Belley, mons. Luçon, a succedere al cardinale Langénieux, arcivescovo di Reims, recentemente deceduto. Il candidato oppone tutte le possibili obiezioni e corre a Roma per esporre di persona la sua determinazione a declinare questo grande onore. Ritiene di non essere in grado di sostenere in modo adeguato l’onere di tale responsabilità. «Caro Figlio, gli dice con decisione il Santo Padre, non è solo all’onore che ti invio, ma a una croce, e non solo a una croce, ma a una moltitudine di croci.» Nulla predestinava Louis Luçon, un bambino timido, mingherlino, goffo e spesso malato, a una carica ecclesiastica tanto pesante quanto gloriosa. Eppure egli svolgerà questo incarico a lungo, facendo onore alla Santa Chiesa...
Louis Luçon è nato il 28 ottobre 1842, a Maulévrier, borgo del bocage della Vandea, nei pressi di Cholet. Suo padre esercita la professione di tessitore. La famiglia vive poveramente nella fattoria del castello dei Colbert. Bambino pio e studioso, Louis manifesta un’intelligenza vivace. Dopo avergli fatto fare la prima Comunione, il suo parroco discerne in lui i segni di una vocazione. Il bambino viene iscritto al collegio municipale di Cholet, allora diretto da preti; nonostante la sua salute precaria e un regime di vita rigoroso, questi anni scolastici sono per lui proficui. Nel mese di ottobre del 1857, entra nel seminario minore di Montgazon (vicino ad Angers), dove porta a termine, non senza difficoltà, i suoi corsi di retorica e di filosofia, interrotti da frequenti soggiorni in infermeria o nella sua campagna nativa. Nel 1860, entra nel seminario maggiore di Angers. Il suo direttore spirituale lo sottopone a un regime di pasti, passeggiate e precauzioni adeguate che rimedia al suo carente stato di salute.
 
Valido in ogni tempo
Nel 1864, Louis riceve il suddiaconato e, nominato precettore del figlio del visconte di Chabot, si dedica con cura al suo compito di educatore. Ordinato prete dal vescovo di Angers il 23 dicembre 1865, padre Luçon diventa vicario a Saint-Lambert-du-Lattay. Si sforza di realizzare l’ideale del sacerdote così come lo concepisce e lo definirà in seguito dall’alto del pulpito di Notre-Dame di Parigi, in occasione dei funerali del cardinale Richard: «Certo, il sacerdote deve appartenere al suo tempo, per conoscerne gli errori e confutarli, i bisogni e provvedervi, le sofferenze e rimediarvi, le ingiustizie e prepararne la riparazione. Sì, deve sempre adattare alle esigenze del tempo in cui vive i mezzi di azione del suo apostolato..., cerchiamo di essere del nostro tempo. Ma non dimentichiamo che vi è una cosa che è e deve rimanere di tutti i tempi: la santità di vita... Solo la santità può conciliare al prete la fiducia dei popoli: se essa gli manca, se anche solo si sospetta che egli non sia quello che deve essere, né la scienza, né gli atteggiamenti moderni, né le opere stesse impediranno alla fiducia di allontanarsi da lui. Al contrario, dovrà sempre il meglio del suo prestigio alla santità.»
Nel 1869, viene nominato alla sede di Angers mons. Freppel (1827-1891), un alsaziano dal temperamento forte. Colpito dall’ampiezza delle conoscenze e dalla solidità del giudizio di padre Luçon, gli fa conseguire una laurea in teologia (1873), quindi lo invia a Roma per ottenere un doppio dottorato in teologia e in diritto canonico. Troppo modesto, Louis vi si reca senza entusiasmo. A Roma, la sua salute si rafforza. Mons. Freppel lo destina in seguito all’insegnamento del diritto canonico presso la Facoltà libera di Legge che ha appena fondato. Ma l’umile prete gli fa rispettosamente qualche obiezione. Irritato, il vescovo, che ammette solo l’obbedienza immediata, lo nomina parroco di La Jubaudière, semplice succursale rurale di circa 700 anime, situata nella ex “Vandea militare”. La parrocchia comprende molte frazioni difficili da raggiungere. La spettacolare accoglienza degli abitanti di La Jubaudière è, per il prete, un incoraggiamento: una folla di giovani a cavallo gli viene incontro per accompagnarlo al borgo, dove il sindaco e molti parrocchiani gli danno il benvenuto attorno a un falò. «Come, scriverà egli in seguito, potrebbe un prete non amare una parrocchia dove si testimonia tanto rispetto per il suo carattere e tanta benevolenza per la sua persona?» Divenuto vescovo di Belley, egli farà l’elogio di questi cristiani, in occasione della consacrazione a santuario della chiesa di Le Pin-en-Mauges, in onore dei vandeani martiri della Rivoluzione: «L’abitante della Vandea ama la sua religione. Se ne è fatto la più forte e, per così dire, l’unica abitudine della propria vita. Essa ha in lui la serietà, nonché la solidità del granito sul quale egli abita. Formato alla rude scuola del padre de Montfort, i dogmi sublimi della fede cattolica, l’austera morale della Croce; le benefiche consolazioni della religione di Gesù Cristo gli arrivano al cuore… Egli ama i suoi sacerdoti e il supremo onore che ambisce per i suoi figli è il sacerdozio; tutta la famiglia si ritiene onorata di annoverare qualcuno dei suoi membri tra i ministri dell’altare» (13 ottobre 1896).
 
