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David Maria Sassoli Laico

Testimoni

Firenze, 30 maggio 1956 – Aviano, Pordenone, 11 gennaio 2022

Presidente del Parlamento europeo dal 2019 fino al giorno della sua morte.
David Maria Sassoli era nato nel 1956, figlio di un giornalista amico di don Lorenzo Milani. Il nome gli fu dato in onore di padre David Maria Turoldo, prete della resistenza, poeta e grande maestro spirituale. Formatosi negli scout dell’Agesci e nella Rosa Bianca, si è sposato con Alessandra Vittorini e ha avuto due figli: Giulio e Livia. Dopo l’esordio in tv al Tg3, ha lavorato a La cronaca in diretta su Rai2 e poi è stato inviato, conduttore e vicedirettore del Tg1.
Nel 2009 è entrato in politica, eletto europarlamentare del Pd. Confermato al terzo mandato, nel 2019 è diventato presidente del Parlamento europeo. È morto l’11 gennaio 2022 per il ripresentarsi di un tumore ematologico di cui aveva già sofferto nel 2011.



Una stella dell'Europa attenua la sua luce. Davanti alla scomparsa prematura di David Maria Sassoli (questo il nome completo) si può davvero dire che ci lascia appena a 65 anni con almeno la soddisfazione di aver visto compiere grandi progressi a quell'Europa che per lui, presidente del Parlamento Europeo, è stata una delle grandi passioni dell'esistenza, assieme al giornalismo. E' stato infatti uno dei grandi protagonisti del Recovery plan, il piano di rilancio del continente sferzato dal Covid, di cui ha avuto la soddisfazione di veder muovere i primi passi.
Un approdo e una dimensione, quelli europei, naturali per un politico sui generis, volto gentile dal ciuffo accattivante, sorriso costante e mai eccessivo, sempre misurato, più a suo agio sui grandi palcoscenici continentali che nelle risse, spesso da cortile, della politica italiana. Non a caso andava fiero di una fotografia che lo vedeva picconare, come tanti in quelle storiche notti del 1989, il Muro di Berlino, il simbolo più tragico invece di un'Europa divisa. Fiorentino e tifoso della squadra viola, poi trapiantato a Roma dove aveva studiato al liceo Virgilio (e dove conobbe la futura moglie), appassionato di musica classica e di giardinaggio (che praticava soprattutto nella casa di Sutri, nel Viterbese), Sassoli si chiamava David Maria nel segno dell'omaggio voluto dal padre - Domenico, giornalista del Popolo che aveva combattuto nella Resistenza, quotidiano della Dc, venuto a Roma da Firenze negli anni Sessanta - a frate David Maria Turoldo, figura luminosa e a tratti anche scomoda. Già questo la dice lunga sul cammino formativo di Sassoli che, da giovane talentuoso, seguì presto le orme paterne, senza nemmeno completare l'università a Scienze politiche. Egli stesso, nei cenni biografici presenti sul suo sito, ricordava i primi passi percorsi, sulla scia di Turoldo, all'interno della tradizione di quel cattolicesimo democratico che a Firenze ebbe anche un faro come Giorgio La Pira.
Da ragazzo si impegnò nello scoutismo dell'Agesci, poi sotto l'impulso del giornalista Paolo Giuntella era stato attivista della Rosa Bianca, associazione che riuniva giovani provenienti dall'associazionismo cattolico, e aveva preso parte all'esperienza della Lega Democratica, un gruppo di riflessione politica animato da Pietro Scoppola, Achille Ardigò, Paolo Prodi e Roberto Ruffilli. In parallelo, Sassoli si diede da fare nel giornalismo, fra l'agenzia Asca (per la quale fu testimone nel 1985 di un incontro clamoroso a Parigi tra l'allora ministro socialista Gianni De Michelis e Oreste Scalzone, leader dell'autonomia) e i quotidiani "Il Tempo" e poi "Il Giorno". Fu proprio nella redazione del Giorno che una volta, benché appassionato della carta stampata, chiese consiglio a un collega su un possibile approdo in Rai. Così fu: Sassoli cominciò a lavorare con Michele Santoro da inviato de "Il Rosso e il Nero" e salì rapidamente i gradini prima del Tg3, poi del Tg1 fino ad arrivare alla meta più ambita: la conduzione del telegiornale delle 20. Trampolino di lancio, come per altri suoi colleghi, per quel futuro in politica un po' sempre agognato. Fu Dario Franceschini, sempre nel segno del dossettismo e del cattolicesimo democratico, a volerlo nel 2009 come capolista del Pd per l'Italia centrale, alle elezioni europee. E quando, 4 anni dopo, volle cimentarsi per una volta nella politica nostrana non gli andò bene: alle primarie democratiche per candidarsi come sindaco di Roma nel 2013, arrivò secondo, nettamente staccato dal chirurgo Ignazio Marino.
Da qui il ritorno nell'alveo europeo, a lui più congeniale. Negli anni, anche tumultuosi, dell'elaborazione politica di un nuovo pensiero europeo, che l'ha visto protagonista. Fino a un'altra meta ambitissima: la presidenza dell'Europarlamento, che lo rese primattore anche a tanti vertici europei. E' stato proprio Sassoli, come ha ricordato nelle prime ore del lutto Enrico Letta, segretario del Pd, a battersi con ogni forza per mantenere sempre aperta l'assemblea continentale, anche nei mesi più difficili della pandemia, facendo mettere a punto tutte le accortezze tecniche per non dover chiudere un presidio di libertà per tutti gli europei. Fino agli ultimi mesi, segnati dalla rapida e brusca malattia. Di lui, per qualche giorno, si era parlato anche come possibile candidato alla presidenza della Repubblica in quota Pd, per succedere a Mattarella. La sua preoccupazione, in ogni caso, è stata sempre quella di non nuocere al bene supremo della collettività, come ha dimostrato con l'annunciato passo indietro dal massimo seggio di Strasburgo pur di favorire un accordo fra le due grandi famiglie dei socialisti e dei popolari. Un ultimo atto vissuto nel segno appunto di quella politica gentile, di quella disponibilità e apertura al dialogo, di cui Sassoli è sempre stato volto.

Autore:

Fonte: Avvenire

 




Omelia per i funerali
del Card. Matteo Maria Zuppi

Fratelli e sorelle, oggi come non mai è il vero titolo che ci unisce tutti per accompagnare questo caro fratello nelle mani del Signore. In questi giorni abbiamo ascoltato tante parole per un saluto inaspettato, segnato dall’evidente ingiustizia che strappa un uomo nel pieno del suo vigore e attività.
Oggi ci troviamo con commozione in questo luogo antico, straordinariamente bello, davanti all’orizzonte della vita, al suo limite, dove il cielo e la terra si toccano. E questo punto è sempre l’amore. La Parola di Dio raccoglie tutte le nostre parole, in fondo tutte limitate: non le cancella, anzi, le fa sue, le illumina, le spiega anche a noi stessi, riempiendole di senso e di eternità perché la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto di Dio, l’Alfa e l’Omega, sono lettere di amore.
Gesù ascolta le nostre parole, le fa sue anche oggi, come ascoltò quelle di due discepoli nella prima domenica, feriti e tristi per un amico che non c’è più, per le speranze che sembravano svanire. Oggi proprio come su quella povera mensa di Emmaus così su questo altare riconosciamo Gesù, amico degli uomini e luce di speranza, nello spezzare del pane, Lui che diviene nutrimento di solo amore, panis angelicus, pane di vita eterna. E di amore abbiamo bisogno tanto, in realtà sempre e tutti. Facciamo fatica a comprendere la fine, con la sua inaccettabile definitività.
John Donne scrisse che “Ogni morte di uomo mi diminuisce perché io faccio parte dell’umanità”, perché “nessun uomo è intero in se stesso”. Ricordiamocelo sempre, per tutti, specie per quelli di cui nessuno si ricorda da vivi. Nessun uomo è intero in se stesso. Abbiamo bisogno del prossimo. E ricordiamoci sempre il contrario, che se uno salva un uomo – un uomo – salva il mondo intero. Ci stringiamo ad Alessandra, che con David ha camminato mano nella mano dai banchi di scuola, a Livia e Giulio, ai suoi fratelli e sorelle e ai tanti che lo consideravano “uno di noi”, quasi istintivamente, per quell’aria priva di supponenza, di alterità, empatica, insomma un po’ per tutti un compagno di classe! Quello che tutti avremmo desiderato e che ci avrebbe sicuramente aiutato.
David ci aiuta a guardare il cielo – a volte così grande da spaventare, che mette le vertigini – lui che lo ha cercato sempre, da cristiano in ricerca eppure convinto, che ha respirato la fede e l’impegno cattolico democratico e civile a casa, con i tanti amici del papà e poi suoi, credenti impetuosi e appassionati come Giorgio La Pira o Mazzolari, come David Maria Turoldo, del quale porta il nome. Credente sereno ma senza evitare i dubbi e gli interrogativi difficili, fiducioso nell’amore di Dio, radice del suo impegno, condiviso sempre con qualcuno, come deve essere, perché il cristiano come ogni uomo non è un’isola, ma ha sempre una comunità con cui vivere il comandamento dell’amatevi gli uni gli altri: gli scout, il gruppo della Rosa Bianca con Paolo Giuntella, Sophie e Hans Scholl, i leader della Weiss Rose erano per lui le stelle del mattino dell’Europa, uccisi dai nazisti per la loro libertà, tanto che quando fu eletto Presidente onorò come un debito verso di loro ponendo un’enorme rosa bianca su sfondo europeo nel Parlamento perché “la nostra storia è scritta – diceva – nel loro desiderio di libertà”.
Con tanti ha condiviso il suo I Care – penso ad esempio alla Chiesa di Roma del febbraio ‘74 e di don Luigi Di Liegro – sempre unendo fede personale e impegno nella storia, iniziando dagli ultimi, dalle vittime che “hanno gli occhi tutti uguali”, pieno di rispetto e di garbo come nel suo carattere. Era un giornalista di qualità e il suo volto sereno appariva nel Tg nazionale accompagnando e porgendo le notizie con rispetto e credibilità.