Nelle strade incavate
Louis Luçon si dedica con zelo al servizio dei suoi parrocchiani. Lo si incontra di notte, nelle brutte strade incavate, sotto una pioggia battente, con la tonaca sollevata, che avanza in mezzo ai solchi per portare i sacramenti ai morenti. Nel 1883, la cura di Cholet, la parrocchia più importante della diocesi, è vacante: mons. Freppel la affida a padre Luçon e, per meglio testimoniargli la sua stima, viene egli stesso a insediarlo. Il parroco precedente aveva iniziato a ricostruire la sua chiesa e creato opere importanti. Al suo arrivo, padre Luçon trova una situazione finanziaria in cattivo stato. È tentato di scoraggiarsi e di abbandonare tutto per farsi monaco, ma la preoccupazione di adempiere degnamente ai suoi obblighi lo porta a ritrovare la calma. Intraprende con zelo il completamento del cantiere della chiesa Notre-Dame di Cholet. Disposto ad ascoltare tutti, partecipa alle riunioni delle numerose opere di quella parrocchia, discute le decisioni, s’interessa delle cifre. Il suo atteggiamento sorridente e così dignitoso ispira rispetto al suo uditorio, che non può fare a meno di ammirare la pazienza e la cortesia del nuovo parroco. Con la sua squisita sensibilità e la sua bontà, egli riesce, in pochi mesi, a conquistare i suoi parrocchiani. Parla in modo semplice, come un padre ai propri figli e, nei colloqui, la sua anima diventa trasparente: se ne vede fino in fondo la franchezza e la spontaneità. In occasione degli scioperi degli stabilimenti tessili della zona di Cholet, nel 1887, si riuniscono migliaia di operai; il parroco, interpellato, sa trovare le parole giuste e riesce a conciliare gli interessi in causa per il miglior vantaggio di tutti, lavoratori e imprenditori.
In quello stesso anno 1887, per ringraziare mons. Freppel di aver reso un servizio al governo, il ministro degli Interni, Spuller, gli chiede di presentare tre candidati a sua scelta per la sede di Belley allora vacante. Il parroco di Cholet figura in terza posizione, con questa nota: «Padre Luçon è uno di quei preti eminenti che non desiderano nulla se non rimanere in seconda fila, benché siano fatti per la prima, e ai quali la loro modestia fa dire volentieri: “Sono l’ultimo nella casa di mio padre.”» La scelta cade su Luigi Luçon, che pare al ministro più conciliante. A questa notizia, l’eletto è sconvolto. Il suo confessore lo esorta alla sottomissione e gli consiglia di andare a trovare il ministro. Spuller, repubblicano intriso di principi regaliani, quindi sostenitore della sovranità dello Stato, vede entrare nel suo studio un giovane prete intimorito, al quale egli espone una teoria sui diritti dello Stato e i doveri dei vescovi; per un attimo, crede di aver indotto il prete ad adottare il suo modo di vedere. «Eccellenza, risponde quest’ultimo, non ho affatto desiderato l’episcopato, anzi sono venuto a Parigi solo per sottrarmi a questo onore. Se sarò costretto ad accettarlo, voglio che sappiate quale sarà la mia linea d’azione. Finché i diritti dello Stato potranno conciliarsi con quelli della Chiesa, mi mostrerò, come devo esserlo, un buon cittadino, un buon francese. Il giorno in cui la Chiesa e lo Stato saranno in disaccordo, sarò dalla parte della Chiesa e rimarrò inflessibile, come una sbarra di ferro.» Malcontento, il ministro vuole allontanarlo, ma mons. Freppel gli risponde: «Così, si dirà che un piccolo parroco ha trionfato su un grande ministro.» Punto sul vivo, il ministro firma la sua nomina. L’8 febbraio 1888, il vescovo di Angers conferisce la pienezza del sacerdozio al figlio di Maulévrier, nella chiesa Notre-Dame di Cholet. Mons. Luçon adotta come stemma l’agnello pasquale e come motto: In fide et lenitate (nella fede e nella dolcezza).
 
Il vero significato della vita
Nel 1901, per sostituire le congregazioni religiose dedite all’insegnamento soppresse dalla legge, mons. Luçon fonda delle scuole libere. Si dedica inoltre con zelo alla preparazione del processo di beatificazione del venerabile Curato d’Ars (la parrocchia di Ars si trova nella sua diocesi). La beatificazione si svolge l’8 gennaio 1905. Mons. Luçon farà, a più riprese, il panegirico del beato; ritornerà persino per questo a Belley, nel 1908, quando sarà arcivescovo di Reims da due anni: «Riportatevi con il pensiero, egli dirà, all’epoca in cui il nostro beato esercitò il sacro ministero in questa parrocchia di Ars. Si continuava a ripetere che tutto si limita per noi alla vita presente, che la credenza in una vita futura è una chimera, che il fine dell’uomo è il piacere... che l’uomo di oggi deve chiedere la felicità alla scienza, che la scienza infine deve prendere il posto della religione... Che cosa ne è risultato? Disconoscendo il vero senso della vita, gli uomini del nostro tempo hanno limitato i loro pensieri alla vita presente e ai beni della terra... Il Curato d’Ars fa volgere le anime disilluse verso l’unico vero bene: “Al di fuori di Dio, vedete, nulla è solido, nulla, nulla! Se è la vita, passa, se è la fortuna, crolla; se è la salute, viene distrutta, se è la reputazione, viene attaccata. Ah! mio Dio, mio Dio, quanto sono da compatire coloro che ripongono tutti i loro affetti in queste cose!” E conclude: “Dedicatevi con amore a servire Dio, è la sola cosa che abbiamo da fare in questo mondo; tutto ciò che facciamo al di fuori di questo è tempo perso!”»
Il ruolo svolto da mons. Luçon nel processo di beatificazione del Curato d’Ars ha dato l’opportunità a papa san Pio X di apprezzare il prelato. Entrambi sono di umile condizione e praticano le stesse virtù di disinteresse, di amore per il dovere e di semplicità. Il 21 febbraio 1906, il Santo Padre nomina mons.. Luçon all’arcivescovado di Reims e gli chiede di assisterlo, il 25 febbraio, nella cerimonia della consacrazione di quattordici vescovi francesi che, nel contesto della separazione tra Chiesa e Stato, il Sovrano Pontefice ha nominati senza consultare il governo. Il 5 aprile, gli abitanti di Reims vedono arrivare il loro nuovo arcivescovo, con il sorriso sulle labbra. Egli conquista immediatamente una popolarità che non farà che aumentare. Tuttavia, le croci annunciate dal Papa non tardano a comparire. A causa della rottura unilaterale del concordato, la Chiesa di Francia vive le prove più dolorose: inventario dei beni ecclesiastici da parte di ufficiali civili, espulsione dei religiosi, lotte politiche. A Reims, i seminaristi vengono sbattuti in mezzo alla strada e mons. Luçon viene espulso dal palazzo arcivescovile.
 