C’è chi dice che il cristiano, anche se nullatenente, è sempre un signore proprio perché cristiano, perché ha un tesoro di amore che lo rende tale. Diceva un Padre della Chiesa: “Un povero che rende ricchi gli altri”.
Il Vangelo ci parla di Beatitudine. Attenzione, non è diversa dalla felicità umana, anzi è proprio felicità piena, proprio quella che tutti cerchiamo. La beatitudine del Vangelo non è una sofferta ricompensa ultima per qualche sacrificio ma libertà dalle infinite caricature pornografiche di una felicità del benessere individuale a qualsiasi prezzo. Non c’è gioia da soli!
La gioia del Vangelo unisce, non divide dagli altri, e noi cerchiamo non una gioia d’accatto, ma vera e duratura. E debbo dire che vedendo quanto amore si è stretto in questi giorni intorno a David e alla sua famiglia capisco con maggiore chiarezza che la gioia viene da quello che si dona agli altri e che poi, ma solo dopo averla donata, si riceve, sempre, perché la gioia è nell’essere e non nell’avere, nel pensarsi per e non nel cercare il proprio interesse. Felici sono i poveri in spirito, chi non sa tutto da solo, chi anzi sa che non è ricco e non fa finta di esserlo tanto da chiedere scusa o aiuto, chi impara e cerca. Beati sono gli afflitti: non chi cerca la sofferenza, ma chi non scappa dalle difficoltà, le affronta per amore e per amore piange per l’amato.
Beati sono i miti, chi non cerca nell’altro la pagliuzza ma il dono che è, chi non risponde al male con il male, chi in modo amabile cerca di fare agli altri quello che vuole sia fatto a lui. Di David credo che tutti portiamo nel cuore il suo sorriso, che è il primo modo per accogliere l’altro, senza compiacimento, semplicemente. Qualcuno ha detto che non ha mai visto nessuno arrabbiato con David!  Beati sono quelli che hanno fame e sete della giustizia, che non possono stare bene se qualcuno accanto a lui soffre, che non cambiano canale o fanno finta di non vedere o pensano che non li riguarda se c’è una persona in pericolo in mezzo al mare o al freddo sull’uscio di casa. Hanno fame della giustizia perché non si abituano all’ingiustizia, ricordano che la giustizia di Dio è avere cura dei fratelli più piccoli di Gesù e che la sofferenza dell’altro è la mia.
Beati sono i misericordiosi, chi giudica ma sempre per amore, chi cerca il bene nascosto, che pensa che c’è sempre speranza, chi sceglie di consolare piuttosto che fare soffrire. Beati sono i puri di cuore, quelli che vedono senza malizia, non perché ingenui ma perché vedono bene, in profondità, liberi dai calcoli, dalle convenienze, disinteressati perché hanno un interesse più grande, quelli che non hanno pregiudizi quando si affronta una discussione, che non hanno paura di capire la posizione dell’altro, anche se distante da lui, che non gridano ma ascoltano sapendo che sempre c’è qualcosa da imparare.
Beati sono gli operatori di pace, gli artigiani, cioè coloro che non rinunciano a “fare la pace” iniziando dai piccoli e possibili gesti di cura del prossimo, sporcando le mani con la vita, con le contraddizioni del prossimo, con la fatica a stringere quella del nemico che se lo fai si trasformerà in fratello. Beati sono i perseguitati per causa della giustizia, non quella che divide con freddezza la torta in parti uguali anche se chi deve mangiarla non è uguale, come con rigore, ricordava un giusto come don Milani, perché per amare tutti, per avere un amore universale, si inizia sempre da qualcuno, dai tanti (e quanti ce ne sono!) Gianni che non hanno possibilità. Dio proclamando le beatitudini sembra proprio dirci che ognuno ha diritto alla felicità e che lui questo vuole e che non finisca. Domandiamoci cosa dobbiamo dare agli altri perché essi siano felici, perché la mia felicità è la loro.