Crocifisso dagli onori
Il 18 dicembre 1907, l’arcivescovo riceve il cappello cardinalizio. Quando lo si congratula, egli ricorda le sue origini modeste: «Il buon Dio mi crocifigge con gli onori per i quali non ho né gusto né attitudini. I chiodi sono d’oro; ma sono comunque chiodi.» Quando appare per la prima volta sul pulpito, è agli operai che si rivolge, assicurandoli che è uno dei loro per la sua nascita e le sue predilezioni. La sua casa episcopale è aperta a tutti, ai cittadini più modesti e più indigenti come ai più illustri dei suoi diocesani. Il nuovo cardinale svolge un’intensa attività, organizza l’obolo dei fedeli, crea comitati cattolici nelle principali parrocchie, partecipa alle feste delle corporazioni operaie. Egli difende la Chiesa: «Veniamo rappresentati come i nemici dell’insegnante laico, ma era già laico questo insegnante, quando in passato sacerdoti e maestri di scuola intrattenevano in ciascuna delle nostre parrocchie relazioni così cordiali.» E, riguardo al diritto della Chiesa di insegnare: «Questo diritto, non ci viene affatto dagli uomini, ma da Gesù Cristo, che ci ha dato la missione di insegnare a tutti i popoli.»
Nel mese di agosto del 1914, viene dichiarata la guerra. L’arcivescovo si mette a disposizione di tutti, soprattutto delle famiglie povere in cui il capofamiglia è chiamato alle armi. Dopo la morte del Papa il 20 agosto, egli si reca a Roma per il conclave. Il suo cuore di pastore è lacerato: avrebbe desiderato non lasciare la sua diocesi nel momento del pericolo. Reims, infatti, è tutto un simbolo per la Francia: Clodoveo vi ricevette il battesimo con i suoi Franchi, dando così vita alla nazione francese; santa Giovanna d’Arco vi guidò Carlo VII per farlo consacrare re. L’invasore ha capito bene la portata simbolica della città e prende di mira il suo monumento più importante: la cattedrale. Il cardinale scriverà: «Succedeva a me la stessa cosa che al sant’uomo Giobbe; ogni giorno il corriere mi portava la notizia di una catastrofe peggiore di quella del giorno prima: Reims è occupata, ricattata; vi sono stati presi cento ostaggi, tra i quali due dei miei vicari generali; Reims è bombardata, Reims è incendiata, la cattedrale è in fiamme.»
Dopo un viaggio irto di pericoli, il cardinale raggiunge finalmente Reims, liberata in seguito alla vittoria della Marna, il 22 settembre. A partire da quel giorno, non la lascerà più fino all’ultima grande offensiva tedesca, nel marzo 1918. Durante questi quattro anni, non cessa di percorrere la città, di confortare le vittime, di visitare le scuole rifugiate in sotterranei, le comunità religiose, le ambulanze e gli ospedali, di benedire feriti e ammalati. Non appena viene a sapere che un quartiere è bombardato, vi accorre. La sua presenza porta ovunque il conforto. A volte, è costretto a sdraiarsi in strada, o a rifugiarsi in una cantina, per evitare le schegge di granata. Tra una visita e l’altra in città, rimane impassibile. Il suo coadiutore lo trova spesso che legge la Summa Theologiae di san Tommaso: «Eminenza, stanno bombardando, bisogna scendere in cantina. – Aspetti, Monsignore, è solo un temporale, passerà.» Una notte, sfugge miracolosamente alla morte: una granata cade nel giardino e alcune schegge penetrano nella sua stanza passando a pochi centimetri da lui. Ogni settimana, percorre il fronte vicinissimo, visita le trincee e vi celebra la Messa. Nelle sue allocuzioni ai soldati, ritorna spesso sul concetto del sacrificio e del sangue versato: prezzo della redenzione e della salvezza della Francia. Insiste sempre sull’alleanza tra religione e patria, sull’unica consolazione efficace che esista di fronte alla morte, quella che può dare la Provvidenza. «Monsignore ama il soldato e questi lo adora, osserva un ufficiale. La sua gioia è grande quando si avvicina a un gruppo di Poilus e conversa familiarmente con tutti. I soldati si sentono subito a proprio agio con lui.»
 
Tutto solo
Ogni venerdì della guerra, il cardinale dice ai suoi vicari generali: «Lasciatemi solo, tutto solo.» Nella sua cattedrale in rovina, aperta a tutti i venti, con il pavimento cosparso di detriti, fa la sua via crucis per la Francia. «Perdona, Signore, perdona al tuo popolo. Non essere eternamente irritato contro di lui. Sì, ha avuto i suoi torti.» Di fronte a ogni stazione, legge in ginocchio una meditazione da lui composta.
«Se gli uomini, dirà Benedetto XVI, vivono in pace con Dio e tra di loro, la Terra assomiglia veramente a un “paradiso”. Il peccato purtroppo rovina sempre di nuovo questo progetto divino, generando divisioni e facendo entrare nel mondo la morte. Avviene così che gli uomini cedono alle tentazioni del Maligno e si fanno guerra gli uni gli altri. La conseguenza è che, in questo stupendo “giardino” che è il mondo, si aprono anche spazi di “inferno”… Non posso, in questo momento, non andare col pensiero a una data significativa: il 1° agosto 1917 – giusto 90 anni or sono – il mio venerato predecessore, papa Benedetto XV, indirizzò la sua celebre Nota alle potenze belligeranti, domandando che ponessero fine alla prima guerra mondiale. Mentre imperversava quell’immane conflitto, il Papa ebbe il coraggio di affermare che si trattava di un’“inutile strage”. Questa sua espressione si è incisa nella storia. Essa si giustificava nella situazione concreta di quell’estate 1917» (Angelus del 22 luglio 2007).
Nonostante le istanze della Santa Sede presso l’imperatore di Germania Guglielmo II perché venissero risparmiate la cattedrale di Reims e le chiese, queste vivranno la Passione. A partire dalla domenica delle Palme, 1°aprile 1917, e per diverse settimane, è un diluvio di bombe che si abbatte sulla città. Il nemico, che persiste nel credere, a torto, che la cattedrale serva come posto di osservazione, non cessa di bombardarla. Bisogna attendere fino al 30 aprile perché il sindaco di Reims si decida a incontrare il cardinale. I due cittadini di Reims dalle idee opposte si consultano per un’ora. «Oh! ma è un grand’uomo, dichiara il sindaco, perché non l’ho visto prima?» Il 17 giugno 1917, su richiesta di un deputato, presidente del Libero Pensiero di Reims, il Presidente della Repubblica, Raymond Poincaré, decora il cardinale con la croce della Legion d’onore per onorare il suo patriottismo e la sua abnegazione. Ma un’altra decorazione lo commuove ancora di più: quella del 152° reggimento di fanteria, uno dei più valorosi, che gli consegna la sua cordellina nonché il diploma di cappellano onorario. Il 25 marzo 1918, le autorità militari costringono, non senza difficoltà, il cardinale a lasciare Reims. «Eminenza, Lei è una delle bandiere della Francia, gli dice un generale. Dobbiamo salvarLa, non dobbiamo consegnare la nostra bandiera al nemico in arrivo.» Il cardinale annota nel suo diario di guerra: «Annunciazione. Lunedì santo. Ultima messa a Reims.»
 