È proprio vero, come qualcuno ha detto con saggezza, che dobbiamo vedere la vita sempre con gli occhi degli altri. Per questo ringraziamo il Signore per David. È stato beato anche nell’afflizione, durante la sua malattia che ha accolto con dignità, senza farla pesare, spendendosi fino alla fine, invitando tutti a guardare lontano, vivendo con la forza dei suoi ideali e dell’amore che tanto lo ha circondato e accompagnato. Per un credente la beatitudine è obbedire alla propria coscienza e purificare le intenzioni da cui dipendono le altre scelte.
Ecco, la beatitudine piena che oggi David vive e con la sua vita ci ricorda e ci consegna. David era un uomo di parte, ma di tutti, perché la sua parte era quella della persona. Per questo per lui la politica era, doveva essere per il bene comune e la democrazia sempre inclusiva, umanitaria e umanista. Ecco perché voleva l’Europa unita e con i valori fondativi, che ha servito perché le sue Istituzioni funzionassero, che ha amato perché figlio della generazione che aveva visto la guerra e gli orrori del genocidio e della violenza pagana nazista e fascista, dei tanti nazionalismi, lui figlio della resistenza e dei suoi valori, quelli su cui è fondata la nostra Repubblica e che ha ispirato i nostri padri fondatori.
È da quella immane sofferenza – quella per cui volle che recentemente la Presidente andasse a Fossoli, uno dei tanti luoghi di sofferenza della barbarie della guerra – che nasceva il suo impegno. Non ideologie, ma ideali; non calcoli, ma una visione perché anche l’Europa non può vivere per se stessa, perché il cristianesimo non è un’idea, ma una persona, Gesù, che passa attraverso le persone e nella storia. Faccio mie le parole del suo ultimo saluto per Natale scorso, già molto malato, oggi che è il suo Natale alla vita del cielo: “In questo anno abbiamo ascoltato il silenzio del pianeta e abbiamo avuto paura ma abbiamo reagito e abbiamo costruito una nuova solidarietà perché nessuno è al sicuro da solo.
Abbiamo visto nuovi muri, i nostri confini in alcuni casi sono diventati confini tra morale e immorale, tra umanità e disumanità. Muri eretti contro persone che chiedono riparo dal freddo, dalla fame, dalla guerra, dalla povertà. Abbiamo finalmente realizzato dopo anni di crudele rigorismo che la disuguaglianza non è più né tollerabile né accettabile, che vivere nella precarietà non è umano, che la povertà è una realtà che non va nascosta ma che deve essere combattuta e sconfitta.  Il dovere delle istituzioni europee: proteggere i più deboli e non di chiedere altri sacrifici aggiungendo dolore al dolore. Buon Natale… il periodo del Natale è il periodo della nascita della speranza e la speranza siamo noi quando non chiudiamo gli occhi davanti a chi ha bisogno, quando non alziamo muri ai nostri confini, quando combattiamo contro tutte le ingiustizie. Auguri a noi, auguri alla nostra speranza”. Grazie, uomo di speranza per tutti.
David Maria Turoldo scrisse una poesia che David conosceva a memoria: “Dio della vita, sei tu che nasci, che continui a nascere in ogni vita. Voce per chi muore ora: perché non muore, non muore nessuno: niente e nessuno: niente e nessuno muore perché Tu sei. Tu sei e tutto vive, è il Tutto in te che vive: anche la morte!”. Gesù ti abbracci nella sua grande misericordia. Buona strada. Riposa in pace e il tuo sorriso ci ricordi sempre di cercare la felicità e costruire la speranza, Fratelli Tutti. Amen.

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Aggiunto/modificato il 2022-01-23

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