Quindici case indenni
Reims viene liberata nell’agosto del 1918, ma in quale stato... Delle 14 000 case che contava, solo quindici rimangono indenni; le altre sono distrutte o devono essere oggetto di riparazioni di grossa entità. Il palazzo arcivescovile è inabitabile. Dopo l’armistizio, il cardinale Luçon si dedica soprattutto al restauro della cattedrale. Partecipa alla ricerca di finanziamenti, in particolare presso gli americani. Il suo zelo non viene meno: negli anni del dopoguerra, veglia sempre sul suo gregge. Nella sua Lettera pastorale del 15 agosto 1925, denuncia le mode sconvenienti: «Si chiede il risollevamento morale del paese: non è certo con l’intenzione di contribuirvi che sono state inventate e lanciate le mode attuali. Nate dalla corruzione, esse sono uno degli agenti più efficaci della depravazione dei costumi. Sono, di per se stesse, una provocazione al male, un fattore eccitante per le passioni. Nessuno può in buona fede sostenere che siano innocue… Noi diventiamo per la grazia santificante i templi dello Spirito Santo, attraverso la Santa Comunione i santuari viventi della divina Eucaristia: forse che questo non ci impone un contegno sempre rispettoso degli ospiti divini che si degnano di onorarci con la loro visita e la loro presenza permanente?... Se c’è un luogo in cui le mode frivole e le nudità sono particolarmente fuori luogo, non è forse la Casa di Dio? Non è forse un’imperdonabile mancanza di rispetto, per non dire una sfida o un insulto alla santità di Dio, entrare nel suo tempio, e specialmente accostarsi ai sacramenti con un abbigliamento così manifestatamente immodesto?»
Se egli ha la grande felicità di restituire al culto la sua cattedrale nel maggio del 1927, il cardinale non vedrà però la fine del suo restauro. L’8 maggio 1929, alla presenza del Presidente della Repubblica e di numerosi vescovi, celebra a Orléans il quinto centenario della liberazione della città da parte di santa Giovanna d’Arco, poi a Reims, in luglio, quello dell’incoronazione di Carlo VII. Nel maggio 1930, si ammala, poi muore piamente il 28 dello stesso mese.
«L’unica consolazione viene da Cristo, diceva papa Francesco il 21 settembre 2014. Guai a noi se cerchiamo un’altra consolazione!... Sappiate bene: se voi cercate consolazione altrove, non sarete felici! Di più: non potrai consolare nessuno, perché il tuo cuore non è stato aperto alla consolazione del Signore,… Dio di ogni consolazione!» La vita del cardinale Luçon è un’illustrazione di queste parole. Attingiamo noi pure, nel Cuore di Cristo, la vera consolazione, anche al culmine delle difficoltà e delle prove; allora saremo in grado, come lui, di pacificare i cuori che soffrono e di far splendere in essi la santa Speranza.


Autore:
Dom Antoine Marie osb


Fonte:
Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia - www.clairval.com


Note:
Per approfondire: www.assoclucon.free.fr

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Aggiunto/modificato il 2021-08-31

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